Ammalarsi di diabete dopo avere fatto il COVID. Un rischio reale che può essere controllato

2 Aprile 2023
Ammalarsi di diabete dopo avere fatto il COVID. Un rischio reale che può essere controllato

Per chi si è ammalato di COVID, è necessario considerare il rischio di ammalarsi di diabete, sia di tipo 2 (alimentare) sia di tipo 1 (autoimmune).

Già nel 2022 si era evidenziato, a livello mondiale, che il diabete si manifestava almeno nel 4% delle persone ricoverate per COVID, ed è doveroso ricordare che in un caso su 7 delle infezioni si sviluppa comunque autoimmunità.

Limitandoci al tema del diabete, un articolo pubblicato su Diabetes Research and Clinical Practice in gennaio 2022 ha analizzato i dati di prevalenza del diabete negli USA quando di COVID non si sapeva ancora nulla, cioè alla fine del 2019 (10,5% della popolazione), definendo il trend di crescita fino al 2045 (12,2%). Ebbene, dopo un solo anno di COVID, alla fine del 2020, la prevalenza del diabete è arrivata, purtroppo in anticipo, esattamente ai livelli previsti per il 2045, cioè al 12,2% della popolazione. 

L’incremento di casi (in media 18,2 diabetici per 1000 persone ammalate di COVID) è anche in funzione della gravità della malattia, perché il COVID grave determina un aumento di casi di 23-24 per 1000 persone dopo un anno, ma anche una infezione paucisintomatica correla comunque con un eccesso di 8,1 casi per per 1000 (Xie Y, et al. Lancet Diabetes Endocrinol. 2022)

Il COVID, anche se superato in modo leggero, facilita la comparsa di diabete di tipo 2, ma con le giuste scelte nutrizionali si può farlo regredire e guarire.

Si tratta di un tema di forte impatto sociale futuro di cui si dovrà tenere conto su tutti i possibili piani. 

Una meta-analisi pubblicata nel dicembre 2022 su Metabolism: clinical and experimental ha considerato la storia clinica di ben 47 milioni di persone di tutto il mondo, delle quali oltre 4 milioni si erano ammalate di COVID, e ha potuto evidenziare che le persone che si sono ammalate di COVID hanno evidenziato un rischio di ammalarsi di diabete molto più elevato delle persone che non si erano infettate, confermando quindi i dati ipotizzati già alla fine del 2020.

Sapevamo che l’iperglicemia o la glicazione facevano peggiorare l’infezione e c’era il forte sospetto che il virus del COVID fosse attratto dagli zuccheri e cercasse poi di provocare una condizione diabetica che provocasse una specie di “nicchia ambientale” per garantire la ulteriore diffusione del virus. 

Oggi questo dato è confermato e obbliga chiunque si sia ammalato ad una cauta attenzione ai propri livelli di glicazione (e non basta la glicemia a digiuno e l’emoglobina glicata per capirlo). Per i vaccinati che si sono comunque ammalati c’è un dato decisamente buono, dovuto alla minore circolazione del virus nell’organismo. 

Come riportato su JAMA Network Open nel febbraio 2023, i non vaccinati hanno un rischio triplicato rispetto al normale di ammalarsi di diabete mentre nei vaccinati il rischio è solo il doppio. Fino a qui le notizie sono pessime, ma la buona notizia è che il 40% di questi casi di diabete, come riferito in Cromer SJ, et al. J Diabetes Complications. 2022, può regredire se vengono messe in atto le corrette azioni preventive. 

Significa che la conoscenza dei propri livelli di glicazione e di infiammazione può contribuire alla soluzione vera di questo problema e al recupero di un quadro metabolico adeguato. 

Poiché la glicazione si può prevenire anzitutto misurando i livelli di Metilgliossale e di Albumina glicata (Glyco test o PerMè) e facendo scelte alimentari che non eliminano certo gli zuccheri ma ne consentono l’utilizzazione in modo personalizzato, vuol dire che si è fatto un grande passo in avanti nella comprensione degli effetti di questo virus e nella possibilità di combatterlo.

Il gruppo di ricerca di GEK Lab, in questi ultimi anni, ha approfondito in modo molto intenso il tema della glicazione in rapporto con il COVID e infatti, in collaborazione con l’Unità Ostetrico Ginecologica della Fondazione Ca’ Granda Ospedale Policlinico di Milano e il Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità dell’Università di Milano (Professor Enrico Ferrazzi), ha portato a termine uno studio pubblicato alla fine del 2022 su Nutrients dal titolo, tradotto in italiano: “Infiammazione indotta dalla glicazione: severità del Covid-19 in donne gravide ed effetti sul nascituro” (Di Martino D et al, Nutrients 2022;14:4037. https://doi.org/10.3390/nu14194037).

Albumina glicata e Metilgliossale, i due innovativi marcatori di glicazione già studiati da GEK negli anni passati, che evidenziano i danni precoci dovuti a tutti i tipi di zuccheri, sono risultati decisamente alterati in donne in gravidanza con una una infezione da SARS CoV-2 caratterizzando la gravità dell’infezione in modo strettamente correlato coi livelli di glicazione. Come dire: Più glicazione più malattia…

Per questo motivo, nel centro SMA in cui lavoro, tutto lo staff medico e nutrizionale personalizza comunque la nutrizione dei nostri pazienti in base ai livelli infiammatori alimentari e a quelli di glicazione sia per affrontare il Long-COVID sia per affrontare le condizioni di alterazione metabolica come il diabete e il sovrappeso.