Colesterolo e placche nelle arterie. Attenzione quando crescono
Quando si scopre una placca arteriosa durante uno dei possibili esami di valutazione della circolazione (ad esempio un eco color doppler dei Tronchi Sovra Aortici o TSA) è necessario fare alcune considerazioni.
Le placche si formano per effetto dell’età, dell’infiammazione sottostante, dei livelli di glicazione e del ridotto controllo degli zuccheri, della pressione arteriosa e anche, finalmente, dei grassi nel sangue (colesterolo o trigliceridi che siano) e della eventuale predisposizione genetica.
L’elemento discriminante è quanto una placca possa alterare il flusso del sangue (condizione che facilita l’eventuale rilascio di “pezzettini” di placca. Normalmente placche che riducono il diametro dei vasi del 30% sono del tutto ininfluenti dal punto di vista circolatorio e obbligano solo ad un controllo nel tempo.
Placche di questo tipo possono essere del tutto normali, come se un fiume creasse qualche piccola ansa di sabbia nel suo percorso, senza per questo manifestare turbolenze (il referto cita allora “senza evidenti alterazioni emodinamiche”).
Le placche presenti nelle arterie obbligano una valutazione attenta delle possibili cause (sempre se il flusso arterioso è normale), evitando di mettersi le mani nei capelli con preoccupazione. Serve la giusta cautela ma non certo l’allarmismo gratuito.
Un aumento dello spessore arterioso fino ad 1 mm è considerato normalissimo ma vedo spesso ispessimenti di 1,1 (cioè minimi) trattati come se si fosse di fronte ad una severa vasculopatia e cardiopatia acuta. In questi casi è giusto aspettare un poco e rimettere a posto prima le condizioni che hanno contribuito alla formazione della placca per decidere se servono trattamenti più aggressivi.
Nel centro SMA in cui lavoro, per tutti i pazienti abbiamo sempre una attenzione a considerare tutti i possibili aspetti del problema e, nella maggior parte dei casi, valutata attentamente la situazione metabolica e circolatoria, aspettiamo di rivedere lo stesso esame a distanza di 12-18 mesi dopo avere impostato tutte le possibili forme di controllo nutrizionale, integrativo o farmacologico necessarie.
A conferma di questo aspetto “attendista”, che indica la necessaria attenzione alla placca e al suo significato evitando inappropriate considerazioni drammatiche, una ricerca pubblicata sul Journal of the American College of Cardiology nell’ottobre del 2024 ha rilevato il massimo valore di rischio solo in presenza di un significativo aumento della placca nel corso del tempo.
L’articolo è molto interessante dal punto di vista metodologico perché descrive anche i differenti tipi di esame effettuabili con indicazione delle possibili sottostime o sovrastime del problema; ne parla in dettaglio (in inglese) un ottimo articolo di Healio.
Ad esempio, con la valutazione del “Calcium Score” si può leggere un dato in crescita che in realtà corrisponde solo ad un aumento del calcio nella placca che la fissa e la immobilizza, impedendo il rilascio di emboli grassosi o altro. È possibile cioè che un elemento positivo (indurimento della placca) sia falsamente interpretato come un dato negativo.
Alla fine comunque la ricerca evidenzia che la crescita rispetto al volume ecografico rilevato se è significativa è un indice di rischio che richiede trattamenti più aggressivi e cautela mentre la stabilità del rilievo mantiene basso il livello di rischio.
Questo vale soprattutto quando si pensa alla aterosclerosi e alla formazione di placche come ad un problema sistemico, non solo dovuto al colesterolo ma anche alla infiammazione, alla glicazione, allo stato emozionale e complessivamente allo stile di vita.
Abbiamo già discusso su Eurosalus una ricerca che mirava solo all’abbassamento del colesterolo cattivo (LDL) e che non dava effetti di prevenzione del rischio vero (infarto, ictus eccetera) perché l’infiammazione restava comunque elevata.
Nella revisione effettuata dal gruppo di ricerca statunitense di New York, Boston e Cleveland e pubblicata su Lancet nel marzo 2023 erano coinvolte più di 30.000 persone, in cura con statine, delle quali sono stati studiati i livelli di infiammazione.
L’infiammazione è stata studiata in modo a-specifico, basandosi sulla Proteina C reattiva (CRP) ma misurandola secondo un criterio di continuità. Non quindi “sei infiammato o non sei infiammato” ma leggendone i valori di fondo come potenzialmente interferenti sulla salute cardiovascolare.
Ricordo che in un mio articolo del 2005 “È l’infiammazione e non il colesterolo il vero obiettivo delle statine” segnalavo già questo aspetto.
Per controllare l’espansione delle placche anche le statine possono avere una funzione antinfiammatoria, ma bisogna dar loro una mano attraverso l’alimentazione, oppure, agire prima contro l’infiammazione e poi decidere se le statine servano ancora o meno (come spesso facciamo per le persone che seguono i nostri percorsi terapeutici.
Dalla ricerca pubblicata su Lancet emerge che la persistenza dell’infiammazione era associata con alta significatività agli accidenti cardiovascolari, alla mortalità cardiaca e alla mortalità da tutte le cause, mentre la relazione coi livelli di colesterolo LDL aveva scarso significato clinico. Quindi non va guardato solo il colesterolo ma l’insieme della persona.
Soprattutto perché l’innalzamento dei livelli di colesterolo, nella maggior parte dei casi non dipende dalla assunzione di grassi o di colesterolo (ipercolesterolemia familiare esclusa), ma è molto più correlato agli zuccheri o all’eccesso di carboidrati alimentari, come spiegato nell’articolo “Colesterolo, zuccheri e statine: riflessioni per l’uso”.
Questo può spiegare perché l’aumento del Metilgliossale (che si misura con il Glyco Test o con il test PerMè) è indice di quella variabilità glicemica correlata con l’aumento di mortalità da tutte le cause, e quella cardiovascolare è sicuramente la più rappresentata.
Quindi, anche l’eventuale uso del farmaco deve essere accompagnato dalla modifica personalizzata degli stili di vita e della alimentazione perché il risultato farmacologico sia reale e non venga disperso perché i danni peggiori arrivano dall’infiammazione e non dal solo colesterolo. Può salvare più vite il controllo dell’infiammazione che abbassare il colesterolo e anche in presenza di una placca arteriosa stabile e che “non cresce” dedicare maggiore attenzione al miglioramento dello stile di vita controllando infiammazione e glicazione con la dieta.
Per questo, nel centro SMA in cui lavoro, quando affrontiamo problemi vascolari, placche arteriose, sovrappeso, ipercolesterolemia e sindrome metabolica attraverso specifici percorsi terapeutici, dedichiamo sempre una attenzione personalizzata al quadro infiammatorio dovuto agli alimenti e alla misura del BAFF, del Metilgliossale e della Albumina glicata (attraverso i test di GEK Lab) perché la risposta clinica sia anche quella della perdita di massa grassa inutile, se necessaria, ma soprattutto quello del controllo dell’infiammazione, della riattivazione del metabolismo e della riconquista del benessere personale.