Colesterolo HDL e LDL: i valori giusti per la prevenzione

6 Aprile 2021
Colesterolo HDL e LDL: i valori giusti per la prevenzione

Per capire che i giusti valori di colesterolo non sono così chiaramente definiti, basterebbe analizzare le notevoli diversità tra le indicazioni (le cosiddette linee-guida) canadesi, statunitensi e europee. Quando si leggono criteri diversi per ogni regione del mondo, qualche dubbio, ovviamente, diventa lecito.

Diciamo che dal 2019, per la prevenzione delle malattie cardiovascolari (ictus e infarti del miocardio), almeno nei pazienti a basso rischio (che sono fortunatamente la maggior parte dei pazienti), si ritiene che il valore di LDL debba restare sotto ai livelli di 116 mg/dL. Non entro volutamente nel merito delle indicazioni date per i pazienti ad alto rischio, o a molto alto rischio o addirittura che abbiano sofferto un secondo infarto.

Per queste persone deve valere la valutazione cardiologica specialistica e la considerazione diretta di tipo clinico, che renderà opportuno o meno un trattamento più o meno aggressivo su base rigorosamente individuale. 

In alcuni casi si vorrebbe addirittura portare il colesterolo LDL sotto ai 40 mg/dL (con un rafforzamento del trattamento farmacologico) a dispetto di una serie di considerazioni che in anni molto recenti hanno evidenziato ad esempio che il colesterolo LDL potrebbe anche essere benefico.

Ogni valore di colesterolo andrebbe valutato personalmente, considerandolo in relazione allo stato di salute generale e all'età e non solo per l'effetto cuore. Dopo i 60 anni, ad esempio, anche LDL elevato può essere benefico.

Un bel lavoro danese pubblicato sullo Scandinavian Journal of Primary Health Care ha definito che nei soggetti di più di 60 anni di età l’aumento del colesterolo cattivo porta ad una riduzione del rischio di morte per qualsiasi causa in modo molto significativo sia nei maschi che nelle femmine, con un rischio quasi dimezzato rispetto invece a chi ha il colesterolo basso (Bathum L et al, Scand J Prim Health Care. 2013 Sep;31(3):172-80. doi: 10.3109/02813432.2013.824157).

Un lavoro cinese pubblicato  su Atherosclerosis nel 2015 ha addirittura misurato il fatto che per ogni 39-40 mg/dL in più (ripeto, in più) di LDL, cioè di colesterolo cattivo, in soggetti di più di 80 anni, si ha una riduzione del rischio di morte da tutte le cause (cardiovascolari incluse) del 19% (Lv YB et al, Atherosclerosis. 2015 Mar;239(1):137-42. doi: 10.1016/j.atherosclerosis.2015.01.002. Epub 2015 Jan 14).

Una review pubblicata sul British Medical Journal online nel giugno 2016 conferma questa indicazione (Ravnskov U et al, BMJ Open. 2016 Jun 12;6(6):e010401. doi: 10.1136/bmjopen-2015-010401). Un lavoro fatto da universitari e ricercatori di tutto il mondo che pone addirittura seri dubbi sulla “ipotesi colesterolo” fino ad oggi ritenuta valida. La loro revisione, applicata a circa 70.000 persone, ha confermato che dopo i 60 anni la mortalità per tutte le cause, compresa quella per malattie cardiovascolari, NON appare significativamente correlata con i livelli di colesterolo e di LDL. Una vera rivoluzione concettuale.

Su questi dati si è anche innestata una polemica rilevante tra scienziati, lobby e giornali, anche perché questo lavoro mina in un certo senso le “basi” del pensiero anticolesterolo e del supporto all’uso delle statine, ma nonostante le sollecitazioni, il BMJ ha mantenuto, su solide basi scientifiche, il sostegno alla validità del loro lavoro e non ha mai ritirato il lavoro dalla pubblicazione.

