Ridurre i carboidrati controlla il diabete, eppure c’è chi impedisce il cambiamento

31 Agosto 2015
Ridurre i carboidrati controlla il diabete, eppure c'è chi impedisce il cambiamento

Nel corso delle ultime settimane sono stati resi pubblici dati molto preoccupanti sull’aumento della prevalenza di diabete di tipo 2 in Europa.

Si prevedono in breve tempo numeri enormi e costi sociali improponibili e Eurosalus affronterà questo tema in uno dei prossimi articoli.

È ovvio che mantenendo le stesse linee guida che hanno definito fino ad oggi gli interventi medici e le campagne di sensibilizzazione, i casi di diabete non potranno che crescere, esattamente come hanno fatto negli ultimi anni.

Serve un cambiamento che abbia radici scientifiche e documentazioni precise, anche se il punto critico non riguarda la certezza dei dati raccolti, ma la voglia da parte di alcuni gruppi della comunità scientifica di recepire il cambiamento e metterlo in atto. 

Un gruppo di 26 ricercatori (endocrinologi, diabetologi, pediatri e clinici in generale), provenienti da Università prestigiose di Stati Uniti, Germania, Danimarca, Svezia, Finlandia, Canada, UK e Kuwait, ha pubblicato su Nutrition una revisione di tutti i dati clinici a favore della riduzione della quota di carboidrati nella gestione e nel trattamento del diabete.

Online si può recuperare anche il testo completo della pubblicazione e confrontare la amplissima bibliografia proposta.

Ogni punto descritto qui di seguito viene descritto e documentato con gli adeguati riferimenti bibliografici.

La tesi sostenuta è che nel trattamento del diabete di tipo 2 (e in parte anche in quello giovanile, di tipo 1) la migliore scelta dietetica sia quella di ridurre il consumo complessivo di carboidrati (anche se quelli integrali sono in parte esclusi da questo conto) e riequilibrare il conteggio totale delle calorie aumentando la quota di proteine o di grassi.

Insomma, dice il lavoro di ricerca, i carboidrati di cui fino ad oggi si è ritenuta utile una proporzione elevata della dieta complessiva ne meritano una più bassa e serve un equilibrio diverso tra le componenti del piatto.

Il tema è ovviamente critico, al punto che gli autori dell’articolo fanno una affermazione di forte impatto.

A fronte della così elevata documentazione dei benefici che la riduzione dei carboidrati può portare (si badi, non della “folle” eliminazione, ma di una importante riduzione) la richiesta di produrre lavori “a lungo termine” su questo tipo di regime suona ascientifica e legata ad altre forme di interesse.

Le linee guida devono cambiare e sono piuttosto i sostenitori dei “carboidrati in grande quantità” che devono semmai portare prove della non dannosità dei regimi da loro proposti…

Sul piano commerciale queste affermazioni sono critiche perché obbligherebbero l’industria alimentare e il marketing a questa correlato a ridefinire delle immagini di riferimento.

Le prime colazioni a base di fette biscottate e marmellata come gli snack o le merendine dei bambini dovrebbero essere ripensati e riproposti. Impresa ardua che trova, come è ben pensabile, opposizioni estreme.

In sostanza i ricercatori propongono e discutono almeno 12 punti di forte rilievo clinico, proponendo per ogni punto lavori e documentazione scientifica già accettata e validata.

Per avere un’idea dell’importanza di questi punti (ognuno potrebbe meritare una serie di approfondimenti) li citiamo in elenco, come sono proposti nell’articolo:   

  • L’iperglicemia è la caratteristica più evidente del diabete. La riduzione dei carboidrati alimentari ha l’effetto più rilevante nell’abbassare i livelli di glicemia del sangue.
  • Nel corso di questa attuale epidemia di obesità e di diabete di tipo 2, l’aumento calorico è dovuto soprattutto all’aumento della quota di carboidrati.
  • I benefici di una restrizione dietetica di carboidrati non richiedono necessariamente la perdita di peso.
  • Benché la perdita di peso non sia richiesta per avere un beneficio sul diabete, non c’è intervento migliore dal punto di vista dietetico della restrizione di carboidrati per la perdita del peso stesso.
  • L’aderenza a una dieta a basso contenuto di carboidrati tra le persone con diabete di tipo 2 è decisamente buona, simile a quella di altri tipi di intervento dietetico e spesso è addirittura migliore.
  • La sostituzione dei carboidrati con proteine comporta dei benefici sul piano generale.
  • La quantità totale di grassi e di grassi saturi introdotti con l’alimentazione non correla con il rischio di malattie cardiovascolari.
  • I valori dei grassi saturi nel sangue sono meglio controllati dalla riduzione dei carboidrati che dal controllo dietetico dei grassi.
  • Il migliore indicatore della complicanza microvascolare e in minor misura di quella macrovascolare nei pazienti di diabete di tipo 2 è il controllo della emoglobina glicata.
  • La riduzione dei carboidrati alimentari è il metodo più efficace (a parte il digiuno prolungato) per ridurre i trigliceridi serici e aumentare le lipoproteine ad alta densità cioè il colesterolo buono.
  • Pazienti con diabete di tipo 2 che seguono una dieta a basso quantitativo di carboidrati possono ridurre e frequentemente eliminare i farmaci che stanno usando. Persone con diabete di tipo 1 riescono spesso a ridurre la quantità di insulina necessaria per il trattamento.
  • La riduzione della glicemia attraverso la riduzione dei carboidrati alimentari ha effetti collaterali infinitamente minori di qualsiasi trattamento farmacologico che ottenga lo stesso tipo di effetto.

È evidente che ognuno di questi punti, anche ripeso da solo e non nell’insieme, dovrebbe portare a cambiamenti importanti nelle abitudini alimentari del cittadino medio.

Nei nostri centri stiamo usando da tempo schemi dietetici personalizzati che ricalcano questo tipo di impostazione, usando i segnali che possono essere forniti all’organismo attraverso il bilanciamento della composizione del pasto, il controllo dell’infiammazione, il digiuno breve e la ricerca di cibi di migliore qualità.

Non stiamo nemmeno facendo qualcosa di nuovissimo, perché i lavori scientifici che giustificano queste scelte sono ormai numerosi e ben documentati.

Appare chiaro però che si stia aprendo un tema forte di discussione. La tendenza a mantenere indicazioni persistentemente anomale, come quelle di favorire uso e consumo sistematico di una prevalenza di carboidrati, rischia di scontrarsi con i fatti.

Sono in corso dei cambiamenti di pensiero imponenti da parte di chi semplicemente trova finalmente risultati positivi grazie all’uso di innovative tecniche di nutrizione. Eppure alcuni gruppi faticano a inserire nelle linee guida questi concetti, che aiuterebbero un maggior numero di persone a ritrovare forma e benessere.