Artrite reumatoide e psoriasica: conoscere il BAFF può aiutare a guarire

11 Ottobre 2021
Artrite reumatoide e psoriasica: conoscere il BAFF può aiutare a guarire

Quando nel 1996, sugli Annals della New York Academy of Sciences sono stati pubblicati i risultati di una nostra ricerca sugli effetti positivi di una dieta personalizzata sui dolori dovuti all’artrite reumatoide, l’ipotesi che il tipo di alimentazione fosse in qualche modo legato a quel tipo di malattia autoimmune era ancora molto conflittuale e spesso rifiutata.

A distanza di oltre 25 anni, la comprensione degli aspetti infiammatori dovuti al cibo e dei fenomeni legati alla glicazione, ha consentito di verificare l’esistenza di una stretta relazione tra artrite e alimentazione.

I così diffusi dolori reumatici, le mialgie e tutte le patologie legate al dolore di muscoli, articolazioni e fasce muscolari possono dipendere dal livello di alcune citochine infiammatorie correlate anche con l’assunzione alimentare e con la glicazione dovuta ad un eccesso individuale di “zuccheri”. 

Lo studio della infiammazione da cibo e da zuccheri e l’impostazione di una dieta che rispetti poi il profilo alimentare personale (valori definiti attraverso i test GEK Lab) possono contribuire positivamente alla gestione dei dolori articolari, affiancandosi alle terapie in atto.

Nel 2007 i lavori della spagnola Francisca Lago, dell’Università di Santiago de Compostela, hanno consentito di definire che l’artrite dipende sia dal tipo di alimento mangiato (come emerge dallo studio del profilo alimentare personale) sia dal modo in cui si abbinano carboidrati e proteine nell’alimentazione. Le regole indicate dalla Harvard Medical School sul corretto abbinamento che si deve realizzare sono parte integrante dei percorsi terapeutici che in SMA usiamo da anni con le persone che presentano questa sintomatologia. 

Conoscere i propri livelli di BAFF e la predisposizione genetica alla sua attivazione consente di fare scelte di approfondimento nutrizionale efficaci nel controllare l'artrite.

In tutto questo il BAFF (B Cell Activating Factor) ha una rilevanza strategica. Nel 2007 questa citochina infiammatoria era stata valutata come possibile marcatore della celiachia da Fabris, che pubblicò i suoi risultati sullo Scandinavian Journal of Gastroenterology. Poiché però i suoi valori si alzavano anche in risposta a cibi diversi dal glutine, il suo studio fu messo gradualmente in disparte (Fabris M et al, Scand J Gastroenterol. 2007 Dec;42(12):1434-9).

Questo fino al 2010, quando Lied, insieme al suo gruppo di gastroenterologi norvegesi, ha pubblicato su Alimentary Pharmacology & Therapeutics i risultati della ricerca che evidenziava come il BAFF fosse proprio la citochina prodotta dall’organismo quando si sviluppa un’infiammazione per l’assunzione di un alimento. 

Si è trattato di un punto di flesso importante dal punto di vista scientifico, che ha consentito di mettere la parola “fine” al tema delle cosiddette “intolleranze alimentari”, riferimento ormai privo di scientificità a causa delle modalità spesso critiche con cui sono state individuate e gestite nel tempo. Un termine che dal 2010 tutto il nostro gruppo evita accuratamente di usare, salvo che per le due uniche intolleranze riconosciute dalla scienza: quella biochimica al lattosio e quella al glutine di tipo celiaco. 

Il BAFF rappresenta la sostanza infiammatoria che è “segnale” della reazione nutrizionale d’allarme, e che spiega la quantità di sintomi potenzialmente correlati con una scorretta introduzione di cibo o di zuccheri.

Non è poco per una sostanza che nessuno è mai andato a cercare fino agli ultimi anni e che oggi può essere facilmente dosata. Il BAFF è attivo in situazioni e ambiti in cui la reazione dovuta al cibo è stata spesso chiamata in causa, come nel caso della artrite reumatoide, dell’obesità, dell’emicrania, della tiroidite di Hashimoto o delle patologie respiratorie croniche e poi in relazione a tutte le malattie autoimmuni

Nel 2017 poi, esattamente il 27 aprile, è stata pubblicata sul New England Journal of Medicine (forse la più prestigiosa rivista medica mondiale) una ricerca effettuata sull’uomo ha confermato l’importanza del BAFF nelle malattie autoimmuni, aprendo la strada a nuove prospettive di diagnosi e di terapia (Steri M. et al, N Engl J Med. 2017 Apr 27;376(17):1615-1626. doi: 10.1056/NEJMoa1610528). Si tratta di un lavoro scientifico internazionale, che ha finalmente fatto convergere l’evidenza genetica e quella funzionale in modo preciso, evidenziando che il BAFF non è solo coinvolto nella genesi del Lupus ma di tutte le malattie autoimmuni. 

Fin dal 2013 comunque, anche una ricerca pubblicata su Cytokine & Growth Factors Review ha amplificato questa percezione. L’importante articolo ha definito che il BAFF, oltre alla sua azione sull’autoimmunità, è coinvolto in modo molto rilevante nella gestione di problemi come il cancro, le malattie infettive e le allergie (Vincent FB et al, Cytokine Growth Factor Rev. 2013 Jun;24(3):203-15. doi: 10.1016/j.cytogfr.2013.04.003. Epub 2013 May 15). Si tratta quindi di un “molecolina” di tutto rispetto…

La riflessione di oggi, ormai suffragata da dati scientifici sicuramente inaspettati negli anni scorsi, è che lo studio della relazione con il cibo ha una importanza basilare nella clinica umana. BAFF (come PAF, che noi misuriamo nello stesso test) rappresenta una molecola di “segnale”. Una indicazione di allarme per l’organismo che reagisce di conseguenza in modo patologico. 

Avere compreso che BAFF, PAF e glicazione possono essere modulati e controllati attraverso scelte alimentari personalizzate semplici ha riaperto la speranza di agire in modo preventivo oltre che terapeutico su gran parte delle patologie croniche e degenerative più diffuse.

Un intestino infiammato e il contatto squilibrato con il cibo possono stimolare la produzione di BAFF e di PAF, e l’infiammazione da cibo va quindi considerata come una delle concause principali di artrite. La conoscenza della relazione tra infiammazione, glicazione, alimentazione e artrite ha portato oggi ad un cambiamento radicale nella comprensione di queste patologie.

Fatta eccezione per le artriti acute e improvvise con forti dolori e immobilità per le quali è sempre necessaria la valutazione clinica del medico, lo studio dei livelli infiammatori da alimenti o da zuccheri (oggi misurabili con il test PerMè) è la prima arma terapeutica da utilizzare. Sono oggi disponibili anche efficaci test di screening (valutazione del solo BAFF e della predisposizione genetica) che consentono di affrontare in modo graduale la conoscenza delle proprie relazioni infiammatorie con il cibo per decidere poi se e come progredire con un approfondimento. 

Seguendo gli schemi nutrizionali proposti sulla base del livello di infiammazione, si ristabiliscono delle adeguate abitudini alimentari per cui si può spesso arrivare in modo rapido e semplice al recupero del benessere, affiancando sul piano nutrizionale qualunque terapia indicata sul piano clinico.

La conoscenza di BAFF e PAF consente spesso a ciascuno di riprendere nelle proprie mani il proprio destino e a noi di continuare a fare ricerca sapendo di essere sulla “strada giusta”.