L’uomo è ciò che mangia. Ma anche ciò che ha mangiato la sua mamma

8 Marzo 2007
L'uomo è ciò che mangia. Ma anche ciò che ha mangiato la sua mamma

C’è tutto un settore dell’establishment medico-scientifico, generosamente finanziato dalle case farmaceutiche e dalle loro lobbies, che si affanna a diffondere per il mondo il seme avvelenato della sua presunta verità: l’importanza dell’alimentazione per la salute è sopravvalutata, le diete servono a ben poco, tutte le principali patologie del nostro tempo (dai disturbi cardiovascolari al cancro, dall’obesità alle allergie, dalle ulcere gastriche alle disfunzioni renali) si prevengono e si curano esclusivamente con i farmaci.

Una tesi semplicemente ridicola dal punto di vista scientifico e perfino da quello del buon senso.

Una tesi che lascerebbe alquanto perplesso il grande filosofo tedesco Ludwig Feuerbach il quale, circa un secolo e mezzo fa, concepì la celebre frase “L’uomo è ciò che mangia”.

Lui lo affermava per certe sue ragioni teoretiche molto più elevate del nostro stomaco e di quello che ingerisce: ma certo si tratta di una quelle illuminazioni geniali che dovrebbero accendere un po’ di luce anche nel cervello dei posteri.

Per fortuna ci sono anche ricercatori seri e onesti che confermano ogni giorno, pubblicando i risultati dei loro studi, che “l’uomo è ciò che mangia” e che di conseguenza, cambiando le proprie abitudini alimentari, si può raggiungere il benessere o almeno eliminare o attenuare i malesseri più gravi.

Ora due studi recenti, e del tutto indipendenti l’uno dall’altro, concordano nell’ammonire che la salute dell’essere umano non è soltanto fortemente condizionata e modellata dalla sua dieta ma, addirittura, può essere insidiata dalla dieta tenuta da sua madre nel periodo in cui lo alimentava nel suo grembo.

Di particolare interesse per il nostro sito e per i suoi frequentatori più assidui è certamente la ricerca condotta all’Istituto di Epidemiologia dell’Università tedesca di Neuherberg e pubblicata dall’American Journal of Clinical Nutrition (S Sausenthaler et al, Am J Clin Nutr 2007 Feb, 85:530-537).

Esaminando i dati di oltre 2.500 bambini, una rilevante minoranza dei quali (17,7%) affetti da eczema all’età di due anni, i ricercatori hanno potuto individuare una significativa correlazione tra l’assunzione, da parte delle madri, di forti quantità di margarina e altri grassi vegetali nelle ultime quattro settimane di gravidanza e insorgenza di precoci reazioni allergiche nella prole.

È un risultato di grandissimo interesse, che conferma il ruolo fondamentale svolto dall’ipersensibilizzazione a certi alimenti nelle manifestazioni allergiche.

Non meno interessanti, e perfino più inquietanti, sono i dati che emergono da un secondo studio, condotto sopra una popolazione di genitori e bambini australiani da un gruppo di ricercatori dell’Università inglese di Bristol e pubblicato da un’altra prestigiosa rivista scientifica americana, l’American Journal of Epidemiology (DA Lawlor et al, Am J Epidemiol 2007 Feb, 165(4):418-424).

Si è trattato di uno studio di lungo periodo, realizzato su circa 3.300 terne padre-madre-figlio e articolato in special modo su una visita medica condotta sulla madre durante la gravidanza e sulla determinazione dell’indice di massa corporea del figlio all’età di 14 anni. Ne è risultata una correlazione significativa tra il peso corporeo del figlio e quello della madre: molto più significativa di quella che legherebbe l’eventuale obesità del figlio all’obesità del padre.

I risultati di questo studio sembrano confermare la cosiddetta “ipotesi della sovralimentazione fetale” come causa privilegiata dell’obesità nella sua osservabile ereditarietà. La frequenza di figli obesi messi al mondo da genitori obesi non sarebbe cioè l’effetto di un’ereditarietà genetica, ma dell’alimentazione eccessiva del feto durante il suo soggiorno nell’utero di una madre sovrappeso.

In questo modo l’obesità, vera e propria malattia sociale negli Stati Uniti e in via di diventarlo anche in molti paesi europei, tende a cronicizzarsi, se così si può dire, nelle famiglie e a diffondersi irresistibilmente nella popolazione. Per spezzare la spirale non sarà dunque sufficiente alle madri curare con attenzione l’alimentazione dei figli dopo la nascita, ma anche la propria prima del concepimento.

Nel loro insieme questi due studi concordano nel dirci che le colpe (alimentari) delle madri ricadono sui figli. Sarebbe ora di prenderne consapevolezza.

di Ezio Sinigaglia