Colesterolo, zuccheri e statine. Riflessioni per l’uso

20 Marzo 2022
Colesterolo, zuccheri e statine. Riflessioni per l'uso

È possibile mangiare del formaggio, una frittata o un dolce? E se sì, quanto spesso? Domande precise che caratterizzano la possibilità di una vita sociale o relegano a una rinuncia a tutto ciò che c’è di buono…

Ci sono una serie di considerazioni scientifiche che devono essere alla base di ogni ragionamento sulla salute personale. I valori di colesterolo e la mortalità cardiovascolare sono parzialmente correlati ed è giusto sapere come e perché anche alla luce delle ricerche più recenti. 

Dopo anni di dibattito, che ha visto un susseguirsi di studi ed editoriali su numerose riviste mediche, ad Agosto 2017 è stato pubblicato su Lancet (una delle principali testate scientifiche mondiali) uno studio che potrebbe (e dovrebbe) porre fine alla discussione. Lo studio PURE (descritto in un articolo di Cappelletti) ha definito che una dieta ricca di carboidrati si associa con un rischio aumentato di mortalità generale, mentre il consumo di grassi (totali e saturi-insaturi) si correla con una riduzione della mortalità generale.

In pratica, rispetto al colesterolo, il contrario di quanto si è detto per lungo tempo. Solo i grassi vegetali idrogenati e transidrogenati sono correlati ad un aumento di rischio cardiovascolare. 

Si tratta della stessa “falsa informazione” che per anni ha accompagnato l’uso delle uova. Oggi sappiamo che “anche tre uova al giorno aiutano a levare il colesterolo di torno”, come spiegato in una review pubblicata su Nutrients a fine marzo 2018 che ha confermato che non solo le uova non influenzano negativamente il profilo lipidico, ma sembrano in alcuni casi addirittura in grado di migliorare il quadro, con i relativi possibili benefici sulla salute cardiovascolare. Si è mostrato cioè che le uova potrebbero addirittura essere protettive sulla salute cardiovascolare, all’opposto di quanto si è detto per anni. 

Sì, perché il colesterolo elevato, salvo il caso ben definito della ipercolesterolemia familiare, è nella stragrande maggioranza dei casi prodotto dall’organismo e non corrisponde a quello introdotto con la dieta. In realtà il colesterolo viene prodotto dall’organismo con particolare riferimento alla quantità di zuccheri e di carboidrati utilizzati nella dieta.

In particolare, il rialzo dei livelli di insulina, e quindi l’eccesso individuale di assunzione di zuccheri, ha evidenziato uno stimolo a livello dell’enzima che dà il via alla produzione del colesterolo stesso. La regolazione dei livelli di insulina, a sua volta, è intimamente legata ai picchi glicemici provocati dai pasti o dai singoli alimenti. Il modo migliore per regolarne l’azione è quello di scegliere alimenti e costruire pasti a basso impatto glicemico, conoscendo però il proprio profilo personale di infiammazione da zuccheri e alimenti (Test PerMè).

Zuccheri e affini (frutta in eccesso, spuntini zuccherini, yogurt dolci, estratti e succhi di frutta e naturalmente caramelle, snack e dolciumi vari, o ancora piatti eccessivamente sbilanciati a favore di carboidrati…) portano a un incremento di diversi radicali liberi tra cui il Metilgliossale, sostanza fortemente pro ossidante e infiammatoria, che legandosi al colesterolo “buono” (HDL) ne riduce i livelli, portando a un aumento del così detto colesterolo “cattivo”.

In particolare, già nel 2014 un lavoro sviluppato da ricercatori britannici (Università di Warwick) e svedesi (Università di Linköping), pubblicato su Nutrition & Diabetes, aveva evidenziato che la glicazione (fenomeno dovuto appunto a un eccesso individuale di glucosio, fruttosio o alcol) contribuisce a trasformare il colesterolo buono (HDL) in colesterolo cattivo (LDL) determinando cioè un aumento del rischio cardiovascolare (Godfrey L et al, Nutr Diabetes. 2014 Sep; 4(9): e134. Published online 2014 Sep 1. doi: 10.1038/nutd.2014.31).

Questo può spiegare perché l’aumento del Metilgliossale (che si misura con il Glyco Test o con il test PerMè) è indice di quella variabilità glicemica correlata con l’aumento di mortalità da tutte le cause, e quella cardiovascolare è sicuramente la più rappresentata. 

Le statine sono sicuramente un ottimo prodotto in molte situazioni, ma si tratta di farmaci che devono sempre essere usati con sapienza per una serie di motivi.

