Vaccinarsi: cosa dico ai miei pazienti

29 Marzo 2021
Vaccinarsi: cosa dico ai miei pazienti

L’infezione da SARS CoV-2, soprattutto quando porta a sintomi di rilievo, ma anche quando è superata in modo del tutto asintomatico, può indurre nell’organismo alcune risposte autoimmuni inaspettate con la produzione di autoanticorpi di vario tipo e con la attivazione di malattie e disturbi che vanno dalla neuropatia alla artrite reumatoide, dalla tiroidite alla vasculite, e dalla leucopenia (calo dei globuli bianchi) alla carenza di piastrine e a molte altre.

Essendo un immunologo e occupandomi, nel centro SMA in cui lavoro, di patologie immunologiche, di malattie autoimmuni e di allergopatie, ho voluto e dovuto confrontarmi con i dati reali, per valutare l’opportunità del vaccino preventivo anti COVID per i miei pazienti. Il numero di attivazioni autoimmuni dovuti all’infezione (anche asintomatica) da COVID è elevatissimo, come riportato nella preprint del National Institute of Health del dicembre 2020 (Woodruff C e altri ricercatori della Università di Atlanta) e già anticipato nell’articolo pubblicato su Nature Immunology nel dicembre del 2020 dallo stesso Woodruff (Nat Immunol. 2020 Dec;21(12):1506-1516. doi: 10.1038/s41590-020-00814-z. Epub 2020 Oct 7). 

Ricalcolando per difetto (e non per eccesso) la presenza di autoanticorpi a seguito del COVID, risulta che la percentuale di attivazione auto-immunologica dovuta alla INFEZIONE, anche asintomatica, è di circa 1 su 8-10 persone che presentano delle possibili complicanze immunitarie, a fronte delle circa 1 su 150.000 documentate come possibile effetto collaterale indesiderato causato dalla vaccinazione. Si tratta di una sproporzione enorme, per la quale, soprattutto per i miei tanti pazienti con patologie autoimmunitarie, ritengo assolutamente indicato e preferibile vaccinarsi anziché rischiare di ammalarsi. 

Va tenuto presente che gli anticorpi che si sviluppano non sono solo gli ANA a basso titolo (anticorpi anti nucleo a 1:80 o 1:160), che si manifestano con una certa frequenza anche in molte altre forme infettive virali (Epatite C e Mononucleosi ad esempio), ma molti altri, che possono coinvolgere diversi organi e apparati, come precisato nell’articolo di Canas segnalato anche all’inizio di questo articolo

La reazione immunogena post vaccinale, nelle prime 48-72 ore, è utile ma può essere modulata in modo intelligente. Non è necessario soffrire per averla.

A titolo puramente personale, sulla base degli oltre 40 anni di attività lavorativa, se penso a possibili effetti indesiderati a lungo termine, apprezzo di più i vaccini a vettore di DNA come Astra Zeneca (o Reithera, o Johnson and Johnson o Sputnik, tutti basati sullo stesso principio) rispetto a Pfizer e Moderna (che pure mi stimolano dal punto di vista scientifico), anche se l’imperativo attuale è la effettuazione vaccinale nel tempo più rapido possibile.

In relazione ai dati integrati dei diversi stati (come UK) che hanno effettuato AZ senza particolari rilievi o diversità rispetto a vaccini a RNA, pur con la dovuta cautela continuo a ritenere AZ sicuro e preferibile come recentemente riconosciuto anche dall’EMA. L’organo europeo ha riscontrato un tasso di effetti collaterali immediati assolutamente sovrapponibile (anzi minore) di quello di Pfizer o Moderna.

In particolare, può aiutare a riflettere il sapere che anche per i due attuali vaccini a RNA (Pfizer e Moderna) sono stati descritti, con meno enfasi giornalistica, gli stessi eventi trombotici ascritti ai vaccini a vettore di DNA. Un articolo pubblicato sull’American Journal of Hematology nel marzo 2021 descrive esattamente il numero di eventi ascrivibili ai due vaccini a RNA e come per quelli a DNA spiega che questo tipo di evento è del tutto sovrapponibile alla incidenza delle trombosi spontanee  di questo tipo rilevabile nella popolazione.

