Altro che gene del cancro: è l’infiammazione il vero nemico

16 Febbraio 2015
Altro che gene del cancro: è l'infiammazione il vero nemico

Nel numero di Cell pubblicato giovedì 12 febbraio scorso, giusto prima del week end di San Valentino, è stato presentato il risultato di una ricerca sui geni che regolano la comparsa (o la guarigione) del cancro, svolta dal gruppo di ricerca dell’Humanitas Clinical and Research Center guidato da Alberto Mantovani, che ha la sua sede giusto alle porte Sud di Milano (Bonavita E et al, Mantovani A. Cell. 2015 Feb 12;160(4):700-714. doi: 10.1016/j.cell.2015.01.004).

Si tratta di un lavoro scientifico di valore assoluto, che mette in correlazione il controllo dell’infiammazione e lo sviluppo (o la eliminazione) di alcune forme tumorali ed è interessante notare la sincronictà con l’articolo che solo pochi giorni fa Eurosalus ha pubblicato, discutendo specificamente della importanza di alcune molecole infiammatorie nella regolazione dello sviluppo tumorale.

Mantovani e il suo gruppo, come tutto il mondo scientifico, conoscono da tempo il PTX3, un gene importante nella attivazione del cancro, come nel suo controllo.

Si sapeva che se PTX3 è attivo lo sviluppo tumorale (in particolare del cancro del colon e del leiomiosarcoma, ma anche di molti altri tipi di cancro) viene inibito, mentre quando PTX3 si disattiva quei cancri hanno via libera nel crescere.

Si tratta dunque di un gene, ed è come se PTX3 fosse una sentinella attiva che difende dal cancro.

Per molti anni si è pensato in quel modo un po’ distorto con cui la scienza sta tentando di fare accettare le manipolazioni genetiche. Se c’è un difetto causato da un gene, si può “cambiare” il gene o trovare una sostanza che lo modifichi ed ecco che la vita tornerà a sorridere.

È una visione semplicistica che spiega perché i titoli dei giornali, in questi ultimi giorni, nel riportare la notizia hanno usato espressioni come: “scoperto il gene contro il cancro”, “un nuovo gene spegne il cancro”,”scoperto gene che ha il potere di frenare il cancro” e così via. 

A onor del vero, almeno il Corriere della Sera, nell’articolo della brava Adriana Bazzi, ha titolato nel modo corretto “Una proteina contro l’infiammazione per sconfiggere il cancro”, dimostrando una partecipazione più attiva alla discussione e la capacità della Bazzi di approfondire questo tema.

Tutti gli altri si sono fermati a qualcosa di astratto, una ipotetica scoperta che un domani sarà utile, mentre le conferme di Mantovani e del suo gruppo danno finalmente valore e riconoscimento alle ipotesi già formulate dal World Cancer Research Fund e da altri ricercatori come Pollard fin dal 2006, che ha poi riconfermato i suoi lavori nel 2013.

Il gene PTX3 è un gene indispensabile anche alla semplice difesa dalle infezioni batteriche e interviene coinvolgendo il complemento (C3, C4 e C1q) e alcune citochine infiammatorie. Il suo “lavoro” è quello di controllare l’infiammazione attraverso la produzione di una proteina che agisce in questo senso.

Nelle prossime settimane Mantovani e il suo gruppo inizieranno a valutare clinicamente la possibilità di utilizzare su pazienti tumorali questa proteina, ma c’è qualcosa che già ognuno di noi può fare per una prevenzione adeguata e per il trattamento delle forme tumorali già attive.

Quello che Mantovani ha dimostrato va contro la stupidità di quella ricerca che ad inizio d’anno aveva cercato di dire che ammalarsi di cancro dipende solo dalla sfortuna.

Il gruppo dell’Humanitas sta documentando che l’epigenetica vince sulla genetica. Tradotto in modo semplice significa che alimentazione, attività fisica, controllo del peso e della resistenza insulinica e altri aspetti ancora sono tutte possibilità vere, nella disponibilità di ogni essere umano, in grado davvero di prevenire le forme tumorali e di giocare un ruolo molto importante anche nelle forme tumorali già diagnosticate.

Sappiamo per certo che la produzione di BAFF e di PAF è coinvolta in quella stessa infiammazione che crea l’ambiente adatto allo sviluppo di una forma tumorale.

Già iniziare a nutrirsi nel rispetto del proprio personale profilo alimentare, misurando i livelli di infiammazione da cibo presenti nell’organismo, consente di attivare le proprie risorse e di agire in senso antinfiammatorio nel percorso di benessere che ognuno può costruire con consapevolezza per sé stesso.

Nel 2012, la stessa Adriana Bazzi già aveva pubblicato sul Corriere della Sera un interessante articolo che iniziava a prendere in considerazione l’ipotesi infiammatoria nelle reazioni alimentari, riuscendo finalmente a staccarsi dalle controverse e spesso illusorie intolleranze alimentari.

In quel periodo il nostro gruppo definiva l’infiammazione da cibo riferendosi specificamente alla misurazione, oggi effettuata in modo standardizzato e facile, di due citochine come il PAF e il BAFF, che fa parte appunto della famiglia del Tumour Necrosis Factor alfa.

Il cerchio che si stringe attorno al cancro non è un cerchio legato alla terapia genica o alla chirurgia cromosomica. Si può stringere il cerchio e iniziare a difendersi dal cancro facendo attenzione agli alimenti giusti, aumentando la varietà alimentare, misurando le proprie citochine infiammatorie e mettendo in atto le azioni epigenetiche più indicate.

Trovo scandaloso che da 60 anni la medicna, come indicatori infiammatori misuri solo VES e PCR, quando si sa da tempo che anche le patologie tumorali sono connesse all’infiammazione.

Personalmente da qualche anno chiedo a tutti i miei pazienti di misurare BAFF e PAF e altri possibili indicatori infiammatori e alimentari, perché il benessere innanzi tutto e poi la prevenzione e la terapia antitumorale diventino esperienza concreta possibile a tutti.