Protesi d’anca: tornare a muoversi senza dolore

di Francesca Speciani - Counselor
6 Novembre 2012
Protesi d'anca: tornare a muoversi senza dolore

DOMANDA

Buongiorno. Di recente la mia artrosi è peggiorata e il medico mi ha suggerito di sottopormi a un intervento di protesi d’anca. Naturalmente ho la mia bella dose di paure, e soprattutto molte incertezze su cosa aspettarmi. In particolare temo un lungo periodo di riabilitazione post operatoria, una lunga assenza dal lavoro e non sono certo che i vantaggi superino gli svantaggi. Insomma, non riesco a prendere una decisione e intanto il dolore peggiora. So che prima o poi dovrò fare comunque questo passo, e ho bisogno di informazioni, tante informazioni… Giorgio

RISPOSTA

Caro Giorgio,

rispondo con piacere alla sua lettera perché anch’io mi sono sottoposta allo stesso intervento poco più di un anno fa. E anch’io – prima – ero piena di dubbi e di paure. Anche se entrare in sala operatoria comporta sempre qualche rischio, posso raccontarle che cosa ha aiutato me a prendere la decisione, e alcune delle interessanti scoperte che ho fatto lungo il percorso. Augurandole che il suo, se prenderà questa decisione, sia sereno come è stato il mio. 

Spaventata com’ero all’idea di un intervento, ho cercato prima tutti i modi non invasivi per contenere il problema, dai trattamenti osteopatici agli antinfiammatori, dalla Tecar all’approccio dietetico fino a quello psicosomatico. Poi un giorno il mio fisiatra, che è lo specialista della riabilitazione, mi ha mostrato – lastra alla mano – perché i miglioramenti ottenuti duravano solo poche ore. E mi ha spiegato come, operandomi prima che la muscolatura si deteriorasse troppo, avrei avuto una riabilitazione molto più rapida ed efficace. Insomma, la situazione di partenza ha il suo peso, e non è detto che aspettare sia sempre conveniente.

Così mi ha inviata da un ortopedico per cominciare a valutare la possibilità di una protesi. Lui mi ha messa direttamente in lista per l’intervento, ma mi ha più o meno derisa quando ho detto che intendevo operarmi anche per poter tornare a giocare a tennis. Disperata, sono tornata dai miei medici di riferimento, e su loro consiglio ho visto un secondo ortopedico, il quale mi ha spiegato che – grazie alle diverse protesi e alle diverse tecniche di impianto oggi esistenti – anche con una protesi è possibile tornare a fare sport con rischi molto ridotti. E mi ha invitata a perdere un po’ di peso, per non imporre alla protesi (e alla muscolatura circostante) un impegno eccessivo. Va da sé che ho scelto il secondo.

Questa esperienza mi ha insegnato che è molto importante, al momento della scelta del chirurgo, specificare il tipo di vita che consideriamo “normale” e qualunque esigenza particolare (anche la cicatrice, per esempio, può essere più o meno estesa a seconda del tipo di intervento), perché andranno a influenzare la scelta di ogni singolo pezzo della protesi e la tecnica di impianto che verrà presa in considerazione. Inoltre, vanno segnalate subito, perché non è detto che servano altre visite prima di entrare in sala operatoria. Nel mio caso non sono state necessarie, e la cosa mi ha sollecitato dubbi e paure. Ma il medico – al quale va tutta la mia gratitudine – sapeva il fatto suo e ha fatto le cose in modo impeccabile.

Oltre che con la dieta, quindi, nell’attesa ho scelto di mantenermi in forma con lezioni settimanali di acquagym; ho anche proseguito i trattamenti osteopatici, e soprattutto la fisioterapia. In quella fase, la mia fisioterapista ha dato molta attenzione alle spalle, perché dopo l’intervento è previsto un utilizzo consistente delle stampelle, per circa un mese e mezzo, che risulta molto facilitato quando abbiamo spalle, braccia e mani in grado di sostenere bene il peso.

Prima e dopo l’intervento, ovviamente, ho preso tutti i rimedi consigliati da Eurosalus per le operazioni chirurgiche, e i medicinali previsti dal protocollo ospedaliero, tra i quali l’eparina – per prevenire la formazione di trombi – che va poi iniettata per circa un mese e mezzo (in ospedale mi sono fatta insegnare da un’infermiera come farlo da sola, così ho potuto concludere la terapia a casa, da sola.) In particolare, prima del ricovero può essere utile chiedere al medico qualche farmaco per sostenere l’umore. Aspettare la convocazione può essere snervante e, per aver parlato con altri operati, so di non essere l’unica che in quel periodo ha registrato un aggravamento del dolore.

Pensare di dover organizzare un mese di assenza dal lavoro, da casa, da impegni di qualunque tipo, e non sapere che giorno comincerà quel mese richiede effettivamente nervi saldi. Aggiungiamo la paura. E aggiungiamo il fastidio di doverci trasferire in ospedale… per me è stato un periodo davvero cupo. Vale la pena quindi di metterci il più possibile a nostro agio. Io ho visitato il reparto, ho preso nota di cosa mi sarebbe stato utile o inutile, e ho chiesto di potermi portare da casa il mio cuscino (oltre a essere comodo e familiare, aveva anche un colore allegro). Per altri potrebbe essere appropriato aggirare la lista d’attesa fissando l’intervento in una casa di cura privata, con il vantaggio di poter scegliere una data. In ogni caso, uno studio recente suggerisce che il decorso post operatorio presenterebbe minori rischi di complicanze nelle strutture ospedaliere in cui vengono eseguiti più interventi.