Si parla di effetti trombotici possibili in circa una persona su un milione, e aggiungendo le persone che hanno avuto fenomeni emorragici anziché trombotici si arriva a circa 1 persona su 150.000, all’incirca gli stessi calcolati per Astra Zeneca e i suoi “cugini” (Lee EJ et al, Am J Hematol. 2021 Mar 9: 10.1002/ajh.26132 [Epub ahead of print]).

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Da “vecchio immunologo”, sono più sereno per l’uso di questo tipo di vaccino a vettore di DNA (che in 15 anni di uso per altri virus come Ebola ha documentato scarsi effetti negativi indesiderati a lungo termine) rispetto a quelli a RNA, su cui mancano valutazioni pratiche di effetti a lungo termine nonostante la riflessione scientifica che li escluderebbe. In ogni caso, ove non si potesse scegliere, la cogenza della effettuazione vaccinale, che reputo reale, obbliga individualmente alla sua effettuazione comunque con il primo vaccino autorizzato disponibile. 

Bisogna poi ricordare che ogni vaccino (a RNA tipo Pfizer o come gli altri a vettore di DNA) DEVE dare una risposta immunogena iniziale (nelle prime 48-72 ore) che comprende sintomi possibili come febbre, stanchezza, rigonfiamento di linfonodi, lieve stato di confusione, diarrea o fastidio intestinale, dolore muscolare e dolore in sede di iniezione) che sono normale effetto della attivazione immunitaria verso qualcosa che “assomiglia” al virus.  

E quando si sviluppa questa reazione, che è assolutamente temporanea e in alcuni casi è anche di forte intensità, mi viene da segnalare alle persone che ne soffrono o ne hanno sofferto una riflessione su quale avrebbe potuto essere la risposta all’infezione vera anziché a quella di uno stimolatore della sola risposta anticorpale. 

Per i vaccini a RNA, l’allergia specifica al PEG 80 (un conservante presente nel vaccino e in molti filler e in alcuni farmaci) richiede la effettuazione della vaccinazione con vaccino a vettore di DNA. Va poi tenuto in conto che per soggetti con allergie “generiche”, la condizione di allergia (ad esempio alle graminacee) va comunque segnalata al personale vaccinante anche se non controindica la effettuazione della vaccinazione e che soggetti con gravi reazioni allergiche precedenti potrebbero dover fare richiesta di effettuazione in ambito potenzialmente protetto (farmaci antiallergici a disposizione). In tutti i modi, soggetti con precedenti allergie di rilievo a cibi o farmaci, non devono lasciare il luogo di inoculazione prima che siano trascorsi 45 minuti dalla somministrazione.

La vaccinazione può essere in un certo senso “preparata”. A tutti i miei pazienti, nel rispetto di eventuali iper-reattività personali, suggerisco di usare 6 perle al giorno di Ribilla-Zerotox (un anti-infiammatorio e anti-allergico vegetale omega 3 a base di acido alfalinolenico), prendendone 2 perle ai 3 pasti nei 5-6 giorni precedenti la vaccinazione (e la rivaccinazione) e nei 5-6 giorni successivi, senza esitare a usare un analgesico (paracetamolo o nimesulide, ad esempio) o un basso dosaggio cortisonico (5 mg di deltacortene o 1,0 mg di bentelan per un paio di giorni) se i dolori muscolari o altri sintomi fossero intensi o se la febbre superasse i 38 (sempre nei 3 giorni post vaccinali). Sono le indicazioni che io do ai miei pazienti e che devono, individualmente, essere confrontate con il parere del proprio medico. 

L’obiettivo di questa preparazione è quello di modulare un poco la reazione immunogena positiva, quella che porta alla produzione di anticoprpi difensivi, in modo che avvenga comunque, senza l’obbligo di soffrire per averla.

E tra i punti da ricordare ci sono quelli legati alla glicazione, descritti con precisione nell’articolo “Covid e prevenzione in pratica“, che spiegano che una volta fatta la vaccinazione, perché il vaccino possa agire efficacemente è necessario controllare l’assunzione di zuccheri e verificare la glicazione (attraverso il test PerMè e il GlycoTest) come fattore predisponente, iin modo da fare sì che una scelta nutrizionale personalizzata impedisca alla proteina spike di coprirsi di fruttosio e glucosio, impedendo agli anticorpi già prodotti di riconoscerla e fermarla.