Trovare un bravo medico

15 Gennaio 2004
Trovare un bravo medico

Un bravo medico può aiutare a vivere bene e in salute; un medico che non fa o non sa fare bene il suo lavoro può contribuire a rendere la vita difficile. Questo è sicuramente un primo indizio, ma al di là della percezione personale, in base a quali fattori possiamo valutare la “bravura” di un medico?

Un chirurgo tecnicamente perfetto, magari l’unico in grado di effettuare un certo intervento, può essere ritenuto bravissimo, ma se è incapace di convincere ad esempio la persona malata di cancro che gli si è rivolta a operarsi o a seguire le terapie connesse con l’intervento, se non la informa sulle eventuali complicazioni o sul disagio post-operatorio, può essere un bravo tecnico, ma non un bravo medico.

Purtroppo l’incapacità di tanti medici a dialogare con le persone malate vanifica gran parte della competenza acquisita in anni di studio, che d’altra parte non contemplano una formazione specifica su questo tema. Ma non solo: un malato che incontra un medico non bravo, infatti, rischia di dare maggior credito ai consigli del sarto, del parrucchiere o del vicino di casa semplicemente perché questa persona gli dimostra finalmente comprensione o lo ascolta con simpatia.

Sul fronte opposto, un medico che riesce a creare una sensazione di simpatia e di contatto con le persone che incontra e riesce a comprendere i bisogni profondi che gli vengono riportati, ma manca di competenze tecniche e non sa riconoscere una polmonite o una colica renale, è un buon comunicatore, ma non un bravo medico.

Sul concetto di “bravo medico”, come d’altra parte su quello di salute, si scontrano però diverse scuole di pensiero, tanto da sollecitare un vivo dibattito anche sulle riviste scientifiche più note.

Se in molti ambienti sanitari la professionalità del medico si misura ancora in base alle sue competenze esclusivamente tecniche, sempre più spesso si nota un’apertura alla necessità che il medico debba integrare diversi approcci (per esempio quello psicologico, quello dietetico, quello naturale o la conoscenza di interventi a bassa tecnologia) perché la sua azione possa essere valida ed efficace in una molteplicità di situazioni cliniche. 

Per fare un “bravo medico”, occorrono almeno tre elementi base, sapientemente miscelati.

Il medico deve disporre delle conoscenze di base che gli consentano di muoversi agevolmente su tutti i campi. Questo non significa che ogni medico debba possedere una serie di nozioni iperspecialistiche: è ben poco realistico che un medico di base conosca ad esempio i procedimenti chirurgici più recenti per l’operazione di sostituzione del cristallino (la cosiddetta “cataratta”).

È tuttavia indispensabile che anche uno specialista di un campo specifico (ad esempio un ginecologo) riconosca i segnali che possono indicare un disturbo che è di competenza di un altro specialista (per esempio uno squilibrio della tiroide). Tanto il medico di base quanto lo specialista, infatti, non devono necessariamente “saper curare” il disturbo tiroideo o la cataratta, ma devono essere in grado di fare una prima diagnosi interpretando e collegando tra loro i dati anamnestici e di indirizzare il paziente allo specialista più adatto o a un collega più esperto.

A nulla valgono infatti certi screening sulla popolazione o importanti pratiche di diagnosi precoce se non sono inseriti nel quadro clinico individuale che solo il medico curante riesce a vedere in tutta la sua complessità.

Questa conoscenza di medicina generale è la base su cui si inseriscono la competenza specialistica propria di ciascun medico e le altre capacità acquisite in campi diversi, per le proprie inclinazioni o passioni personali. Spesso infatti un medico è particolarmente bravo proprio nel campo che lo appassiona intimamente. Per quanto riguarda l’aggiornamento, va solo ricordato che la medicina è in continua evoluzione e che fermare la propria voglia di conoscere, per un medico bravo, significa scegliere di non esserlo più.

