Lo zucchero non fa bene al cervello. Legami tra deficit della memoria ed eccesso di zucchero

29 Aprile 2007
Lo zucchero non fa bene al cervello. Legami tra deficit della memoria ed eccesso di zucchero

Per anni una pubblicità martellante ci ha fatto credere che lo zucchero facesse bene al cervello…

Ora è vero che lo zucchero è indispensabile per il suo corretto funzionamento, ma cominciano a emergere prove che il suo eccesso ne determina invece un peggioramento.

Inoltre serve ricordare che ogni essere umano è in grado di reperire zucchero per far funzionare il cervello da molti tipi di sostanze alimentari, non necessariamente dolci.

Questo aspetto non riguarda solo i diabetici, ma anche i bambini e gli adulti sani, oltre che ovviamente gli anziani, che sono stati l’oggetto di uno studio importante e stimolante, che ci invita a riflettere sui comportamenti da tenere per mantenere il cervello efficiente e sano, e i rischi connessi a una dieta ricca di carboidrati.

Già più volte abbiamo segnalato come la sproporzione di carboidrati rispetto alle proteine, nella dieta seguita dalla maggior parte della popolazione, possa dare effetti che vanno al di là del semplice aumento di peso.

L’eccesso di carboidrati fa infatti aumentare la produzione di insulina, squilibrando la tolleranza al glucosio, con una serie di conseguenze sul piano metabolico, tumorale, vascolare, ormonale, muscolare e perfino su quello dell’umore.

Grazie a un nuovo studio oggi siamo al corrente anche dei danni che questo eccesso può produrre sul piano della memoria.

Non solo per i giovani, quindi, ma anche per gli anziani, i cui comportamenti alimentari sono meno attenti per esigenze di semplicità, risulta prioritario allora un rapporto equilibrato di carboidrati e proteine.

Lo studio, pubblicato nel febbraio 2003 e condotto da un gruppo di ricercatori statunitensi presso il Center for Brain Health, Department of Psychiatry dell’Università di New York (Proc Natl Acad Sci USA 2003, Feb 18; 100(4):2019-22), ha mostrato una relazione significativa tra il metabolismo degli zuccheri e i deficit di memoria negli anziani.

In particolare la ricerca, svolta su un gruppo di 30 individui di età compresa tra 61 e 76 anni, ha registrato una stretta associazione tra riduzione del meccanismo di regolazione del glucosio e decadimento delle funzioni cognitive generali, deficit di memoria e atrofia dell’ippocampo (un’area cerebrale chiave per le funzioni di apprendimento e di memorizzazione).

Questi dati suggeriscono come il substrato metabolico influenzi la struttura e la funzione dell’ippocampo. Un’osservazione che ancora una volta mette in luce l’importanza dell’alimentazione nella prevenzione e nella cura del deterioramento cerebrale.

Nella ricerca non si parla ancora di demenza senile o di morbo di Alzheimer, ma i deficit di memoria sono uno dei sintomi dell’invecchiamento che più facilmente destano la paura di sviluppare queste patologie.

Come si sa, esistono diverse condizioni ambientali capaci di favorire o rallentare il deterioramento cerebrale, sul quale incidono inoltre fattori come l’eccesso di radicali liberi e l’equilibrio vitaminico e minerale.

Ricerche precedenti hanno già segnalato come il rischio di sviluppare demenza senile e Alzheimer venga notevolmente ridotto dagli stessi comportamenti alimentari sani (che oggi sappiamo fondamentali anche nella prevenzione delle forme tumorali, delle malattie cardiovascolari, dell’osteoporosi e dell’invecchiamento precoce) e da una giusta integrazione di vitamine (quali acido folico, vitamine del gruppo B, inositolo) e di alcuni minerali che migliorano l’assorbimento di queste stesse sostanze.

Il dato nuovo messo in luce dalla ricerca citata riguarda invece il metabolismo degli zuccheri, così significativamente influenzato da una dieta “di segnale” che tenga d’occhio la quantità di carboidrati e la sua relazione con le proteine, che studi attentamente le reazioni del nostro organismo (soprattutto endocrine) al cibo che assumiamo, e della sua fondamentale funzione di “modulatore metabolico”.

Ancora una volta, dunque, la ricerca scientifica dà sostegno alla possibilità di intervenire con l’alimentazione nella cura e nella prevenzione di disturbi che di norma vengono trattati farmacologicamente.