Non neghiamo che questa posizione è simile a quella che abbiamo da sempre sostenuto: che un po’ di burro crudo, sciolto su una pasta integrale sia salutare, mentre un olio polinsaturo cotto a lungo per preparare cracker e biscotti sia invece dannoso e che un ottimo modo di valutare in modo sistemico il proprio colesterolo è quello di studiarne il rapporto tra colesterolo totale e HDL.

Per chi abbia voglia di approfondire (in inglese) il dibattito che ne è nato, può essere interessante leggere le discussioni pubbliche intervenute nei mesi successivi, attraverso un articolo di Neal Barnard pubblicato sull’Huffington Post e un articolo di Nina Teicholz pubblicato sullo stesso BMJ nel settembre 2015 (Teicholz N. BMJ 2015;351:h4962). 

Credo fermamente che la lettura del “colesterolo” non debba essere fatta a “senso unico”, considerandolo solo un nemico. Giusto per fare un esempio, il cervello è costituito per la maggior parte di colesterolo e gli ormoni sessuali sono quasi tutti di derivazione dal colesterolo; alcuni studi hanno evidenziato condizioni come  la depressione grave in soggetti che abbassassero troppo il loro valore di colesterolemia. Insomma, il colesterolo, valutato in una ottica sistemica, ci serve probabilmente di più di quanto ci affligga…

Utile sarebbe fare una considerazione forte su quanto chiedono TUTTE le linee guida, che cioè a seconda delle diverse categorie di rischio, sia per la prevenzione primaria che per la secondaria, la terapia andrebbe sempre associata al “lifestyle advice” cioè al cambiamento dello stile di vita. Nella mia esperienza pratica vedo arrivare al centro SMA in cui lavoro un numero enorme di pazienti a cui sono state prescritte statine o altri farmaci anticolesterolo senza che a questi si affiancasse la minima indicazione all’attività sportiva o a una scelta nutrizionale adeguata.

Nei nostri percorsi terapeutici per il trattamento della ipercolesterolemia la parte nutrizionale, personalizzata, è sempre dominante e lo stimolo alla adeguata attività fisica sempre presente. Se si vuole fare vera prevenzione primaria si deve partire da lì. Anche mangiando tre uova al giorno, che di recente sono state documentate ininfluenti nella maggior parte delle ipercolesterolemie.

Potrei dire che è esattamente il contrario di quanto sostenuto fino ad ora da molti “teorici delle statine ad ogni costo”, ma sappiamo che la medicina evolve in modo dialettico facendo spesso lo “slalom” tra diverse teorie ed è bene conoscerle tutte. Bisogna conoscere i lati positivi e quelli meno noti. Ho sempre sostenuto che il giusto valore di colesterolo vada calcolato tenendo da conto il rapporto tra colesterolo totale e colesterolo HDL e continuo a sostenerne l’utilità nella maggior parte delle situazioni.

Eppure ha stimolato il mio interesse un riferimento, pubblicato nel 2017 sullo European Heart Journal, al fatto che anche il colesterolo buono (quello HDL), quando è davvero in eccesso (sopra i 116 mg/dL per gli uomini e sopra i 135 mg/dL per le donne) può essere comunque un segnale di superamento di “soglia” ed è infatti correlato con un eccesso di mortalità cardiovascolare. Come dire che anche per il colesterolo buono, quando è troppo è troppo. In termini scientifici si dice che esiste una curva di efficacia fatta a U, per la quale valori bassi di colesterolo sono pericolosi e valori estremamente alti (e devo dire molto rari) lo diventano di nuovo.

Questa cosa mi piace e mi rende sempre più simpatico l’HDL. Non è perfetto ma in genere si “comporta bene”, e aiutarlo a crescere con l’attività fisica adatta e con le scelte nutrizionali personalizzate fa sempre del bene, mentre qualche “sano sgarro” impedirà anche a lui di diventare troppo elevato, aiutando ogni persona a mantenere equilibrio e salute.