Tiroidite di Hashimoto e BAFF. L’importanza della nutrizione nella terapia

24 Maggio 2021
Tiroidite di Hashimoto e BAFF. L'importanza della nutrizione nella terapia

Gli autoanticorpi non “distruggono un organo”, come molti credono o purtroppo raccontano, e in una malattia autoimmune non esiste nessun tipo di autodistruzione. Quando nella malattia di Hashimoto, ad esempio, si evidenzia la presenza di autoanticorpi, vuol dire semplicemente che esiste una sregolazione del sistema immunitario connessa ad uno stato infiammatorio prolungato.

Non significa, come purtroppo molti pazienti credono, e molti medici lasciano credere, che l’organismo sta “autodistruggendo la tiroide”. Tanto è vero che sono frequentissimi i casi di persone con anticorpi antitiroide molto elevati per molti anni e con tiroidi perfettamente funzionanti.

Nel corso di una malattia autoimmune viene prodotta una elevata quantità di particolari autoanticorpi, per motivi completamente diversi da quelli usualmente pensati e questo deve essere ben chiaro in chi ha un disturbo di questo genere perché l’organismo non ha alcun tipo di intenzione “suicidaria”.

In un bellissimo articolo pubblicato su Nature Reviews Immunology ancora nel 2009 due ricercatori australiani hanno descritto e precisato il ruolo del BAFF nella comparsa delle malattie autoimmuni in modo esemplare (Mackay F et al, Nat Rev Immunol. 2009 Jul;9(7):491-502. doi: 10.1038/nri2572).

La loro descrizione è talmente precisa e chiara che la uso quasi in tutte le mie presentazioni pubbliche sull’autoimmunità. Uno dei compiti del BAFF è quello di stimolare la produzione di anticorpi dalle cellule B del sistema immunitario. Quando una qualsiasi sostanza estranea (antigene) che può provenire da un polline, un alimento, un farmaco o altro finisce su una cellula B, il BAFF la stimola a produrre anticorpi contro quella sostanza.

La produzione di BAFF, fortemente legata alla infiammazione da alimenti, può indurre e mantenere nel tempo le varie forme di tiroidite autoimmune.

Quando invece sui recettori della cellula B arriva una parte del proprio organismo (una componente della tiroide, della prostata, del polmone o di qualsiasi altro organo), un meccanismo protettivo che ha accompagnato il genere umano nella sua evoluzione si mette in moto e determina la morte della cellula in modo che non si producano autoanticorpi (apoptosi e delezione clonale).

Tutto questo avviene se le concentrazioni di BAFF sono regolari, ma se queste sono molto elevate, come quando ad esempio si sviluppa una infiammazione dovuta ad alimenti come quella dimostrata da Lied nel 2010 pubblicando su Alimentary Pharmacology & Therapeutics i risultati delle sue ricerche, la cellula B, anziché “togliersi di torno” continua a produrre autoanticorpi. La relazione tra BAFF e malattie autoimmuni è stata poi documentata nel 2017 attraverso una ricerca pubblicata sul New England Journal of Medicine aprendo la strada a nuove prospettive di diagnosi e di terapia (Steri M. et al, N Engl J Med. 2017 Apr 27;376(17):1615-1626. doi: 10.1056/NEJMoa1610528). 

Questo lavoro scientifico internazionale, coordinato dall’Università di Sassari, ha finalmente fatto convergere l’evidenza genetica e quella funzionale in modo preciso, definendo anche le modalità con cui certi tipi di mutazione del DNA (che io chiedo sempre di misurare nei test di personalizzazione nutrizionale) possono esprimersi sul piano clinico. Di fatto evidenziando che il BAFF non è solo coinvolto nella genesi del Lupus ma di tutte le malattie autoimmuni. 

Non è poco per una sostanza che nessuno è mai andato a cercare fino agli ultimi anni. Il BAFF è attivo in situazioni e ambiti in cui, negli anni passati, la reazione dovuta al cibo è stata spesso chiamata in causa, come nel caso della artrite reumatoide, dell’obesità, dell’emicrania, della tiroidite di Hashimoto o delle patologie respiratorie croniche e poi in relazione a tutte le malattie autoimmuni

Questo non vuole dire che l’alimentazione sia la unica causa di una tiroidite autoimmune, ma di certo una sua importante concausa ambientale. Nel centro SMA in cui lavoro seguiamo da anni molti casi di disturbi tiroidei, autoimmuni e no, attraverso specifici percorsi terapeutici, riuscendo in molti casi, e spesso in rapporto con lo specialista endocrinologo, a migliorare l’efficienza tiroidea e a ottimizzare i dosaggi di levotiroxina sostitutivi. 

In molti casi, lo ricordiamo, le persone ricevono una diagnosi di Hashimoto solo per la presenza di autoanticorpi, mentre la tiroide sta ancora efficacemente funzionando. In quel caso la persona non è malata, come molti credono, ma ha solo bisogno di controllare un po’ di più la propria infiammazione e la propria glicazione per ottimizzare la funzione tiroidea. Un’alimentazione personalizzata potrebbe essere lo strumento adatto a tutte le forme di tiroidite immunitaria.

Questo vale anche per la malattia di Basedow, dopo che un gruppo di endocrinologi britannici ha confermato la relazione tra BAFF e malattia di Graves o di Basedow (Lane LC et al, Clin Endocrinol (Oxf). 2018 Oct 3. doi: 10.1111/cen.13872. [Epub ahead of print]) riconfermando quanto già pubblicato nel 2012 sul Journal of Clinical Endocrynology and Metabolism da un gruppo italiano.

Lo stesso gruppo di ricercatori italiani ha pubblicato su Thyroid nel settembre 2015 i risultati di una ricerca sul tessuto tiroideo di persone affette da tiroidite di Hashimoto, da gozzo multinodulare e da altre tireopatie autoimmuni (Campi I et al, Thyroid. 2015 Sep;25(9):1043-9. doi: 10.1089/thy.2015.0029. Epub 2015 Aug 13), evidenziando che BAFF e i recettori per il BAFF erano significativamente più evidenti nel caso di tireopatia autoimmune rispetto al gozzo multinodulare (dove comunque erano presenti).

Questo risultato suggerisce un costante coinvolgimento del BAFF e dei suoi recettori nella genesi delle malattie autoimmuni tiroidee e ovviamente nel loro mantenimento. Per questo motivo in caso di tireopatia vanno sempre studiati anche i livelli di BAFF, il profilo alimentare personale e i livelli di glicazione, fortemente correlati alla disfunzione della ghiandola, attraverso specifici test (come i test GEK Lab) che consentono di definire il piano alimentare personalizzato che potrebbe contribuire al controllo o anche alla guarigione di tutte le forme di tiroidite.