La prima meravigliosa sorpresa, fin dal risveglio dopo l’intervento è stata l’assenza del dolore. È vero che per i primi tre giorni sono stata costantemente sotto l’effetto di potenti analgesici (una prassi ormai consolidata che diversi studi associano a una riduzione dei tempi di recupero), e regolarmente fornita di borse del ghiaccio, ma dal quarto giorno, quando sono stata trasferita nel reparto di riabilitazione e mi è stata sospesa la terapia analgesica, non ho mai più provato il dolore che ormai mi accompagnava da tanto tempo.

Una bella sorpresa condivisa dagli altri degenti con protesi d’anca (ma non – ahimé – da quelli con protesi al ginocchio). E dal mio armadietto dei medicinali sono scomparsi da allora gli analgesici e gli antinfiammatori. L’unico dolore vero dei primi tre giorni è stato il mal di schiena: un piccolo prezzo da scontare per il fatto di essere collegata a diversi tubi (quello del drenaggio, il catetere…) che impedivano di muoversi nel letto. Ma anche quello è sparito appena ho cominciato a muovermi per l’ospedale con le stampelle.

Già il giorno dopo l’intervento, in ospedale, la fisioterapista mi ha fatto scendere dal letto. E il giorno seguente mi ha fatto fare qualche passo. Da lì in poi ho sempre portato (per il solito mese e mezzo…) le calze elastiche, destinate come l’eparina a prevenire la formazione di trombi (un altro piccolo prezzo da pagare). Il terzo giorno, trasferita in riabilitazione, ho cominciato a fare due sedute quotidiane di fisioterapia e a recuperare progressivamente la mia mobilità.

Anche qui la sorpresa è stata grande: certi movimenti che la mattina non riuscivo a fare, se non aiutata dalla fisioterapista, mi riuscivano invece il pomeriggio. E il giorno seguente potevo estendermi fino a 10 ripetizioni, e il giorno dopo a 20. In tutto il processo di riabilitazione ho visto il mio corpo riappropriarsi con grande rapidità dei segmenti temporaneamente scollegati, e i muscoli riprendere forza da un giorno all’altro. Un grande insegnamento che, appena sono stata meglio, ho deciso di applicare anche agli addominali.

La dimissione di norma avviene quando il paziente riesce a muoversi bene con le due stampelle, e a salire e scendere le scale (il che può richiedere, grosso modo, due settimane). A questo punto, tuttavia, non è facile prendersi cura di sé, fare la spesa, prepararsi da mangiare, anche solo portare un oggetto da una camera all’altra. Per questo il fisiatra mi ha suggerito un ulteriore ricovero in una struttura diversa, dove completare la riabilitazione. Lì ho proseguito con una seduta quotidiana di fisioterapia, lunghe passeggiate nel parco della casa di cura e ampi spazi di riposo, finché non sono riuscita a muovermi abbastanza agilmente con una sola stampella. Tecnicamente non è indispensabile, ma vale la pena di considerare un prolungamento della riabilitazione soprattutto quando vogliamo recuperare la funzionalità precedente nel modo più completo possibile, o quando non abbiamo in casa qualcuno che ci assista per il periodo “2 stampelle”.

Ovviamente, il percorso di riabilitazione va deciso col fisiatra in base agli obiettivi e alle esigenze del paziente. Io, se fossi tornata a casa, avrei ridotto progressivamente le camminate, e sarei tornata troppo presto alla quotidianità disorganizzata di una madre che lavora (infinita gratitudine anche al mio fisiatra, che mi ha convinto a portare a termine una riabilitazione come si deve).

Una volta rientrata, ho continuato a fare fisioterapia una o due volte la settimana finché anche il mio passo non è tornato regolare. A 2 mesi dall’intervento guidavo agevolmente la macchina, a 3 mesi andavo in bicicletta, facevo sesso con un minimo di attenzione e ho lasciato anche la seconda stampella.

Quando la protesi ha compiuto 6 mesi ho ripreso molto gradualmente a giocare a tennis, e a muovermi in scooter. Più o meno nello stesso periodo ho ripreso anche i trattamenti osteopatici, per riaggiustare la postura (un po’ provata dallo zoppicamento pre-intervento) e i piccoli danni che mi procuro con l’attività fisica, che forse è un po’ eccessiva per una portatrice di protesi… ma la voglia di recuperare il tempo perduto è tanta! A poco più di un anno dall’intervento, gioco a tennis 3-4 ore la settimana.

Basandomi sulla mia esperienza, sono convinta che sia importante essere seguiti, per tutto il percorso, da un fisiatra di fiducia e da un bravo fisioterapista. E che la riabilitazione conti almeno tanto quanto l’intervento. L’ospedale dove sono stata operata segue inoltre un protocollo di controlli ortopedici a distanza di un mese e mezzo, 3 mesi, 6 mesi e 12 mesi dall’intervento. A ogni visita, ho trovato che lo staff ortopedico era sempre pronto a rispondere ai miei dubbi e alle domande che sorgevano via via, e penso che ogni singolo incontro, sia prima sia dopo l’intervento, rappresenti un’occasione delle quali approfittare per raccogliere il maggior numero possibile di informazioni, tutte preziose per mettere a tacere molte preoccupazioni.