Lotta all’omeopatia e falsità: moda di stagione

7 Maggio 2014
Lotta all'omeopatia e falsità: moda di stagione

La lotta all’omeopatia continua ad essere di moda e come ogni anno, conclusa la stagione dell’influenza e della spinta all’uso dei vaccini, in previsione della stagione estiva si è scatenata su alcune testate giornalistiche la consueta lotta contro una forma di terapia dolce, l’omeopatia questa volta, apprezzata e usata da medici e cittadini in tutto il mondo.

Ad anni alterni arriva la lotta alle vitamine oppure quella all’omeopatia. Quest’anno era il suo turno.

Non ha troppa importanza da dove emerga la motivazione della lotta, e anche quest’anno la comunicazione origina da un ipotetico lavoro australiano (non pubblicato su alcuna rivista scientifica) che ha preteso di effettuare una meta-analisi sulla efficacia dei lavori omeopatici relativi ad un numero notevole di malattie.

Come risultato sono state pubblicate la bellezza di 300 pagine di discussione, che significa che i lettori “veri” di questo lavoro si conteranno sulle dita di una mano. (Il link segnalato dovrebbe restare visibile online fino al 26 di maggio, per chi eventualmente fosse interessato).

L’importanza di questa pubblicazione sta solo nel titolo (inefficacia dell’omeopatia) e anzi, il fatto che si tratti di 300 pagine impedisce alla maggior parte dei lettori di andare a scoprire alcune sottili e intriganti “falsità” che sono state palesemente inserite nel lavoro. L’importante, come è avvenuto, è che giornali e riviste di settore abbiano rilanciato la notizia con titoli palesemente denigratori su questa forma di terapia dolce.

Si tratta di una lotta a qualsiasi possibilità terapeutica diversa da quella chimica e famacologica, una lotta di settore che si ripete ogni anno e che cerca di dare valore assoluto ad una unica forma terapeutica legata all’esclusivo mondo del farmaco.

Noi crediamo che non sia nemmeno il caso di entrare nella discussione critica di ogni singolo punto, perché questo renderebbe concreto e realistico il messaggio della vignetta (tratteggiata dalla matita di Maurizio Dal Borgo) che abbiamo presentato in questo articolo.

Vogliamo evitare in assoluto una contrapposizione critica tra il mondo dell’allopatia e il mondo dell’omeopatia. Da sempre Eurosalus sostiene i valori dell’una e dell’altra forma di terapia all’interno di un concetto di medicina integrata che sappia utilizzare per ogni singola persona lo strumento più idoneo ai suoi singoli bisogni.

La critica che possiamo porre è di tipo più generale, legata al fatto che da anni (i primi lavori in questo senso risalgono al 2004) si vorrebbe dare valore assoluto ai cosiddetti lavori randomizzati controllati e in doppio cieco che dovrebbero avere una valenza decisamente superiore a quella dei lavori invece osservazionale o di coorte. Si tratta di un concetto un po’ troppo “medichese” che va meglio spiegato.

Se volessimo valutare la differenza fra un lavoro osservazionale e un lavoro randomizzato basterebbe dire che mentre i lavori randomizzati sono indicati per studiare un singolo effetto specifico e quindi ad esempio l’efficacia di un farmaco su un singolo aspetto, i lavori osservazionali sono invece studiati per poter definire la efficacia di una terapia generale in una situazione complessa, in cui siano considerati più aspetti.

Se dovessimo valutare il fatto che un dito staccatosi dalla mano per un incidente possa venire riattaccato e la mano riprendere a funzionare, una analisi randomizzata e controllata in doppio cieco sarebbe impossibile, e la statistica ci direbbe che il fatto che la mano riprenda a funzionare (come giustamente ci dice e ci conferma un lavoro osservazionale) non ha alcuna significatività statistica. Eppure la mano riprende a funzionare nella maggior parte dei casi grazie ai progressi della scienza.

