La malattia del secolo? La diagnosi

28 Gennaio 2007
La malattia del secolo? La diagnosi

Italo Svevo, uno degli scrittori che con maggior consapevolezza hanno messo al centro della loro opera il rapporto tra salute e malattia, affermava che la salute non è altro che “il giusto medio tra due malattie” e che, in ultima analisi, la sola guarigione impossibile è quella dalla “malattia di vivere”.

Con l’aiuto di Svevo e della sua sottile ironia, noi tutti possiamo arrivare facilmente e senza drammi a questa conclusione: che non si morirebbe se non si fosse vivi. E che dunque la vita è la principale malattia che esista, la sola che con assoluta certezza provochi la morte.

Siamo tutti malati, dunque: malati di essere al mondo. Ma la medicina non può accontentarsi di una diagnosi così generica. Vuole bensì convincerci che siamo tutti malati, ma vuole anche applicare a ciascuno la sua etichetta, la diagnosi della sua specifica malattia.

Secondo gli autori di un intelligente e audace articolo apparso sull’inserto della salute del New York Times, oggi, nel mondo occidentale, staremmo vivendo una vera e propria “epidemia di diagnosi”. Un’epidemia che ci rende malati anche quando godiamo di ottima salute.

Si sa, infatti, che negli ultimi anni sono nate come dal nulla decine e decine di nuove malattie e che altre ne continuano a nascere a ritmo frenetico. Certo a nessuno dei nostri progenitori capitò mai di vedersi diagnosticare, da adulti, una “sindrome da affaticamento cronico” o ancor peggio, da bambini, una “sindrome da deficit attentivo”.

Una delle cause di questa “epidemia di diagnosi” va ricercata nei mezzi di indagine sempre più sofisticati e nell’uso eccessivo, talvolta sconsiderato, che la medicina ne sta facendo. Una vera e propria smania del test, una febbre dell’esame clinico, una psicosi delle “analisi” sembra essersi impossessata del genere umano. Una TAC e una risonanza magnetica non si negano a nessuno. E non c’è medico che apra bocca in assenza di una dettagliata e recentissima analisi del sangue.

H. G. Welch, primo firmatario dell’articolo cui ci riferiamo, è anche autore di un importante libro dal titolo molto significativo: Should I Be Tested for Cancer? Maybe Not and Here’s Why (“Devo fare un controllo per sapere se ho un cancro? Forse no, ed ecco perché”). Una calorosa esortazione a non sottoporsi ad esami inutili, angosciosi e spesso dannosi.

L’altra causa di questa smania di diagnosticare malattie improbabili e sindromi inaudite a gran parte degli esseri viventi va ricercata, naturalmente, nei giganteschi interessi in gioco. Alla diagnosi segue il trattamento, e il trattamento significa spese mediche e farmacologiche. A trarne vantaggio sono in primo luogo le case farmaceutiche, ma anche gli istituti di cura e la classe medica in generale.

A pagare, in termini di denaro, è quasi sempre lo Stato, ma in termini di salute è quasi sempre il paziente. I farmaci non sono mai innocui, nemmeno quando sono necessari. Ma quando sono inutili fanno proprio male alla salute. La quale, come si è visto, non è che “il giusto medio tra due malattie”. Non diagnosticabili.

di Ezio Sinigaglia