Dall’esempio del chirurgo tecnicamente perfetto proposto all’inizio, si comprende come la possibilità di aiutare una persona malata dipenda anche dalla capacità di costruire una relazione valida tra medico e paziente. Per farlo è necessario saper ascoltare e saper spiegare.

L’ascolto è uno strumento indispensabile per cogliere non solo quello che dice il paziente, ma anche come lo dice. Il modo in cui una persona parla, la sua reazione alle domande, e anche la costruzione logica del suo pensiero aiutano il bravo medico non solo a comprendere meglio il disagio presentato, ma anche a decidere come comunicare la diagnosi, quindi come aiutare la persona a iniziare il proprio percorso terapeutico.

Le stesse informazioni può raccogliere il paziente, per valutare se il medico che ha di fronte fa al caso suo. Dato che l’instaurarsi di una relazione, di un clima di fiducia reciproca, è fondamentale per l’efficacia del processo terapeutico, a volte non basta che il medico “sappia” comunicare: deve riuscire a entrare in sintonia con la persona che cura. Un bravo medico sa farlo, anche quando non condivide l’atteggiamento del paziente, la sua filosofia di vita, i suoi impedimenti di ordine religioso.

Con questo termine non ci riferiamo alla responsabilità giuridica, civile o penale, che ogni medico ha comunque sempre nei confronti del proprio paziente. Un medico che sbaglia con intenzione o per negligenza dovrà comunque sempre rispondere del suo operato davanti alla legge.

Piuttosto, stiamo parlando di un atteggiamento di attenzione e di guida di cui ogni medico bravo deve farsi carico per aiutare davvero la persona malata a guarire, o almeno a curarsi.

Se una diagnosi corretta e la prescrizione del rimedio giusto sono ineccepibili sul piano deontologico, un “bravo medico” non si ferma a quello: analizza anche l’atteggiamento della persona nei confronti della salute e della malattia, e studia una strategia per affrontare il problema.

A volte può trattarsi di una soluzione semplice e diretta (come la prescrizione di un farmaco), ma in molti casi richiede attenzione, astuzia e soprattutto una disponibilità d’animo che può nascere solo se il medico avverte questo senso di responsabilità personale nella guida del malato.

È ovvio che quando un medico fa delle scelte può sbagliare, ma se la scelta dipende da una motivazione logica, questa può e deve essere spiegata.

Prendiamo a titolo di esempio una persona che si presenta dal medico con un feroce mal di testa dovuto a una intensa contrattura dei muscoli cervicali. Potrebbe semplicemente aver preso un colpo di freddo il giorno prima, e aspettarsi una soluzione tecnica.

In quel caso anche il “bravo medico” può prescrivere un antinfiammatorio o un analgesico in modo corretto e risolvere il problema. Ma se il dolore è la conseguenza di una contrattura muscolare che dura da molto tempo, e magari si ripresenta in modo acuto solo in alcune circostanze, il medico non può limitarsi a prescrivere un rimedio sintomatico.

In questi casi deve indagare con pazienza sull’origine della tensione, che magari è legata a uno squilibrio corporeo o a una profonda ferita emotiva (assunzione di responsabilità). Deve capire se il paziente desidera solo un rimedio palliativo o è pronto a “rinunciare” al suo malanno (capacità di comunicare).

Sono molti infatti i disturbi legati a vissuti emotivi che le persone scelgono inconsapevolmente di ignorare, affidando l’espressione della propria sofferenza a un disagio fisico (per una selezione di libri che possono favorire la comprensione di questo punto di vista, vedi per esempio “Pensare col corpo” e “Malattia e destino”).