Lo studio osservazionale potrà invece dirmi che la mano riprende a funzionare e che quindi quella tecnica è efficace nel riattaccare un dito ad una mano. I due tipi di studio dovrebbero essere integrati tra di loro (come noi facciamo nella nostra pratica clinica) mentre il tipo di lotta che viene effettuato in questo momento è legato al tentativo di fare passare a livello mondiale che l’unico modo di poter considerare la realtà e di leggerla secondo quel protocollo di lettura adatto all’utilizzo del farmaco classico.

Ovviamente da questa chiave di lettura vengono escluse le terapie con minerali, vitamine, l’omeopatia e qualsiasi forma terapeutica che sia ad esempio legata alla riequilibrio delle funzioni generali di un organismo, legate cioè alla azione su una struttura complessa in cui la valutazione di efficacia deve essere fatta in modo più personalizzato senza per questo essere fuori dalla scienza.

All’interno di questa polemica importante ci piace segnalare l’articolo (in inglese) di Jerome Burne (noto articolista scientifico anglosassone) che descrive specificamente l’impossibilità di poter discutere di questo tema senza una posizione di tipo religioso o lobbistico, e nel suo pezzo richiama l’articolo pubblicato da JAMA Neurology in febbraio 2014 che discute sui diversi effetti sulla salute dovuti all’utilizzare solo lavori randomizzati e controllati o lavori osservazionali.

In quell’articolo di JAMA viene detto che la crescente scelta di affidarsi solo ai lavori randomizzati e controllati ha portato alla esclusione di altre fonti di ricerca indispensabili e utili per il progresso della scienza e soprattutto per il raggiungimento della guarigione (Dacks PA et al, JAMA Neurol. 2014 Feb;71(2):137-8. doi: 10.1001/jamaneurol.2013.5376). Appoggiarsi solo su questo tipo di lavoro è equivalente a sedersi su una seggiola con una sola gamba. Prima o poi si cade rovinosamente.

È ovvio che sia impossibile poter realizzare studi randomizzati e controllati in doppio cieco nella misura in cui si vogliono valutare più effetti su una persona.

Di fronte ad una terapia complessa come quella che può essere impostata in tutte le malattie croniche degenerative oggi più diffuse e in cui si deve intervenire sullo stile di vita e sul comportamento, la scelta di valutare solo lavori randomizzati e controllati è una scelta perdente per la società e vincente per l’industria del farmaco, che infatti arriva a proporre l’impiego di 6 o 8 farmaci insieme nelle malattie croniche perché ognuno può essere affiancato ad un effetto, rifiutando qualsiasi azione più globale.

Purtroppo, a dispetto degli errori presenti nel lavoro australiano sull’omeopatia, il progetto è sempre e ancora quello. Cercare di fare “passare” un concetto di certezza dove invece la stessa Scienza dibatte sulla utilità di usare quel tipo di chiave di lettura.

Gli interessi economici in gioco sono troppo elevati, e passano al di sopra della testa dei malati, indifferenti ai loro bisogni.

Continuo a sostenere la necessità di proseguire come fatto fino ad ora le ricerche sulle forme terapeutiche che cercano attraverso alimentazione, terapie dolci e utilizzo di messaggi e di segnali per l’organismo simili in tutto a quelli delle citochine, di potere attivare i processi di guarigione.

Non è certo chi urla più forte che vince. Siamo in una situazione in cui può essere preferibile usare segnali dolci per l’organismo, arrivando a “suggerire” alle cellule una modifica del metabolismo, attraverso i segnali delicati cui queste sono abituate, riducendo al minimo indispensabile i farmaci con un solo tipo di effetto, come grandi scienziati come Rita Levi Montalcini ci hanno insegnato a capire.

Anno dopo anno sappiamo che gli interessi commerciali continueranno a proporre, come è successo ora, le “normali” campagne anti uomo. Io sono ormai vaccinato, e mi auguro che la capacità di scegliere il buono (che comprende molti aspetti della medicina allopatica e molti legati alle terapie dolci) sappia prevalere.

 

(*) Lo schizzo a corredo di questo articolo è stato disegnato nei giorni scorsi da Maurizio Dal Borgo, uno dei più famosi pubblicitari e creativi italiani, pittore riconosciuto e apprezzato; esprime il conflitto tra omeopatia e allopatia. La loro non comunicabilità diventa crisi.