Terapia delle malattie autoimmuni

2 Ottobre 2003
Terapia delle malattie autoimmuni

Sono molti ormai i dati scientifici che mettono in relazione le malattie autoimmuni e i fenomeni di ipersensibilità alimentare. Se si esclude l’artrite reumatoide, queste patologie fortunatamente non sono molto frequenti nella popolazione, tanto che anche i loro nomi risultano oscuri ai più.

Di recente, tuttavia, si assiste a un parziale aumento nella diffusione di alcune forme lupiche (in cui una dieta di controllo dell’infiammazione da cibo può comunque essere molto utile) e alla crescita rilevante dell’incidenza delle malattie autoimmuni tra le donne.

Se infatti è ormai accertata la superiorità del sistema immunitario femminile, più potente e resistente alle infezioni rispetto a quello maschile, questo rende la popolazione femminile più vulnerabile di quella maschile nei confronti di queste peculiari patologie.

In presenza di uno stimolo immunitario persistente, come quello rappresentato dall’inquinamento che ci assedia, il sistema immunitario può letteralmente andare in tilt, determinando la comparsa di malattie come artrite reumatoide, lupus eritematosus, lupus discoide, sclerosi multipla e altre malattie demielinizzanti, tiroiditi.

Per gli esperti, sapere che anche una crioglobulinemia può essere controllata efficacemente con una dieta che tenga conto della infiammazione da cibo e della produzione di insulina (Ferri C et al, Low antigen content diet in the treatment of patients with mixed cryoglobulinemia Am J Med 1989; 87;5:519-524) dischiude ampie possibilità di trattamento per tutte le patologie infiammatorie a componente autoimmunitaria.

Anche per il LES si può infatti evidenziare il fatto che le IgE aumentano decisamente nel paziente, pur in carenza di atopia (Elkayam O et al, Serum IgE concentrations, disease activity, and atopic disorders in systemic lupus erythematosus, Allergy, 1995, 50;1:94-96).

La pratica clinica di tipo dietetico sui fenomeni vasculitici (Lunardi C et al, Elimination diet in the treatment of selected patients with hypersensitivity vasculitis, Clin Exp Rheumatol 1992; 10:131-135) è di estrema soddisfazione: molte vasculiti da ipersensibilità possono realmente essere guarite purché sia seguita con correttezza l’impostazione alimentare ipoallergenica.

La stessa vitiligine (Koga M et al, Soluble IL-2 receptor levels in patients with vitiligo, ACI News (suppl. 2), 1994; 186) può essere rallentata e spesso fermata nella sua evoluzione attraverso un controllo delle ipersensibilità alimentari: ci riferiamo alla forma di tipo B, quella cioè che non ha una distribuzione dermatomerica e in cui si possono identificare discreti livelli di IL-2. In un caso di questo genere sembra infatti abbastanza plausibile che il fenomeno compaia proprio come esito di un fatto infiammatorio subliminale, sicuramente ripetuto a lungo nel corso della vita.

Trattare l’infiammazione da cibo con una impostazione alimentare derivante dalle indicazioni di un RecallerProgram può quindi essere di notevole aiuto, non tanto per la guarigione delle lesioni già iniziate, ma per il controllo della sua evoluzione. 

Accanto a quelli già segnalati, alcuni interessanti studi segnalano poi come la presenza di anticorpi anti lievito di birra assuma una notevole importanza clinica in determinate patologie (in particolare nel Crohn e in parte nella colite ulcerativa) e un richiamo ancora più recente (Am J Gastroenterology 2001 Jan; 96(1):252-253) indica la presenza di ASCA anche nelle patologie autoimmuni epatiche.

Un dato da tenere ben presente in ambito clinico, sia per la frequente ipersensibilità alimentare ai lieviti che si ritrova nelle epatopatie, sia per il possibile rischio connesso al fatto che la vaccinazione antiepatite B deriva da ingegneria genetica da Saccharomyces cerevisiae e nessuno studio ha ancora valutato la possibile induzione di anticorpi contro di esso.

Nel trattamento di queste forme, il medico deve assumersi la responsabilità di modulare e guidare l’assunzione dei farmaci e degli interventi dietetici che possono rendersi necessari. In numerosi casi (nel LES ad esempio) è utile mostrare al malato come funzione il suo sistema immunitario e favorire la comprensione dei fattori emozionali, alimentari e tossicologici che possono aver favorito o stimolato la comparsa della patologia autoimmune.

