I nuovi farmaci per diabete e sovrappeso riducono il declino cognitivo e prevengono l’Alzheimer

22 Giugno 2025
I nuovi farmaci per diabete e sovrappeso riducono il declino cognitivo e prevengono l’Alzheimer

Una ricerca sud-coreana pubblicata nel 2024 sul prestigioso British Medical Journal ha confermato nei fatti quanto molti clinici già pensavano.

L’impiego degli inibitori di SGLT2, uno dei farmaci più recenti utilizzati per il trattamento del diabete e che successivamente è stato valutato anche per le sue azioni di facilitazione del dimagrimento, ha documentato una azione rilevante nel contrastare il declino cognitivo nei soggetti diabetici, anche a confronto con un’altra efficace categoria di farmaci come le gliptine (antidiabetici orali).

Entrambe le classi di farmaci hanno una reale efficacia come antidiabetici ma hanno una azione differente.

Le gliptine modulano in parte insulina e glucagone e i loro nomi commerciali più comuni sono Januvia (sitagliptin), Galvus (vildagliptin), Onglyza (saxagliptin), e Trajenta (linagliptin).

Gli inibitori del SGLT2, i cui nomi commercilai più comuni sono Forxiga (dapagliflozin), Jardiance (empagliflozin), Invokana (canagliflozin) e Steglatro (ertugliflozin), “rubano” lo zucchero all’organismo facendolo eliminare per via renale. 

I danni precoci da zuccheri e il prediabete si possono intercettare con il Glyco Test identificando lo stato prediabetico anche se la glicemia è regolare. Una dieta personalizzata consente di ridurre il rischio di sviluppare demenza e Alzheimer.

E i risultati della ricerca citata segnalano che pur essendo entrambi i prodotti molto efficaci nel trattamento del diabete di tipo 2 (alimentare), gli inibitori del SGLT2 (che lo zucchero invece “lo tolgono di torno”) sono decisamente più efficaci delle gliptine nel controllare la demenza e il declino cognitivo.

Era pensabile che un farmaco che eliminasse lo zucchero fosse più efficace di quelli che semplicemente ne modulano l’utilizzazione. La ricerca coreana, effettuata su circa 110.000 persone diabetiche, comprese tra i 40 e i 70 anni, ha definito un rischio di comparsa di demenza praticamente dimezzato in chi usava gli inibitori del SGLT2.

Questo conferma quanto Eurosalus discute da tempo. Lo zucchero e gli zuccheri in genere possono essere fortemente lesivi dell’equilibrio del sistema nervoso e la loro relazione con la demenza e con l’Alzheimer è ormai dimostrata.

Ad esempio, un gruppo di ricercatori statunitensi della Johns Hopkins University ha pubblicato nel 2023 su Diabetologia i risultati di una ricerca epidemiologica sulla relazione tra prediabete e sviluppo di demenza, di Alzheimer e di declino cognitivo.

I risultati di questa ultima ricerca citata sono di notevole importanza perché spiegano che il rischio di Alzheimer è molto elevato proprio quando una persona non pensa di avere il diabete. 

Le persone che non sanno di andare verso il diabete con meno di 60 anni hanno un rischio del 200% più elevato di una persona normale. Tra i 60 e i 70 anni del 73% in più e tra i 70 e gli 80 del 23% in più.

Significa che intercettare il prediabete, proprio quando meno te lo aspetti, tra i 40 e i 50 anni, ad esempio, verificando i valori di glicazione e i picchi glicemici (test GEK Lab), rappresenta un’arma potentissima per migliorare la propria salute e vivere più a lungo, ma soprattutto mantenendo una buona memoria. 

La glicemia a digiuno e l’emoglobina glicata sono utilissimi per seguire il diabete quando è già stato diagnosticato, ma dal 2019 è definito con chiarezza che questi “classici esami” non identificano i danni precoci da zuccheri. Glicemia a digiuno e emoglobina glicata non sono idonei ad identificare il prediabete.

Il declino cognitivo dipende da molteplici fattori ma uno dei più importanti è sicuramente la presenza di livelli elevati di glicazione, cioè di eccesso di zucchero, fruttosio, alcol, dolcificanti e polioli che facilitano la creazione di grovigli neuronali e il deposito di beta-amiloide.

Questi livelli di glicazione sono oggi misurabili e soprattutto si può seguirne l’evoluzione per capire se il controllo nutrizionale personalizzato è efficace nella loro regolazione. 

La conferma dell’importanza dell’alimentazione e della glicazione nella cura e nella prevenzione delle malattie neurodegenerative è arrivata soprattutto negli ultimi anni, anche se già da molti anni un numero elevato di ricercatori definiva la malattia di Alzheimer “Diabete di tipo 3”, evidenziando cioè il ruolo importantissimo degli zuccheri (di tutti gli zuccheri) nella sua comparsa e nella sua evoluzione. 

Nel 2020, infatti, una ricerca pubblicata sull’International Journal of Molecular Sciences ha precisato che nella malattia di Alzheimer la formazione di sostanza amiloidea (beta-amiloide) e la sua rimozione dal tessuto cerebrale sono entrambi processi correlati con la resistenza insulinica e che la alterata regolazione degli zuccheri porta sia ad una maggiore produzione di beta amiloide sia ad una riduzione della sua rimozione dal cervello.

L’ultimo pezzettino del puzzle, però, è arrivato con la pubblicazione, nel marzo 2022 sul Journal of Alzheimer’s Disease, di una ricerca effettuata da studiosi di differenti Università statunitensi, che ha dimostrato che la proteina Tau 181 (una di quelle attivate e fosforilate dal metilgliossale) è strettamente correlata alla deposizione di sostanza amiloide nel cervello, causa effettiva del declino cognitivo e della alterazione dei processi mnemonici. 

Controllare quindi lo sviluppo di metilgliossale attraverso l’alimentazione contribuisce con forza alla prevenzione del declino cognitivo. Meno metilgliossale significa meno Tau 181, meno beta amiloide, meno grovigli neuronali e meno Alzheimer.