Per poter intervenire nel modo più corretto, ovviamente, deve essere a conoscenza delle varie possibilità di cura (conoscenza tecnica e aggiornamento), come per esempio un trattamento osteopatico o una tecnica intermedia, come l’antiginnastica, il training autogeno, il metodo Feldenkrais ed altre ancora, che possono costituire un primo approccio a una distensione che sia contemporaneamente fisica ed emotiva, ma che non costringono il paziente che non è pronto ad affrontare direttamente le proprie tematiche emotive.Il medico bravo deve sapere indicare con cautela anche queste, o analoghe strade (per esempio anche un intervento di counseling o di psicoterapia, nel caso di una patologia più complessa) per guidare la persona verso un completo riequilibrio.

Saper ascoltare e saper spiegare non sono solo doti naturali di una persona. Sono tecniche che possono e devono essere apprese da chiunque si occupi professionalmente della salute di altre persone. 

Fin qui tante parole su come dovrebbe essere un bravo medico, ma come trovarlo? E come riconoscerlo se lo avete davanti?

Ammettiamo che vogliate acquistare un aspirapolvere. Sicuramente vi informerete da amici e parenti come si trovano con i loro. Poi andrete a vederne alcuni, confrontando tra loro caratteristiche, marche e prezzi. Magari, dopo averne acquistato uno, ne chiedete la sostituzione (se la garanzia del venditore lo consente) perché il modello non vi soddisfa. Ed è possibile che, dopo alcuni anni, decidiate di acquistare un modello più elaborato.

Spesso, nella scelta del medico (e perfino di uno psicoterapeuta) ci limitiamo invece al più vicino, o al primo che ci viene segnalato da altri. Escludiamo la possibilità di consultarne diversi prima di scegliere quello con cui ci troviamo davvero bene, e nella maggior parte dei casi non gli facciamo – sulla sua formazione e sulla sua idea di salute – nemmeno la metà delle domande che faremmo a chi ci vende l’aspirapolvere.

Vale la pena, invece, ogni volta che incontriamo qualcuno a cui vogliamo affidare la nostra salute, di porci (e di porre) qualche domanda. Ecco qualche esempio, che potete ampliare in base ai vostri personali interessi.

  • Mi ha ascoltato o mi ha interrotto continuamente?
  • Mi è simpatico?
  • Mi ispira fiducia?
  • Mi sono sentito compreso?
  • Mi ha visitato con cura?
  • Mi ha toccato e guardato?
  • Mi ha fatto domande chiare e precise sulla mia storia clinica, familiare, e sul periodo che sto attraversando?
  • Mi ha aiutato a capire il motivo dei miei sintomi?
  • Ho capito quello che mi ha detto?
  • Mi ha spiegato la terapia o si è limitato a scrivermela?
  • Mi ha segnalato l’eventualità che si presentino effetti collaterali?
  • Qual è il suo atteggiamento nei confronti delle terapie naturali?
  • Si è informato sul mio stile di vita, fornendomi eventualmente indicazioni correttive?
  • È disposto o interessato a entrare in contatto con gli altri medici che mi seguono?
  • Mi ha dato la sua disponibilità a risentirlo per telefono se fosse necessario?
  • Uscendo dallo studio, ho avuto una sensazione di soddisfazione?
  • Mi sento “preso in carico”?
  • Che il mio obiettivo fosse un miglioramento complessivo, una guarigione duratura, un rapido annullamento dei sintomi o altro, mi ha aiutato a raggiungerlo?

Non tutte queste domande, ovviamente, richiedono un “sì” come risposta. L’importante è che abbiate risposto sì nelle aree che vi stanno più a cuore.

Una persona, per esempio, può trovarsi più a suo agio con un medico “antipatico”, ma sicuramente competente che con un “simpaticone” altrettanto competente. Un medico può essere perfetto su molti piani, ma magari non può garantirvi la quantità di contatto telefonico della quale voi avete bisogno.

Vale la pena di ripeterlo qui: una buona parte dell’efficacia della cura dipende dalla fiducia che riusciamo a dare al medico e ciascuno di noi basa la sua fiducia su fattori diversi. Accanto alla competenza tecnica, quindi, la percezione personale resta sicuramente il parametro fondamentale per fare una buona scelta. Fidatevi di voi stessi!