Nell’impostazione della terapia, i primi passi – che non richiedono la sospensione dei farmaci normalmente usati – consistono nello studio della dieta: si deve infatti ridurre l’infiammazione persistente che dà ragione di molti dei danni sofferti dall’organismo. Si indaga se esista una infiammazione da cibo, e si interviene in relazione alle possibilità e alla disponibilità del paziente al cambiamento di abitudini che possono essere consolidate.

Quando anche i sintomi diventano trattabili – e non solo a ‘cannonate’ di cortisone ma anche in modo più dolce – e i megadosaggi cortisonici che prima erano indispensabili possono essere ridotti a dosaggi più umani, con un alleggerimento degli effetti collaterali, anche la dimensione della malattia stessa comincia a farsi meno grave, e la crescita dell’autostima o il fatto di affrontare altre dinamiche psicologiche latenti fornisce un supporto e un rafforzamento del sistema immunitario.

Trattandosi di malattie per lo più invalidanti, vale la pena di considerare la loro terapia sotto tutti i possibili punti di vista, non ultimo quello psicologico. Se infatti consideriamo l’organismo umano come un castello, il sistema immunitario, con le sue cellule concentrate nei punti di maggior contatto con il mondo esterno, rappresenta certamente le truppe poste in allerta sui bastioni a individuare e respingere gli attacchi del nemico.

Ma cosa c’è al centro del castello, da difendere con tanta forza? Racchiusa all’interno si trova l’autonomia, l’individualità specifica della persona. Infatti, come dice Rita Levi Montalcini, quando questo senso di autonomia è messo in pericolo, ne deriva una reazione di allarme che attraverso l’NGF può determinare l’attivazione di reazioni immunologiche e allergologiche importanti.

Quando questa autonomia si trova minacciata, magari a causa di condizioni famigliari gravose, di traumi fisici o emotivi pesanti, di scelte importanti che possono cambiare la vita, il senso della propria individualità può essere messo in discussione, disturbando la funzionalità del sistema immunitario non meno degli attacchi provenienti dall’esterno.

Proviamo a prendere in considerazione due tra le patologie di tipo autoimmune più frequenti e di facile riscontro anche per il medico pratico.

Tiroiditi e vasculiti possono trarre grandi vantaggi dal controllo dietetico nella misura in cui il controllo dietetico può ridurre sia il livello di istamina circolante, l’attivazione sui linfociti T e quindi ridurre la presenza di interleuchina 6 (IL-6), che è un’interleuchina di tipo infiammatorio.

Questo viene ottenuto attraverso l’attivazione e la modulazione dell’interleuchina 10 (IL-10) che è invece di tipo regolatorio, che regola verso il basso le reazioni di tipo infiammatorio immunologico. Trattandosi di un fenomeno legato all’attivazione delle cellule T, è importante tenere presente la possibile utilizzazione degli acidi grassi, omega-3 in particolare. Sappiamo che gli acidi grassi omega-3 hanno un’azione di inibizione della risposta sia Th1 sia Th2, mentre gli omega-6 normalmente hanno solo un’azione sulla risposta Th1.

L’azione della dieta è spesso risolutiva sui sintomi di tipo infiammatorio e di tipo vascolare che si determinano nelle vasculiti. È importante seguire l’andamento della patologia attraverso i valori di C3 e C4, quindi seguendo l’attivazione del complemento, e valutare anche nel corso del tempo la variazione dell’ipergammaglobulinemia aspecifica che di solito è associata a questo tipo di patologie.

La dieta consigliata è una dieta che, come per l’artrite reumatoide, ha spesso tempi più lunghi della media. Non lunghi come quelli dell’artrite reumatoide. Però, mentre le poche settimane necessarie per un problema come quello della colite possono servire come metro di paragone, qui ci troviamo in una condizione in cui sicuramente occorrono da settimane a mesi per ottenere una stabile risoluzione della sintomatologia.

È sicuramente importante l’uso di integratori che controllino l’infiammazione in modo naturale, come l’Olio di Perilla, che può aiutare a filtrare l’aspetto infiammatorio di queste patologie.

Va sempre considerato, come già detto, l’aspetto emotivo. Una guida complessiva nella gestione della terapia deve dunque tener conto sia dell’aspetto infiammatorio, sia di quello psicoemotivo, sia di quello dell’integrazione specifica (come quella di omega-3) sia di quello nutrizionale, non solo in termini dietologici ma anche dal punto di vista dell’apporto di alcuni minerali fondamentali come Manganese, Zinco e Rame.