Malattie cardiovascolari e rischio cardiaco: e se i grassi non c’entrassero nulla?

23 Ottobre 2017
Malattie cardiovascolari e rischio cardiaco: e se i grassi non c'entrassero nulla?

Un folto gruppo di ricercatori internazionali ha pubblicato sul New England Journal of Medicine i risultati di una ricerca che può portare a riflessioni di rilievo sul futuro della medicina (Ridker PM et al, N Engl J Med. 2017 Sep 21;377(12):1119-1131. doi: 10.1056/NEJMoa1707914. Epub 2017 Aug 27). 

Tutto parte da uno dei trattamenti con anticorpi monoclonali (il Canakinumab, commercialmente distribuito come Ilaris) che viene utilizzato per alcune forme di artrite giovanile (malattia di Still) e per alcune forme simili all’artrite reumatoide dell’adulto, oltre che per una serie di forme di febbre periodica.

Si tratta di un farmaco (è uno specifico anticorpo) che agisce direttamente sulla Interleuchina 1 Beta (IL1 Beta), una citochina tipica della risposta infiammatoria alle infezioni.

Quando ad esempio una persona ha la febbre per una infezione, questo accade perché la IL1 viene prodotta a scopo difensivo e l’organismo risponde anche con l’innalzamento della temperatura corporea. 

Quando l’infiammazione è diffusa, e la IL1 Beta “gira per il corpo” in modo un po’ troppo eccessivo, possono nascere delle malattie infiammatorie croniche come appunto l’artrite e altre malattie immunologiche.

La relazione tra infiammazione, artrite e alimentazione è costantemente discussa su Eurosalus e proposta da anni nei protocolli terapeutici del nostro centro.  

I ricercatori hanno voluto verificare se l’azione di controllo infiammatorio di questo farmaco biologico, in soggetti già ammalati di cuore (precedentemente infartuati) e con livelli di infiammazione evidenti (Proteina C Reattiva – PCR – elevata), avesse un qualche effetto sulla malattia cardiovascolare pur senza avere effetti di qualsiasi genere sui livelli di colesterolo o di trigliceridi.

Infarti e ischemie sono legati all'infiammazione. Significa che il ruolo di colesterolo e altri grassi nel loro determinismo potrebbe davvero essere solo marginale.

I risultati hanno documentato che accade effettivamente questo. Nei soggetti trattati con Canakinumab si riduce in modo molto significativo l’incidenza di nuovi infarti o di altre malattie cardiovascolari, e si riducono gli indici di rischio, pur senza alcuna modifica dei valori dei grassi plasmatici.

Va segnalato che il costo di questo farmaco non è irrilevante: per questo tipo di trattamento (4 iniezioni all’anno) si possono raggiungere i 50.000 Euro a persona, ma il punto non è questo.

Le riflessioni che si possono attivare riguardano l’effettivo coinvolgimento dei grassi nella genesi della malattia ischemica. Si fa sempre più strada l’ipotesi che la cardiopatia sia una malattia infiammatoria molto più che una malattia metabolica, e in questo senso il lavoro del New England avvalora la richiesta di molti esperti di rifiutare la superdatata “ipotesi colesterolo”, tema di cui abbiamo discusso abbondantemente in un articolo del febbraio 2017.

Ecco allora che acquisisce sempre più valore sul piano clinico la conoscenza dei livelli delle citochine infiammatorie e la loro misurazione, in modo simile a quanto si fa con la lettura di BAFF e PAF, per identificare indicazioni nutrizionali e stili di vita che portino a mantenere il proprio benessere e la salute.

Oggi sappiamo che è possibile (e scientificamente dimostrato) intervenire sull’alimentazione per controllare l’artrite, e dal 2015 Mantovani ha definito con chiarezza che un oncogene come il PTX3 acquisisce potenzialità cancerogene quando una sua variante non è più in grado di controllare l’infiammazione. Nel periodo in cui usciva il suo articolo, pubblicato su Cell, Angelina Jolie decideva di eliminare mammelle e ovaie perché aveva una mutazione genetica predisponente, ma non determinante, il cancro della mammella. Mantovani ribadiva invece che il controllo dell’infiammazione è la chiave di volta per trasformare la genetica in qualcosa di più favorevole.

Oggi sappiamo che l’infiammazione può spiegare la nostra risposta al metabolismo e l’ingrassamento, e consente di capire che ogni impostazione nutrizionale deve essere individualizzata nel rispetto dei parametri infiammatori personali. E che molte patologie autoimmuni, a partire dalla tiroidite di Hashimoto per arrivare a Sclerosi multipla e Lupus, dipendono dalla presenza di BAFF e dal suo stimolo infiammatorio. 

E c’è di più, perché lo stesso Ridker, autore capofila della ricerca segnalata, nell’agosto del 2017 ha pubblicato su Lancet i risultati di una ricerca collaterale, in cui ha potuto verificare come l’impiego di questo farmaco (lo stesso Canakinumab, con azione antinfiammatoria molto mirata) abbia ridotto in soggetti mai precedentemente ammalati di cancro e trattati proprio per la patologia vascolare, la comparsa di tumori polmonari e la mortalità degli stessi (Ridker PM et al, Lancet. 2017 Aug 25. pii: S0140-6736(17)32247-X. doi: 10.1016/S0140-6736(17)32247-X. [Epub ahead of print]). 

Dato il costo di queste sostanze è evidente che a livello farmaceutico le industrie si stiano muovendo con l’intenzione di proporre altri nuovi farmaci e nuovi trattamenti per controllare l’infiammazione, che si sta dimostrando essere la causa vera e per lungo tempo non riconosciuta, delle più importanti patologie croniche.

La cosa che continua ad affascinarmi è che in modo scientifico e documentabile si possa oggi trattare l’infiammazione anche attraverso la modifica dell’alimentazione e degli stili di vita, di certo anche integrando i risultati ottenuti con le somministrazioni farmacologiche ma aiutando ogni persona malata, attraverso questi strumenti semplici e attuabili da chiunque, a recuperare la propria potenzialità di cambiamento nei confronti della malattia: un aspetto che è già di per se stesso cura e supporto.

Grazie a questi lavori, noi oggi sappiamo almeno tre cose in più:

  • Controllare l’infiammazione riduce (pur senza eliminarla) la malattia cardiovascolare.
  • Controllare l’infiammazione riduce l’incidenza di alcune forme di cancro e la loro gravità.
  • La patologia ischemica cardiaca potrebbe essere correlata solo in parte al problema della produzione di colesterolo e trigliceridi.

Si tratta di tre considerazioni che potrebbero, e in parte lo stanno facendo, rivoluzionare il mondo della farmacoterapia delle malattie croniche più impegnative. Ma soprattutto ci pone di fronte ad una necessaria ri-considerazione delle ipotesi legate al colesterolo.

Si è sempre un po’ pensato che alla base ci fosse un fenomeno infiammatorio. Oggi invece la strada della consapevolezza si è aperta e questa parte di conoscenza deve essere chiara a tutti, per prendere le necessarie misure. 

Misurare l’infiammazione e mettere in atto scelte nutrizionali personalizzate e uno stile di vita più congruo sono fattori che consentono in modo più semplice e non farmacologico la gestione di molte patologie croniche anche gravi con una possibilità per chiunque di aiutarsi in modo concreto a mantenere salute e benessere.