Europei e Cinesi: stessa malattia intestinale causata da gruppi alimentari diversi

23 Febbraio 2015
Europei e Cinesi: stessa malattia intestinale causata da gruppi alimentari diversi

Chi condanna un alimento specifico come causa di malattia ha sicuramente da ricredersi.

Se una stessa malattia (ad esempio la malattia di Crohn) in Europa può avere una relazione con particolari gruppi alimentari (come Frumento, Lieviti e Latte), in Cina può dipendere da Soia, Riso e Mais.

Qualcuno direbbe che è logico, che corrisponde esattamente alle abitudini alimentari di una popolazione e che si tratta di una considerazione di buon senso.

Peccato che vada contro alla convinzione medica corrente, che quando identifica un possibile colpevole, anziché ragionare sul significato evoluzionistico di un fatto, lo condanna definitivamente ad essere il responsabile di un disturbo.

Molti medici, inoltre, sono spesso portati a chiedere l’eliminazione di un alimento o di più gruppi alimentari a fronte di un disturbo, senza rendersi conto che togliendo ad esempio il glutine ad una persona e facendogli mangiare in sostituzione il riso, molto probabilmente verrà favorito lo sviluppo di una nuova reattività verso il riso, magari con gli stessi sintomi di prima.

La realtà, con la presentazione di dati scientifici, aiuta invece a capire che il problema non dipende dal singolo cibo, ma dal modo in cui gli alimenti reagiscono nell’organismo.

Se non si tratta di una reazione specifica al singolo alimento, va tenuta in considerazione l’infiammazione provocata dal relativo eccesso di un alimento.

Per questo motivo persone che mangiano molti lieviti troveranno una correlazione nelle loro patologie con le sostanze fermentate, nello stesso modo in cui chi mangia frequentemente gli stessi alimenti troverà che la causa dell’infiammazione da cibo dipende proprio da quei gruppi alimentari assunti in eccesso, come confermato da Ligaarden e da Ferrazzi su BMC Gastroenterology (Speciani AF, Piuri G, Ferrazzi E (2014). Comment to Ligaarden SC et al, BMC Gastroenterology 2012, 12:166. BMC Gastroenterol. doi: 10.1186/1471-230X-12-166).

Questo può essere trasferito ovviamente anche su base epidemiologica, per cui le malattie infiammatorie intestinali (IBD) come il Crohn e la Retto Colite Ulcerosa, che in Europa sono spesso dovute all’infiammazione provocata da glutine, latte e lieviti, in Cina, come pubblicato nel novembre 2014 su PLoS One, sono invece correlabili a soia, riso e mais (Cai C et al, PLoS One. 2014 Nov 13;9(11):e112154. doi: 10.1371/journal.pone.0112154. eCollection 2014).

Questo corrisponde a quanto su Eurosalus segnaliamo da anni, proponendo su base scientifica una nuova immagine per la lettura delle IgG alimentari, non più certamente da considerare anticorpi “contro” il cibo, ma semplicemente degli anticorpi di riconoscimento, che possono innalzarsi quando nel singolo soggetto l’introduzione alimentare di un certo gruppo cresce al di là di un personale livello di soglia.

In questo modo si può definire un profilo alimentare individuale (attraverso Recaller o Biomarkers), che aiuta a impostare un corretto approccio dietetico nel caso del Crohn e della RCU o di una altra malattia infiammatoria intestinale.

Interessante notare che nell’articolo di PLos One (qui in versione integrale) viene evidenziato un elevato valore di IgG per l’uovo sia nei soggetti sani sia in quelli malati di IBD, a testimonianza del fatto che la reazione anticorpale all’uovo (o al pollo) è elevata solo perché l’uovo è filogeneticamente molto lontano dal mammifero e quindi il valore standard (non patologico) può essere per tutti elevato; sani o malati che siano (cioè non serve accanirsi dieteticamente contro l’uovo).

Le differenze di valore tra sani e malati sono invece l’aspetto più significativo del lavoro (visibile nella figura 3 della versione integrale segnalata), che evidenziano una forte differenza appunto per riso, soia, mais e in parte pomodoro.

Dal lavoro emergono altre due considerazioni, legate all’aumento anche di IgM nelle persone in cui crescono gli anticorpi verso il cibo, e del crescere della produzione di IgG all’aumentare del numero di sostanze coinvolte, come se la reazione infiammatoria al cibo andasse progressivamente a crescere.

Questo conferma quanto da noi verificato sul piano clinico con le persone che recuperano la tolleranza verso una sostanza e si trovano in migliori condizioni generali per affrontare il percorso verso la guarigione completa.

Pur se in piccola quantità, nella ricerca si evidenzia una correlazione tra reazione sia al latte sia alla carne bovina. Noi infatti da qualche anno indichiamo un controllo dietologico, quando emerge una risposta ai latticini, anche nei confronti delle carni.

Alcuni autori segnalano che le IgG potrebbero riconoscere, a fianco delle varie altre sostanze, l’acido sialico, presente nel latte, nei formaggi e ancora di più nella carne bovina.

Si tratta di una interessante considerazione, perché l’acido sialico è un marker di diversità dall’uomo e di somiglianza tra tutti i prodotti di derivazione bovina, come segnalato ancora dal 2003 da Tangvoranuntakul e dai suoi colleghi del gruppo di La Jolla University (Tangvoranuntakul P et al, Proc Natl Acad Sci U S A. 2003 Oct 14;100(21):12045-50. Epub 2003 Oct 1).

In pratica quindi il confronto tra i lavori Europei e quelli Cinesi ci confermano nell’idea che ogni cibo sia “buono” e che sia la misura della utilizzazione alimentare a rendere gli alimenti temporaneamente infiammatori.

Il giusto approccio al problema ripercorre diete di rotazione (mai di eliminazione) congrue con la misurazione del valore infiammatorio (BAFF e PAF) e con lo stimolo al recupero della tolleranza nei confronti degli alimenti.