Buonumore a rischio, quando i carboidrati sono troppi

18 Dicembre 2013
Buonumore a rischio, quando i carboidrati sono troppi

Già diversi lavori hanno ipotizzato in passato una relazione tra eccesso di carboidrati nella dieta e alterazioni dell’umore.

Grazie a uno studio condotto in Finlandia e apparso sul British Medical Journal, i meccanismi fisiologici che sostengono questa relazione sono molto più chiari.

Lo studio di Timonen pubblicato sul BMJ (Jan 1, 2005; 330:17-18) stabilisce una correlazione tra depressione e resistenza all’insulina. Il lavoro (Insulin resistance and depression: a cross sectional study) è stato svolto nella città finlandese di Oulu, monitorando con un test molto preciso la situazione depressiva e la resistenza insulinica all’interno di un ampio gruppo omogeneo di coetanei della stessa città.

Non solo la correlazione è risultata essere statisticamente significativa, ma la gravità dei sintomi depressivi aumentava con la resistenza all’insulina.

La resistenza insulinica (o insulino resistenza) è una particolare caratteristica del metabolismo degli zuccheri che indica come, per ottenere gli stessi effetti metabolici, occorra una maggiore quantità di insulina. Questo ormone prodotto dal pancreas è indispensabile per fare entrare lo zucchero nelle cellule e farle funzionare.

Quando nel sangue è presente più zucchero di quanto serva (come avviene appunto dopo aver mangiato carboidrati e dolci) l’insulina viene immessa in circolo in gran quantità, e fa il suo dovere: prende lo zucchero circolante e lo trasforma in grasso facendolo entrare rapidamente nelle cellule grasse e negli strati adiposi.

Quando non lo fa, il livello degli zuccheri nel sangue rimane più alto della norma (iperglicemia). Paradossalmente tuttavia, anche le persone ipoglicemiche sono spesso anche resistenti all’insulina.

I forti mangiatori di carboidrati tendono però a sviluppare una resistenza insulinica, e a questo punto, il quantitativo di insulina necessario a ridurre lo zucchero in circolo sarà maggiore.

Le conseguenze di questa alterazione sono di vario tipo, ma in particolare si osserverà un maggiore accumulo del grasso e una voglia di dolci più elevata (tipica del circolo vizioso del “craving”).

C’è una profonda diversità tra un episodio acuto di tensione (uno stress improvviso, una paura, una delusione d’amore) che tendiamo a sopire temporaneamente con l’aiuto di qualche alimento di velocissimo assorbimento (zucchero, dolce, alcol) e una situazione continua di malessere emotivo accompagnata dall’assunzione di questo stesso tipo di alimenti.

Se infatti la reazione temporanea tende ad autolimitarsi, l’uso continuo di zuccheri per dar sollievo a tristezza, noia o malessere tende a perpetuarsi nel tempo, anche perché in questo caso l’organismo mette in moto particolari processi biochimici, strettamente legati all’azione dell’insulina, che possono provocare veri e propri stati di depressione.

Tanto che il modo in cui recepiamo certi avvenimenti può dipendere proprio dal tipo di cibi che mangiamo e dalle nostre abitudini alimentari (e di movimento).

Il dato più interessante verificato dallo studio finlandese è che le persone con la più alta resistenza insulinica presentavano anche i sintomi depressivi più gravi. Inoltre, il confronto con i soggetti normali, era fortemente significativo.

Teniamo presente che la resistenza insulinica porta frequentemente a malattie come il diabete e la policistosi ovarica, ma che proprio per questo, dal lavoro sono stati esclusi tutti i soggetti con un diabete già diagnosticato (alcuni studi precedenti avevano infatti già verificato come livelli di depressione più elevati della norma siano più frequenti in pazienti con una diagnosi di diabete).

I soggetti che hanno preso parte al lavoro erano quindi tutte persone sostanzialmente normali, rese però diverse dal loro metabolismo nascosto, come può accadere ad ognuno di noi che mangi in modo costantemente squilibrato.

E infatti la connessione tra resistenza all’insulina e gravità dei sintomi depressivi nei soggetti con alterazione della tolleranza al glucosio, si è manifestata prima ancora dell’eventuale sviluppo del diabete, come si è potuto verificare appunto grazie all’esclusione dallo studio di tutti i soggetti con un diabete già diagnosticato al momento dell’inizio della ricerca. 

Le soluzioni a questo problema sono le stesse che portano alla prevenzione del diabete e alle tante malattie connesse con l’obesità e con la resistenza all’insulina.

Si tratta di soluzioni che ognuno può mettere in pratica nella propria quotidianità in modo molto semplice: evitare gli zuccheri semplici e i dolcificanti a favore di alimenti interi come frutta con buccia e farine integrali, abbinare a tutti i pasti carboidrati e proteine per abbassare il carico glicemico del pasto e migliorare la sensibilità insulinica, fare una prima colazione abbondante, fare attività fisica con regolarità.

Nella nostra pratica, in SMA, seguiamo da anni persone con problemi di resistenza insulinica e iperglicemia con criteri di impostazione nutrizionale scelti individualmente, attraverso specifici percorsi terapeutici.

Una integrazione minerale di importante utilità nella regolazione della sensibilità insulinica è ottenibile sia con il Cromo sia con il Magnesio, ad esempio utilizzando una prodotto come Oximix 6+ Glucocontrol che li contiene entrambi (utilizzado 5 ml a prima colaziona in abbondante acqua o succo).