Quando la reazione allergica dipende da zucchero, fruttosio e prodotti glicosilati

26 Aprile 2017
Quando la reazione allergica dipende da zucchero, fruttosio e prodotti glicosilati

È in atto un profondo ripensamento sul significato dell’allergia. Sempre più si conferma che la reazione allergica non dipende solo da anticorpi specifici verso una sostanza, un polline o un cibo, ma dalla interazione di più fattori che contribuiscono a aumentare l’infiammazione dell’organismo e a facilitare poi le reazioni allergiche.

Queste sono sempre più somiglianti a una “goccia che fa traboccare un vaso” piuttosto che a una reazione diretta dovuta alle IgE e al contatto con il polline. Il polline o la sostanza estranea sono sicuramente coinvolti, ma la reazione allergica esprime più una reazione difensiva e di segnale di “troppo pieno” che di un reale disturbo nei confronti della sostanza.

Un lavoro pubblicato su JACI, frutto delle ricerche congiunte di un vasto numero di allergologi, ha stabilito che solo il 38% delle reazioni allergiche è legato a una responsabilità diretta di un polline o di un allergene respiratorio e che quindi, per semplice sottrazione, il 62% delle reazioni una volta definite allergiche (tra queste le più importanti, le più gravi e le più persistenti) sono quelle dovute alla interazione di più fattori, che coinvolgono più apparati e organi in una risposta infiammatoria sistemica dell’organismo (Anto JM et al, J Allergy Clin Immunol. 2017 Feb;139(2):388-399. doi: 10.1016/j.jaci.2016.12.940).

Per il nostro gruppo di ricerca, che da sempre affronta le allergie respiratorie con percorsi terapeutici che tengono in considerazione anche l’infiammazione da cibo, i livelli di BAFF e di PAF e l’azione dell’inquinamento ambientale, non si tratta certo di una novità. 

Fin dal 2006 Brandt ha descritto sul JACI la relazione tra gli aspetti alimentari e le allergie respiratorie, e altri lavori in successione lo hanno confermato. La terapia delle forme allergiche quindi deve (ameno in circa due terzi dei casi) partire da una considerazione sistemica e più allargata della reattività dell’organismo.

Ancora più interessante è il risultato di una ricerca approfondita, pubblicata su JACI nel febbraio 2017, che mette in correlazione l’aumento delle allergie alimentari evidente a livello mondiale, con l’aumentata assunzione alimentare di prodotti glicati (o glicosilati) e di particolari zuccheri che facilitano la glicosilazione (Smith PK J Allergy Clin Immunol. 2017 Feb;139(2):429-437. doi: 10.1016/j.jaci.2016.05.040. Epub 2016 Jul 15).

Con la glicosilazione e con il possibile danno dei tessuti, sono rilasciate dall’organismo delle allarmine, di cui la più nota è la HMGB1 – High Mobility Group Box 1. Queste sono cruciali per l’attivazione di reazioni allergiche, aumentando il livello di infiammazione, cui possono contribuire anche i Toll Like Receptors (TLR) della immunità innata, che riconoscono la presenza di alcuni batteri o alcuni alimenti.

Significa che una persona, bimbo o adulto che sia, potrebbe avere una bassa reattività verso un cibo, ma la contemporanea assunzione di prodotti glicosilati o di zuccheri particolari può trasformare una semplice reazione di “riconoscimento” in una reazione allergica alimentare vera  e propria.

La glicosilazione avviene in molti cibi in cui si cerca l’effetto “crispy” o l’abbrustolimento attraverso la cottura o il calore. La presenza anche di alcuni zuccheri porta al legame con specifiche proteine o grassi e determina l formazione dei composti glicotossici.

Eccone alcuni esempi:

  • Patatine fritte (sia in sacchetto sia come “french fries”) che ne sono ricchissime e che contengono anche acrilamide.
  • Il formaggio abbrustolito.
  • I semi oleosi “roasted”, come le noccioline tostate e salate.
  • Le carni o i pesci alla griglia.
  • I prodotti a base di cereali “crispy”, abbrustoliti o croccantati.

