Insonnia e benzodiazepine: rischio aumentato di declino cognitivo

28 Maggio 2023
Insonnia e benzodiazepine: rischio aumentato di declino cognitivo

Nel gennaio 2023 il Journal of Alzheimer’s Disease ha pubblicato uno studio molto preciso, effettuato su oltre 3000 persone seguite per 15 anni, che ha portato a definire un rischio aumentato di declino cognitivo e di forme di demenza per l’uso continuativo (e non per quello occasionale) di benzodiazepine, cioè dei farmaci più comunemente usati per trattare l’insonnia in modo farmacologico.

Si parla di un rischio “demenza” che si avvicina al doppio di chi non prende questi farmaci. 

Nella ricerca sono stati caratterizzati i diversi tipi di uso:

  • Mai
  • Raramente (meno di una assunzione al mese)
  • Talora (fino a 4 assunzioni al mese)
  • Spesso (da 5 a 15 volte al mese)
  • Quasi sempre (da 16 a 30 volte al mese)

Dopo avere controllato tutti i possibili fattori di interferenza nello studio, le persone che assumevano benzodiazepine “spesso” o “quasi sempre” (quindi più di 5 assunzioni al mese) evidenziavano un rischio aumentato di sviluppo di demenza e di declino cognitivo. 

Interessante notare che in questo studio è anche emerso che la comparsa di neurodegenerazione e calo della memoria non era legata ai disturbi del sonno o alla sua qualità ma, dal punto di vista della verifica statistica, solo alla assunzione dei farmaci. 

Questi dati vanno a confermare le anticipazioni presentate ancora nel 2020 da uno studio canadese (Università del Quebec) effettuato per 10 anni su oltre 10.000 soggetti di età superiore ai 65 anni. Già in questo studio si evidenziava con certezza la presenza di una disfunzione cognitiva nei soggetti di oltre 65 anni cui venivano prescritte continuativamente benzodiazepine per l’insonnia.

Controllare la glicazione e utilizzare per l'insonnia terapie che vanno dal supporto psicoterapico all'impiego di magnesio, inositolo ed efficaci fitoterapici, può evitare l'uso continuativo di farmaci per l'insonnia, riducendo il rischio di declino cognitivo.

Al di là della grande cautela con cui si devono quindi definire i trattamenti per l’insonnia, soprattutto nei soggetti anziani, viene da considerare anche l’aspetto emotivo, che potrebbe essere concomitante a questa relazione tra demenza e farmaco.

È evidente, a buon senso, che molte persone con un vissuto affettivo ed emozionale molto “turbolento” possano avere bisogno di una maggiore costanza di assunzione farmacologica e quindi la relazione potrebbe essere legata anche all’aspetto psichico, che comporta comunque delle alterazioni croniche di tipo vascolare anche a livello del tessuto nervoso. 

E ancora di più, parte di questa analisi deve tenere conto della relazione profonda che esiste tra i nuclei di “gratificazione” stimolati dalle benzodiazepine (tanto che spesso ne deriva una dipendenza) e quelli correlati con l’uso degli zuccheri, dell’alcol e delle droghe voluttuarie che sono parzialmente sovrapposti tra loro.

Su Eurosalus abbiamo già discusso quanto sia rilevante la connessione tra glicazione e neurodegenerazione (si possono rileggere ad esempio “Alzheimer, zuccheri e AGEs: quando si perde la memoria per i nomi” oppure “Alzheimer, declino cognitivo e Metilgliossale”), ed è a tutti ben noto che la relazione gratificante degli zuccheri nei confronti dell’ansia può portare ad un eccesso di assunzione zuccherina proprio nelle persone ansiose che spesso soffrono anche di sonno disturbato. 

Esiste quindi questa strana ma ben documentata relazione tra neurodegenerazione, demenza, zuccheri, declino cognitivo e uso di farmaci per il sonno. 

Giusto per avere un esempio pratico di questo aspetto, nel 2021 Palavra ha descritto, su Frontiers in Nutrition, che i pazienti affetti da Parkinson tendono ad avere una maggior propensione verso il consumo di dolci, caramelle, bevande zuccherate, cioccolato, zuccheri semplici, miele e marmellate, spiegando che chi ha questi “impulsi incontrollati” verso gli zuccheri (e quindi ha una glicazione elevata) soffre anche di maggiori sbalzi dell’umore e di dolori cronici, e richiede maggiori quantità di farmaci per controllare i sintomi. 

È ovvio quindi che al di là dell’uso occasionale di una benzodiazepina, visto che capita di doverne usare occasionalmente in molte situazioni cliniche, sia da valutare sempre con cautela l’uso continuativo di questi prodotti per il trattamento dell’insonnia, per evitare l’elevato rischio di favorire il declino cognitivo e la perdita di memoria.

Inoltre vanno considerati gli aspetti emozionali (e una psicoterapia bene impostata può spesso aiutare a superare i disturbi del sonno) e gli aspetti nutrizionali legati alla glicazione, cioè all’eccesso individuale dell’uso di tutti i tipi di zucchero, del fruttosio, dell’alcol e dei polioli. 

La presenza di metilgliossale (misurabile oggi attraverso il test PerMè di GEK Lab) è ad esempio una sorta di segnale preliminare di un successivo deposito di amiloide e di sviluppo di Alzheimer e attraverso un suggerimento nutrizionale personalizzato può essere controllato.  

Si è capita finalmente non solo la relazione statistica tra zuccheri e demenza ma anche la modalità specifica con cui si arriva alla deposizione di amiloide e all’Alzheimer, facendo quindi passi giganteschi verso la possibile prevenzione di questo tipo di malattie, in cui probabilmente anche il trattamento farmacologico dell’insonnia può avere un ruolo concausale.

Questo è uno dei motivi per cui nel centro SMA in cui lavoro tutto lo staff medico e nutrizionale personalizza comunque la nutrizione dei nostri pazienti in base ai livelli infiammatori alimentari e a quelli di glicazione. Qui si può leggere un bell’articolo di Martina Rossi dal titolo “Gli alleati del sonno a tavola” perché forse la soluzione non è quella di prendere la “camomilla col miele”, che gratificherà forse il palato ma andrà proprio a generare la produzione di glicazione aggiuntiva, mentre l’uso di fitoterapici adeguati, di inositolo e di magnesio può aiutare molto di più il riposo notturno senza creare possibili danni. 

Conoscere il proprio livello di metilgliossale e capire in anticipo se il proprio organismo ha elevati livelli di glicazione consente a ogni persona di attivare in tempo una giusta prevenzione della evoluzione verso la degenerazione neuronale, e questo diventa quasi obbligatorio quando coesistono altri fattori di possibile danno come l’ipertensione arteriosa o l’insonnia con il suo uso di benzodiazepine continuativo. 

Come abbiamo spesso segnalato non vanno mai “eliminati” gli zuccheri ma si deve comprendere, invece, quale sia il livello individuale di glicazione per scegliere un programma nutrizionale personalizzato che moduli la quantità giornaliera di zucchero, di alcol e di frutta per rientrare in una condizione di normalità ed evitare la degenerazione cerebrale. 

Misurare è meglio che supporre, e conoscere la propria glicazione consente di intervenire in modo efficace e tempestivo nella prevenzione della demenza e supportarne la terapia.

Oggi, quando visito i miei pazienti e domando come sono mancati i genitori o i nonni, in 1 caso su 3 mi sento dire che una forma di demenza senile o di neurodegenerazione ha colpito il parente negli ultimi 8-10 anni di vita…

Senza rinunciare agli zuccheri, prevenire per se stessi questa evenienza è nelle potenzialità di tutti.