Alimentazione e tumore: cosa è meglio mangiare?

di Ambra Carli - Nutrizionista
8 Marzo 2018
Alimentazione e tumore: cosa è meglio mangiare?

DOMANDA

Nell’ultimo mese mi sono imbattuta in diversi programmi tv e articoli di giornale che trattavano l’argomento “alimentazione e tumori”, senza riuscire però a ricavarne delle informazioni concordanti. Sono confusa e siccome il tema mi tocca da vicino vorrei capire quali sono le indicazioni nutrizionali che un malato oncologico dovrebbe seguire.

RISPOSTA

Cara Lettrice,

la malnutrizione è una delle tematiche più importanti che il paziente oncologico dovrebbe affrontare con il proprio nutrizionista.

A differenza di quanto avvenuto fino ad oggi, infatti, la malnutrizione non può essere considerata un ineluttabile effetto collaterale della malattia a cui rassegnarsi; essa è prevenibile e reversibile, a patto che l’intervento nutrizionale sia il più tempestivo possibile.

Prevenire la perdita di peso riduce la tossicità indotta dalla radio-chemioterapia, migliora la sensibilità delle cellule tumorali al trattamento antineoplastico, rinforza le difese dell’organismo, diminuisce la frequenza e la durata del ricovero e previene le complicanze post-operatorie e la depressione.

In alcuni casi, però, le terapie antineoplastiche possono determinare un aumento di peso.

Questo è particolarmente frequente nelle donne con tumore al seno, le quali vanno molto spesso incontro a sovrappeso e obesità anche a poca distanza dall’inizio della terapia.

È ormai noto che il sovrappeso aumenta sia il rischio di un primo tumore che di recidiva dopo terapia, oltre che di diabete, ipertensione e malattie cardiovascolari.

Il mantenimento di una buona composizione corporea riveste, quindi, una grande importanza nei malati di cancro, perché sia la perdita che l’aumento di peso involontarie influenzano negativamente la capacità di ripresa dell’organismo dopo le terapie.

Se l'OMS raccomanda l'assunzione giornaliera di almeno 0.83 g di proteine per kg di peso corporeo in un soggetto in normali condizioni di salute, nel paziente oncologico il fabbisogno proteico quotidiano sale a 1.0-1.5 g per kg di peso corporeo.

Nell’intraprendere il proprio percorso nutrizionale personalizzato, l’analisi della composizione corporea tramite bioimpedenziometria rappresenta uno strumento utile per stabilire il punto di partenza relativamente a stato di idratazione totale, acqua di ritenzione extracellulare, massa muscolare e massa grassa e stabilire così, l’adeguato apporto proteico e calorico per il singolo individuo.

È auspicabile introdurre almeno 30 kcal per kg di peso ogni giorno. Ad esempio è bene che un paziente che pesa 60 kg assuma almeno 1.800 kcal al dì, tuttavia, è molto più utile lavorare sulla qualità delle kcal assunte per dare segnali positivi di costruzione di massa muscolare e controllo dell’infiammazione sistemica.

Tenendo conto della possibile perdita di appetito del paziente oncologico, è fondamentale utilizzare una dieta il più variata possibile che, oltre a stimolare le papille gustative tramite sapori diversi, eviti il raggiungimento di elevati livelli di infiammazione legati alla ripetitività di consumo dello stesso alimento e fornisca tutte le sostanze di cui l’organismo ha bisogno.

Scegliendo, dunque, le fonti proteiche da assumere è bene tenere presente che l’infiammazione sistemica, presente soprattutto nel paziente oncologico, induce una “resistenza anabolica”, cioè una diminuzione della sensibilità della sintesi proteica agli stimoli anabolici.

Il che significa che se l’OMS raccomanda l’assunzione giornaliera di almeno 0.83 g di proteine per kg di peso corporeo in un soggetto in normali condizioni di salute, nel paziente oncologico il fabbisogno proteico quotidiano sale a 1.0-1.5 g per kg di peso corporeo.

Ogni parte del corpo è costituita da proteine e abbiamo bisogno di assumerle ogni giorno per mantenere sani i tessuti. In caso di malattia o di stress, l’organismo ha bisogno di proteine supplementari in modo da riparare eventuali “danni”.

È bene ruotare tutte le fonti proteiche nell’arco della settimana: pesci e uova in prevalenza, a seguire carni bianche e frutta secca, soia, formaggi e affettati, con minor frequenza, forniscono proteine ad alto valore biologico, ferro, vitamine del gruppo A e B, minerali e vitamine liposolubili.

Fondamentale poi associarvi frutta e verdura, prevalentemente crude, per la loro nota azione antiossidante, oli vegetali utilizzati a crudo per l’attività antinfiammatoria svolta dagli acidi grassi polinsaturi in essi contenuti e, infine, cereali integrali, tuberi e legumi contenenti proteine a scarso valore biologico, ma ricchi in fibre, ferro e calcio e fondamentali a fornire energia, con un basso impatto sull’andamento glicemico giornaliero.

Tutte le categorie alimentari, dunque, devono essere presenti nell’alimentazione del paziente oncologico, secondo il concetto che da anni è alla base delle indicazioni fornite nello studio SMA di Milano e cioè che “nessun cibo è contro”.

L’effettuazione di un test per la valutazione dell’infiammazione da cibo (Recaller Program o BioMarkers) rappresenta poi un tassello fondamentale per rendere il piano alimentare ancora più personalizzato: riducendo, infatti, la frequenza di assunzione delle categorie alimentari positive al test, è possibile controllare ulteriormente il proprio livello di infiammazione sistemica.

Essendo ormai noto anche il legame tra infiammazione, insulino-resistenza e rischio nello sviluppo di patologie tumorali, è importante organizzare la propria giornata alimentare con lo scopo di ridurre il più possibile le fluttuazioni glicemiche e insulinemiche nel corso del quotidiano.

Colazione da re, pranzo da principe e cena da povero è la prima indicazione, seguita dalla distribuzione delle proteine giornaliere in ognuno dei tre pasti, in associazione ad un egual volume visivo di carboidrati integrali e vegetali.

Importantissima, infine, la riduzione nel consumo di zuccheri semplici e di prodotti industriali ricchi di dolcificanti artificiali.

Un’azione molto potente sull’insulino-resistenza è svolta anche dall’attività fisica, che il malato oncologico può seguire in un allenamento moderato e supervisionato.

Affinché gli effetti positivi del movimento si esplichino, è necessario che durante l’allenamento il paziente raggiunga il 50-75% della frequenza cardiaca massima di base e che le sessioni di allenamento siano almeno 3 a settimana per una durata singola di 10-60 minuti, in base allo stato di salute del paziente.

Gli obiettivi saranno il mantenimento o il miglioramento della capacità aerobica e della forza muscolare e la riduzione della fatica e dell’ansia.

Anche solo una camminata di 10 minuti dopo ogni pasto, condotta all’aria aperta, rappresenta uno strumento utile a combattere l’atrofia muscolare da inattività, a migliorare l’andamento insulinemico e a innalzare l’autostima e la qualità della vita non solo del paziente oncologico, ma di tutti.