Quando il medico sa curare con il cibo (seconda parte)

19 Gennaio 2023
Quando il medico sa curare con il cibo (seconda parte)

Questa serie di due articoli (il primo pubblicato la scorsa settimana), riprende l’intervista che mi è stata fatta nell’agosto 2022 dal dottor Marco Lombardozzi, per un riferimento scientifico sulla nutrizione da inserire nella newsletter della rivista che dirige.

Per l’interesse e l’attualità dei temi trattati, Eurosalus ha ripreso in ogni articolo due delle sue domande con le relative risposte.  

Domanda: È tutto vero sulla necessità di ridurre i carboidrati per una migliore salute?

In parte è vero, perché negli ultimi anni, complici anche delle assurde piramidi alimentari basate soprattutto su pasta e pane anziché sull’equilibrio tra i nutrienti, si è assistito ad una dominanza alimentare di carboidrati, spesso raffinati se non addirittura iper raffinati. La loro riduzione, in genere, in un mondo che in alcune aree geografiche (Cina e USA) è arrivato a toccare prevalenze del 52-55% includendo prediabetici e diabetici, è sicuramente utile ma non deve essere assoluta.

Della glicazione ho già detto, ma voglio rimarcare quanto sia inutile proporre in modo generico di “eliminare gli zuccheri”. C’è chi lo fa e magari dopo 15 giorni di sofferenza sviluppa fenomeni di potenziale “binge eating” proprio nei confronti delle sostanze dolci. 

L’organismo umano ha addirittura un ormone (NPY) che fa cercare gli zuccheri e le sostanze ad alta densità calorica. Inoltre il gusto dolce (anche se induce ulteriore ricerca di zuccheri e facilita la resistenza insulinica) è parte della cultura umana, del piacere e della socialità. 

Quindi, carboidrati e zuccheri vanno utilizzati con rispetto ma vanno comunque utilizzati, controllando le risposte individuali e evitando i fenomeni di variabilità glicemica che determinano i veri problemi.

Quando i valori glicemici riescono a mantenersi stabili, anche se sono slivellati verso l’alto come accade nel diabetico, la variabilità glicemica non è molto elevata e i fenomeni di glicazione sono sufficientemente controllati

Quando invece la assunzione alimentare provoca dei picchi anomali, si assiste ad una fluttuazione di valori che la scienza ha definito appunto come “variabilità glicemica” e che risulta essere una delle più rilevanti cause di malattia e di mortalità. 

Il Metilgliossale, ad esempio, è riconosciuto fin dal 2005 (Clinical Biochemistry) come indicatore delle fluttuazioni e della variabilità glicemica. Il nostro gruppo di ricerca ha identificato proprio il Metilgliossale (Nutrients 2020) come predittore precoce del diabete, visto che dal 2019 le più importanti riviste diabetologiche mondiali hanno affermato che emoglobina glicata e glicemia a digiuno, utili per seguire il diabete già comparso, non sono in grado di predirne la comparsa e l’evoluzione, non riuscendo a intercettare il prediabete.

Domanda: Le allergie sono in aumento. Quanto incide l’alimentazione sulla sindrome allergica? Può indicare un prospetto generico alimentare per ridurre l’incidenza allergica?

Una ricerca pubblicata nel 2017 sul Journal of Allergy and Clinical Immunology ha definito che solo nel 38% delle risposte allergiche si riesce a individuare una causa unitaria (fragola e orticaria, contatto col nichel e dermatite, polline di graminacee e asma eccetera). Questo significa che il 62% delle reazioni allergiche, simil-allergiche e infiammatorie dipendono da una condizione multifattoriale e la glicazione sembra essere una delle concause più frequenti. 

Faccio l’esempio dell’asma: l’evoluzione della conoscenza scientifica ha aiutato nel tempo a considerare un numero sempre maggiore di possibili cause e fin dal 2006 si è iniziato a riconoscere che le risposte allergiche (come tosse, asma, congiuntivite, rinite, difficoltà di respiro) potevano dipendere da una condizione infiammatoria diffusa causata dall’alimentazione, in cui singole sostanze ambientali (come i pollini, le muffe o gli acari) agivano come “gocce che facevano traboccare un vaso” e non per una allergia specifica.

In particolare gli studi di Brandt (2006) hanno valutato la comparsa di manifestazioni allergiche in assenza di allergia IgE mediata, a seguito di processi infiammatori intestinali.

Più di recente gli studi di Antonella Cianferoni (immunologa e pediatra del Children Hospital di Philadelphia) hanno riproposto l’esistenza della anafilassi non mediata dalle IgE come se si parlasse di “allergie non allergiche”.

Ancora, alcuni importanti ricercatori delle Università di Pittsburgh e di Rochester (USA) nel 2021 hanno spiegato che, al di là delle situazioni sempre meno frequenti di allergia mediata dalle IgE, con tutta probabilità è la somma degli effetti complessivi dell’alimentazione ad essere responsabile dell’asma e di molte altre manifestazioni allergiche.

Come dire che è inutile andare a cercare solo un antigene specifico o solo le IgE. Vanno compresi insieme, ad esempio, il ruolo proinfiammatorio dell’alimentazione, gli effetti della glicazione, l’apporto di antiossidanti e la regolazione energetica degli alimenti. Un quadro complessivo che conferma dove stia andando la scienza oggi.

Quindi, le allergie esistono e quando sono IgE mediate ad alto titolo possono essere anche molto severe, ma le manifestazioni allergiche o simil allergiche sono sempre di più legate anche a una interferenza infiammatoria di tipo alimentare o da glicazione. 

Per comprendere questo aspetto e trasformarlo in prassi terapeutica, è necessaria la valutazione individuale delle risposte infiammatorie e di glicazione attraverso la lettura di specifici biomarcatori. Fare “Medicina personalizzata” significa personalizzare anche la nutrizione sulla base delle risposte individuali che oggi si possono misurare e seguire nel tempo per derivare suggerimenti nutrizionali adeguati ad ogni singolo individuo.

Come ho già segnalato all’inizio, una alimentazione variata e completa, che controlli l’infiammazione attraverso il rispetto del bilanciamento dei nutrienti, valorizzando la giusta quantità di proteine necessaria al buon funzionamento del sistema immunitario e che eviti il sovraccarico sistematico di alcuni alimenti, è la base per una nutrizione antiallergica.

Per fare un esempio, un allergico alle graminacee che mangia spesso pane, pasta, grissini e cracker, farà bene, nel periodo di fioritura stagionale a mangiare glutine e frumento solo in un paio di giorni della settimana, riducendo il carico ripetitivo del glutine e preferendo riso, patate, grano saraceno, mais, avena ed altri cereali alternativi nella alimentazione degli altri 5 giorni della settimana.

Faccio il medico da più di 43 anni e come allergologo e immunologo ho capito ormai che andare “a caso” non paga mai. Il motto principale e più importante del nostro gruppo di lavoro (GEK Lab) è “Misurare è meglio che supporre” e soprattutto nell’ambito della nutrizione, seguire in modo consapevole l’andamento dei processi infiammatori dovuti agli alimenti e agli zuccheri consente davvero di trasformare dei semplici suggerimenti nutrizionali in vera medicina di precisione per il benessere.

La prima parte di questa intervista è stata pubblicata su Eurosalus.

(L’intervista originale può essere letta a questo link).