La macchia del vegano: quando serve buonsenso

6 Febbraio 2013
La macchia del vegano: quando serve buonsenso

Proprio in questi giorni tra i social network sta girando la pittoresca analisi di un investitore svizzero nei confronti dell’economia statunitense. Secondo tale analisi, che risale al 2008, il denaro usato da un qualunque abitante degli States per comprare quasi qualsiasi bene sarebbe finito a paesi esteri e non all’interno della federazione.

Oggi ci troviamo in una situazione opposta e nella quale si parla di etica, commercio, alimentazione e accanimento.

La quinoa, cereale noto soprattutto a vegani e vegetariani per l’alto contenuto proteico e il particolare valore aminoacidico, era fino a qualche anno fa misconosciuto se non agli abitanti della terra di provenienza che lo usavano per l’alimentazione quotidiana.

Ora il cereale è nei supermercati di quasi tutto il mondo attento alla dieta e si vende a un prezzo tendenzialmente accessibile dal punto di vista finanziario, ma discutibile dal punto di vista umano. Invece che arricchire la popolazione, evidentemente i profitti monetari di tale crescita sono andati altrove.

Negli ultimi sette anni il prezzo di vendita della quinoa è quasi triplicato, rendendo fondamentalmente impossibile per gli abitanti delle regioni di origine pagarsi ciò che era la base della loro alimentazione.

Da una parte è ridicolo che siano proprio vegani e vegetariani (noti per la loro particolare attenzione) a risultare come causa principale della fame, del deperimento e del disagio di una popolazione di animali della loro stessa specie (e che oggi, a quanto riporta il Guardian, non sanno più di cosa nutrirsi). Dall’altra, il punto sta nel considerare la salute e l’ecologia in una logica più ampia e… più sensata.

La quinoa è un ottimo cereale, come ottimi sono i cereali di molti agriturismi, coltivati vicino e magari comprati a linea diretta dal contadino che emetta scontrino fiscale o fattura. Una vita sana è etica, equosolidale e fa bene all’ambiente.

Così è il caso di riportare l’attenzione sul fatto che se la quinoa, o l’amaranto, o l’uva di importazione peruviana possono sicuramente essere alternative occasionali simpatiche e “pregiate”; la quotidianità vuole essere buona, salutare, bilanciata e a chilometro il più possibile zero con quello che la nostra terra e la nostra economia offrono.

Leguminose, riso, grano, orzo, mandorle, nocciole, noci, pistacchi, patate, castagne, topinambur, zucca, verdure e frutti di tutti i generi possibili e immaginabili, sono solo tra i positivissimi e ben bilanciabili prodotti vegetali, per altro invidiati in altri paesi, che la penisola italiana produce degnamente e che sono reperibili in modo semplice ed ecosostenibile.

Bene dunque la variabilità e l’ampliamento dei propri orizzonti anche culinari, il rispetto degli animali e così via, ma in una logica che vada oltre l’ultima moda salva giovinezza e guardi con più attenzione, sensibilità ed equilibrio alla salute, al benessere, alla salvaguardia e alla tutela del pianeta e di tutti i suoi abitanti, in termini di ecosostenibilità ed etica globali.