Uricemia e acido urico. Possono essere segnali precoci di steatosi epatica anche in giovani magri

16 Novembre 2025
Uricemia e acido urico. Possono essere segnali precoci di steatosi epatica anche in giovani magri

Una ricerca effettuata da medici dell’Università Cinese di Tangshan e del Dipartimento di Chirurgia Epatobiliare del General Hospital della stessa città e pubblicata nel dicembre 2024 su Digestive Diseases and Sciences ha evidenziato una importante correlazione tra i valori ematici “normali” di acido urico e lo sviluppo di steatosi epatica, anche in soggetti magri.

Sono stati seguiti per 10 anni quasi 11.000 persone  di età compresa tra i 18 e i 45 anni che all’inizio della ricerca non avevano fegato grasso, erano magri o normopeso (BMI tra 18 e 25) e sono stati studiati i loro valori di uricemia all’inizio del percorso di studio.

Nel corso dei 10 anni ben il 44% dei soggetti studiati ha documentato la comparsa di MASLD (steatosi epatica) ma con percentuali molto diverse tra chi presentava valori di uricemia bassi e chi invece li presentava più elevati, pur essendo sempre nei range di normalità.

Attenzione: non si parla quindi di valori di uricemia sopra ai valori normali, ma di confronto tra valori normalmente accettati come fisiologici. Chi aveva valori vicino al limite superiore ha avuto una diagnosi di steatosi epatica circa nel 66% dei casi con una differenza notevole (e fortemente significativa) nei confronti di chi avesse valori minori di uricemia.

Fegato e pancreas possono diventare “grassi” (steatosici) per un eccesso di carboidrati, fruttosio, alcol, dolcificanti e zuccheri. Insieme ai valori di glicazione, valutare l’uricemia è utile perché è correlata all'uso del fruttosio (frutta compresa) e può suggerire il controllo della glicazione per evitare la steatosi.

Da questo lavoro si devono estrapolare due considerazioni immediate: 

  1. le fluttuazioni all’interno dei valori normali hanno spesso dei significati clinici che non vengono purtroppo valorizzati. Essere vicini al bordo superiore della normalità è diverso che trovarsi vicini ai limiti inferiori.
  1. L’acido urico si innalza nella maggior parte dei casi per un eccesso alimentare di fruttosio e solo in rarissimi casi per un eccesso di proteine. L’uricemia è infatti ormai considerata parte della sindrome metabolica, legata agli zuccheri e sappiamo quanto la glicazione (legata anche alla frutta) possa essere causa di steatosi.

L’acido urico in movimento verso l’alto, magari associato a valori limite di glicemia, anche se entrambi fisiologici, può quindi essere considerato un segnale precoce di alterazione del metabolismo degli zuccheri e di danno legato alla glicazione e di allarme nei confronti della steatosi.

L’elemento da tenere presente è che la glicazione si può controllare e quando si controlla la glicazione anche l’acido urico torna a valori più bassi.

Ci spieghiamo questi aspetti ricordando che una review pubblicata nel 2022 su Frontiers in Immunology ha spiegato con chiarezza che tutti gli zuccheri (che siano glucosio o fruttosio poco importa), quando sono assorbiti dall’intestino, possono attivare un processo infiammatorio che contribuisce alla formazione di citochine coinvolte in numerose malattie, steatosi compresa.

Questo si affianca ad un dato che ormai è conosciuto con certezza: che cioè  la variabilità glicemica dovuta ai picchi di fruttosio, di alcol e di carboidrati (oltre che di zucchero) aumenta del doppio il rischio di mortalità dovuta a qualsiasi causa. 

Le fluttuazioni di glicemia sono altamente correlate con la mortalità per qualsiasi causa, e questo avviene in modo del tutto indipendente dai valori di emoglobina glicata o di glicemia a digiuno.

Un eccesso individuale di zucchero, di fruttosio, di alcol, di dolcificanti e di carboidrati, determina non solo l’alterazione della capacità metabolica dell’organismo (diabete e sovrappeso ad esempio) ma una risposta infiammatoria correlata a tutte le malattie oggi più diffuse, e la steatosi epatica non è da meno.

Per tanti anni si è pensato che il responsabile delle steatosi fosse solo l’alcol, come spiegato bene in questo articolo di Michela Carola Speciani dal titolo “Fegato grasso: non più solo colpa dell’alcol” mentre si è poi capito che è l’uso degli zuccheri e dei carboidrati a determinare la patologia.

Le modalità nutrizionali con cui affrontare le steatosi del fegato (e del pancreas) sono descritte fin dal 2017 in questo articolo di Mattia Cappelletti dal titolo “Steatosi, nutrizione e stile di vita: quando la cura inizia a tavola”.

È importante ricordare che quando si parla di zuccheri e di glicazione non si fa riferimento solo allo zucchero da cucina ma anche al fruttosio (ebbene sì anche l’eccesso di frutta), all’alcol e ai polioli (dolcificanti artificiali) che condividono la stessa via metabolica. 

L’articolo “Zuccheri semplici, invisibili, nascosti: dove si trovano e come ridurne gli effetti?” descrive e spiega in dettaglio a che cosa fa riferimento il termine di “zuccheri”.

Più che utile quindi, diventa quasi obbligatorio, nella gestione dei consumi di zuccheri (e di eventuali “sgarri”), conoscere le proprie caratteristiche metaboliche, infiammatorie e genetiche. Capire cioè come il proprio organismo è in grado di gestire il flusso di zuccheri senza riceverne danno. 

Ciò consente di godersi una Sacher, un cannolo o due cucchiaiate colme di marmellata senza troppi allarmismi o paranoie. Anche per questo motivo misurare eventuali danni da zucchero in modo preciso è sicuramente meglio che supporre. 

Test come il Glyco Medical Program o il PerMè Medical Program consentono di identificare eventuali eccessi individuali di zuccheri e impostare una dieta personalizzata, con la giusta varietà alimentare (dolci compresi!).

Per questo, nel centro SMA in cui lavoro, quando affrontiamo tutte le malattie con una impronta metabolica, impostiamo sempre specifici percorsi terapeutici e dedichiamo una attenzione personalizzata al quadro infiammatorio dovuto agli alimenti e alla misura del BAFF, del Metilgliossale e della Albumina glicata (attraverso i test di GEK Lab) perché la risposta clinica sia soprattutto quella del controllo dell’infiammazione, della riattivazione del metabolismo e della riconquista del benessere personale.