Il primo è che fin dal 2014, sulla base di una ricerca pubblicata sul JAMA, abbiamo spiegato nell’articolo “Colesterolo e statine: la falsa certezza del ghiottone” che tra gli utilizzatori di statine per il primo paio di anni esiste una contemporanea azione di controllo della sfera dietetica in cui vengono messi in atto quei comportamenti alimentari che dovrebbero ricondurre i valori di colesterolo, trigliceridi, massa grassa e glicemia nella norma.

Con il passare del tempo però, tra gli utilizzatori di statine si assiste ad un graduale progressivo lassismo nei confronti delle scelte alimentari e si è visto che nel volgere di 10 anni i soggetti trattati farmacologicamente per ridurre il rischio cardiaco hanno aumentato quasi del 15% la introduzione di grassi e del 10% la quantità di calorie introdotte quotidianamente, mentre i soggetti che non utilizzavano statine mantenevano una attenzione dietetica costante nel tempo.

Il secondo motivo è che dopo i 60 anni le statine non danno più quella protezione cardiovascolare presente nei soggetti più giovani. Una review pubblicata sul British Medical Journal online nel giugno 2016, con un lavoro fatto da universitari e ricercatori di tutto il mondo, ha posto addirittura seri dubbi sulla “ipotesi colesterolo” fino ad allora ritenuta valida. La loro revisone, applicata a circa 70.000 persone, ha confermato che dopo i 60 anni la mortalità per tutte le cause, compresa quella per malattie cardiovascolari, NON appare significativamente correlata con i livelli di colesterolo e di HDL. Una vera rivoluzione concettuale.

Il tema più rilevante sollevato dalla meta analisi del BMJ, effettuata su tutti i lavori che indicavano che un alto valore di LDL Colesterolo (il colesterolo cattivo) fosse responsabile dell’aumento della mortalità cardiovascolare (qui l’articolo originale completo), hanno definito che mentre questo può essere vero prima dei 60 anni, dopo i 60 anni la mortalità per tutte le cause, compresa quella per malattie cardiovascolari, NON appare significativamente correlata con i livelli di colesterolo (Ravnskov U et al, BMJ Open. 2016 Jun 12;6(6):e010401. doi: 10.1136/bmjopen-2015-010401) e che, anzi, un livello di colesterolo LDL elevato è un indicatore di una sopravvivenza maggiore.

Esattamente il contrario di quanto sostenuto fino ad ora da molti “teorici delle statine ad ogni costo”. La ricerca ha quindi confermato che il colesterolo LDL, oltre i 60 anni, può essere addirittura un elemento favorevole per la sopravvivenza.

Se pensiamo a tutti gli anziani italiani che prendono statine come “obbligo” per innalzamenti a volte molto modesti del colesterolo nascono riflessioni pesanti. Siamo di fronte a una vera rivoluzione concettuale.

Nel gennaio 2021, a confermare ulteriormente questo aspetto, un lavoro effettuato su soggetti diabetici e pubblicato su Biomedicines ha evidenziato che  la lesione endoteliale (quella cioè che contribuisce all’infarto o all’occlusione delle coronarie) dipende dalla glicazione delle lipoproteine. Residui di fruttosio e glucosio vanno a inserirsi su alcune proteine determinandone il malfunzionamento e facilitando la formazione della placca arteriosa che porta poi all’ischemia o all’infarto (Toma L et al, Biomedicines. 2021 Jan;9(1):18). 

E la glicazione si può studiare, valutando i danni da zuccheri, molto prima che possa comparire, ad esempio, una forma diabetica.

Oggi è disponibile infatti una valutazione personalizzata dello squilibrio zuccherino (con il Test PerMè o con il GlycoTest), che consente poi un’applicazione nutrizionale individualizzata, che permette la utilizzazione di zuccheri o alcol in momenti definiti dai valori presentati dal singolo individuo ma senza mai eliminare del tutto l’assunzione zuccherina. Lo scopo di una scelta nutrizionale “umana” e accettabile è quella di trovare un equilibrio nella assunzione degli zuccheri (qui un link all’articolo su “dove sono gli zuccheri”), che bilanci spazi di libertà e di controllo.

Per questo, nel centro SMA in cui lavoro, quando affrontiamo il sovrappeso e la sindrome metabolica attraverso specifici percorsi terapeutici, dedichiamo sempre una attenzione personalizzata al quadro infiammatorio dovuto agli alimenti e alla misura del BAFF, del Metilgliossale e della Albumina glicata (attraverso i test di GEK Lab) perché la risposta clinica sia anche quella della perdita di massa grassa inutile, se necessaria, ma soprattutto quello della riattivazione del metabolismo e della riconquista del benessere personale.