Il problema non deriva dalla “grigliatura a fuoco”, ma dalla temperatura elevata. Anche con l’uso del forno a microonde si possono ottenere fenomeni analoghi. Una tazza di latte semplicemente riscaldato per renderlo tiepido non contiene prodotti di glicosilazione.

Un piatto riscaldato in microonde per riportarlo a temperatura non sviluppa particolari reazioni, ma come con la griglia, un eccesso di riscaldamento al microonde comporta la produzione di prodotti glicosilati. Un prodotto bollito invece non ne contiene perché la temperatura si ferma intorno ai 100-120 gradi.

I prodotti glicosilati, chiamati anche glicotossine, sono numerosi. Il più noto è il metilglioxale che è una sostanza carcinogena capace di danneggiare il DNA. Il fruttosio è una sostanza chiave nella sua formazione.

La glicosilazione è indotta anche da alcuni zuccheri. In particolare il saccarosio (glucosio + fruttosio) e il fruttosio sono tra i prodotti che crediamo “naturali” e che invece al di fuori del loro contesto “vero” (la frutta fresca ed intera ad esempio) generano la formazione di prodotti glicosilati pericolosi come gli stessi prodotti dovuti al calore appena descritti. L’innalzamento della glicemia porta alla facile glicosilazione di alcune proteine e alla loro trasformazione in prodotti dannosi.

Molti lavori hanno specificato che i bambini che bevono soft drink o che usano bevande alla frutta ad alto contenuto di fruttosio (come i terribili succhi iperfiltrati descritti come “naturali”) hanno frequenti manifestazioni di tipo allergico alimentare, con tutta probabilità dovute alla azione infiammatoria dei prodotti di glicosilazione. Di sicura utilità ricordare che questi stessi prodotti sono messi da molti autori in stretta correlazione con la comparsa di Alzheimer

Il lavoro di Smith et al. appena descritto propone quindi una ipotesi molto convincente sull’aumentata prevalenza di allergie alimentari. Le spiegazioni attuali sui possibili modelli di malattia nei paesi occidentalizzati non riescono infatti a spiegarne la drammatica crescita degli ultimi anni. I prodotti glicosilati e gli zuccheri che formano prodotti glicosilati rappresentano perciò il possibile anello mancante.

Gli studi epidemiologici e di distribuzione geografica supportano questa ipotesi perché le manifestazioni di allergia alimentare sono corrispondenti al consumo sociale di prodotti glicosilati o degli zuccheri che facilitano la glicosilazione.

La soluzione è quella che noi suggeriamo da anni:

  • Mantenere temperature controllate per la cottura.
  • Usare il più possibile sostanze crude.
  • Cuocere con le dovute attenzioni le carni, come spiegato in questo articolo.
  • Evitare prodotti iperfiltrati e mangiare la frutta sempre nel modo più naturale possibile.
  • Ridurre il più possibile la dolcificazione.
  • Usare antiossidanti specifici (flavonoidi, quercetina, perilla) per contrastare l’azione infiammatoria delle glicotossine.
  • Controllare l’infiammazione da cibo in modo da ridurre il carico infiammatorio senza mai considerare nemici gli alimenti. Anche qualche sana “pazzia”, se occasionale, può sempre essere fatta.

Colpisce molto l’analogia tra le allarmine descritte nell’articolo e la presenza di citochine infiammatorie indotte dal cibo.

Per la medicina è importante oggi, e lo sarà sempre di più nel futuro, identificare e capire quali siano i biomarcatori di alcune condizioni specifiche. L’evidenza delle allarmine si affiancherà presto alla lettura dei livelli di BAFF e di PAF per aiutare le persone e soprattutto i soggetti a rischio ad affrontare e guarire le allergie alimentari di cui soffrono.