Ma i grassi vegetali idrogenati ci piacciono davvero tanto?

9 Marzo 2005
Ma i grassi vegetali idrogenati ci piacciono davvero tanto?

Chiamiamoli con il loro vero nome: i grassi vegetali idrogenati sono la base di quasi tutte le merendine industriali che piacciono tanto ai bambini e sulle quali perfino gli adulti si buttano tanto spesso quando desiderano qualcosa di morbido e dolce.

Che fanno male ormai lo sappiamo tutti, così l’industria alimentare si trova costretta a camuffarli sotto nomi sempre diversi. Arrivando addirittura a promuovere come salutari alcuni prodotti OGM sui quali pende tuttora un grave sospetto di nocività.

Un gruppo internazionale di aziende (Du Pont e Bunge International), sfruttando le conoscenze di Monsanto Inc. e Pioner Hi-Bred International Inc. (tra i massimi esperti della produzione e della diffusione di OGM nel mondo) sta avviandosi a lanciare sul mercato mondiale un olio di soia a basso tenore di acido linolenico che, nelle intenzioni dei produttori, dovrebbe impedire la formazione di acidi grassi transidrogenati (in un certo senso corrispondenti ai nostri grassi idrogenati vegetali) durante la cottura degli alimenti.

Il progetto sarebbe anche interessante se non avesse alcune implicazioni inquietanti sul piano alimentare e scientifico.

Uno dei motivi per cui la soia è stata considerata in altri tempi molto salutare (e quella naturale ha ancora oggi le stesse caratteristiche di utilità), infatti, è dato dal suo elevato tenore di acidi grassi polinsaturi, necessari all’organismo per contrastare le malattie cardiovascolari, per regolarizzare la strruttura ormonale, per controllare la pressione arteriosa e per ottimizzare le difese dalle malattie degenerative.

L’acido linolenico (che è fondamentalmente uno dei pochi acidi grassi Omega-3 presenti nei vegetali, mentre la massima quantità è presente nei pesci), è un acido grasso polinsaturo e come tale si trasforma in acido grasso trans durante la cottura dei preparati aimentari industriali.

L’acido linolenico è salutare proprio per questa sua caratteristica di essere polinsaturo. Se lo togliamo dalla soia, forse è vero che potremo cuocere questo alimento senza produrre acidi transidrogenati, ma avremo anche una soia indiscutibilmente meno utile dal punto di vista della salute.

Se le caratteristiche reali degli alimenti passano decisamente in secondo piano rispetto al bisogno di adattarli al “mercato” (unico vero interesse di gran parte delle multinazionali agroalimentari), nulla vieta di aspettarci prima o poi di trovarci nel piatto anche gli oli lubrificanti per i motori a scoppio!

Sembra paradossale, e tuttavia non tanto incredibile all’interno della perversa direzione verso la quale l’umanità sta purtroppo compiendo passi decisi. Indispensabile allora tenere alta la guardia, o per lo meno difenderci con scelte pratiche di consumo, le uniche in grado di dissuadere il mercato da certi tipi di produzione.

Nel caso specifico abbiamo la presentazione di una varietà di soia (che la ditta produttrice ben si guarda dal segnalare come appartenenete o meno alla categoria degli Organismi Geneticamente Modificati, segnalando semplicemente che è frutto anche dello sviluppo della ingegneria genetica e della trasmissione di caratteri migliorativi alle piante) alla quale viene tolta una componente salutare per evitare che produca con la cottura sostanze dannose.

In cambio ci ritroviamo un prodotto che potrebbe portare a una diffusione capillare e inavvertita di OGM, con tutti i possibili danni connessi.

Teniamo presente le dimensioni di questo fenomeno: la ditta produttrice (che sta comunque sperimentando e lanciando altri tipi di varietà di olio di soia per l’uso alimentare) prevede di produrre 9 milioni di kg di questo olio nel 2005, e di raggiungere entro il 2009 la produzione annuale di 500 milioni di kg di olio.

Pensando alla popolazione mondiale, significa che nel 2009 ogni persona che vive nel mondo “occidentalizzato” avrà modo di mangiarsi ogni anno circa mezzo chilo di questo olio, comunque utilizzato.

Il tentativo di spacciare per “salutare” una realtà produttiva non priva di possibili rischi, deriva da almeno due fattori ben chiari.

Il primo è legato alla spinta produttiva di quella parte di scienza che riconosce se stessa solo se correlata allo sviluppo dello studio sulla genetica e alle sue applicazioni commerciali, il secondo è legato agli effetti importanti che la controinformazione libera è riuscita a determinare sui mercati.

La capillare informazione di questi anni ha infatti portato a limitare l’impiego dei grassi idrogenati vegetali in molti settori di consumo consapevole.

La presenza sul mercato di prodotti controllati, da agricoltura biologica, e privi di determinate sostanze alimentari (grassi, zucchero, latte, lieviti ad esempio) è il segnale di una crescente attenzione di una parte della popolazione verso la propria salute e verso i prodotti che possono danneggiarla.

L’uso dei grassi aggiunti agli alimenti è una delle vie più subdole per potere fare transitare particolari sostanze e anche certi tipi di filosofia alimentare.

Assaggiare qualche grammo di quel mezzo chilo previsto per il 2009 non sarà certo un problema in sé: l’organismo è fatto per adattarsi e chiunque segua una dieta variata è in grado di norma di superare bene anche gli attacchi derivanti dalle fonti alimentari meno sane, così come dall’inquinamento nel quale siamo costantemente immersi.

Ma una scelta “politica” che nella quotidianità ci aiuti a limitare alla minima quantità necessaria l’uso di preparati industriali ricchi di grassi, comunque trasformati, non rappresenta solo un impegno di salute per noi stessi.

È anche una delle poche possibilità a nostra disposizione per riuscire a modificare le scelte produttive delle grandi industrie.