Una nuova immagine per le IgG: cosa dicono gli anticorpi verso gli alimenti

18 Novembre 2013
Una nuova immagine per le IgG: cosa dicono gli anticorpi verso gli alimenti

Per anni gli allergologi hanno cercato di selezionare e identificare gli anticorpi contro il cibo sperando così di definire il tema della reazione alimentare anche in assenza di allergia

In mancanza di IgE (i tipici anticorpi delle reazioni anafilattiche), l’organismo produce IgG cui gli studi evoluzionistici, in particolare quelli di Finkelman, hanno dato un nuovo significato.

Non si può più parlare di anticorpi “contro” il cibo, ma semplicemente del modo in cui l’organismo prende contatto con un alimento e in un certo senso “fa conoscenza” con lui.

La produzione di IgG (lo stesso tipo di anticorpi valutato in un RecallerProgram) è l’espressione del modo con cui l’organismo umano, nei milioni di anni di evoluzione che hanno preceduto la sua attuale struttura immunologica, ha imparato a capire come è fatto un alimento che entra nell’organismo a portare energia, per capire se è adatto o meno a prendere con l’organismo un contatto così intimo come quello alimentare.

L’evoluzione della scienza sta guidando oggi un passaggio molto importante nella comprensione dei fenomeni legati all’alimentazione e alla infiammazione da cibo.

Dalla vecchia immagine, ormai non più accettata scientificamente, delle intolleranze alimentari, si sta passando finalmente alla comprensione del significato delle reazioni alimentari di tipo infiammatorio, con la possibilità di misurare e seguire i livelli di citochine (sostanze infiammatorie e spesso di segnale) presenti nell’organismo e di capire il profilo alimentare individuale su cui guidare il cambiamento dei comportamenti dietetici per controllare l’infiammazione.

Il processo scientifico è stato lento e non facile. Abbiamo descritto la sua evoluzione in un articolo in cui continuiamo a segnalare i lavori scientifici più importanti che ci hanno portato a questa svolta; in particolare però il punto chiave di questa evoluzione è stato il lavoro sulla identificazione del BAFF come citochina “simbolo” della reazione infiammatoria agli alimenti e sulla rivalutazione del PAF (altra citochina di forte rilievo) nel generare i sintomi dovuti agli alimenti.

La scoperta del BAFF ha consentito di smettere di cercare solo gli anticorpi responsabili (una ricerca vana, come si diceva…) e si può affrontare quindi in modo innovativo il tema dell’infiammazione e di tutti i sintomi correlati con essa.

Nel 2010 questa ricerca, a dispetto di chi minimizzava l’importanza dei fenomeni legati al cibo, o riduceva il fenomeno all’invenzione di qualche ciarlatano, ha confermato un fatto clinico non solo esistente, ma di importanza fondamentale per la regolazione degli aspetti infiammatori immunologici e metabolici di ogni organismo vivente.

Il lavoro, effettuato da un gruppo di gastroenterologi norvegesi e pubblicato a fine luglio 2010 su Alimentary Pharmacology & Therapeutics è in effetti molto semplice e ha evidenziato la comparsa di BAFF in modo significativo in tutte le persone che manifestavano sintomi correlati ad un alimento (Lied GA et al, Aliment Pharmacol Ther. 2010 Jul;32(1):66-73. Epub 2010 Mar 26).

Poiché il BAFF ha caratteristiche di estremo interesse diventa il punto di riferimento della valutazione di un profilo alimentare individualizzato. Non solo attiva l’infiammazione, ma regola attraverso un controllo di segnale sui recettori delle cellule, la risposta allergica, la risposta dolorosa, la cicatrizzazione, l’attivazione metabolica, l’azione muscolare e l’attivazione di malattie come le malattie autoimmuni e la celiachia.

Una volta capita la necessità di individuare e misurare i livelli delle sostanze che generano i sintomi (BAFF, PAF e altre ancora, come RecallerProgram proporrà nelle prossime settimane) diventa necessario capire cosa si misura quando si valutano le IgG nei confronti dei Grandi Gruppi Alimentari.

Alla fine del 2012, un gruppo norvegese ha pubblicato su BMC Gatroenterology un lavoro molto interessante. Nonostante una qualità non troppo elevata nella valutazione di alcuni questionari alimentari, tutto un settore della ricerca ha evidenziato con chiarezza che il valore di IgG cresce nell’organismo in modo corrispondente alla dieta che una persona sta seguendo con sistematicità (Ligaarden SC et al, BMC Gastroenterol. 2012 Nov 21;12:166. doi: 10.1186/1471-230X-12-166).

Significa cioè che le IgG diventano la chiave di lettura dell’eccesso alimentare nella introduzione di un Grande Gruppo di riferimento. Se una persona inizia a mangiare sistematicamente formaggi, pane e vino, mantenendo un equilibrio alimentare corretto potrebbe non avere alcun tipo di manifestazione o problema, ma se quei cibi, in modo individuale, iniziano a essere “in eccesso”, ecco che la produzione di IgG cresce e i segnali di allarme nei confronti di quei cibi diventano sempre più evidenti.

Da sempre, in accordo con la ricercatrice internazionale Polly Matzinger, sosteniamo che l’allergia è in realtà un segnale che l’organismo manda verso l’esterno, nel tentativo di allontanare da sé elementi di disagio, fisico o psichico che sia. 

Nel nostro centro di Milano infatti (SMA), da anni seguiamo chi manifesta problemi di reazione infiammatoria agli alimenti, accompagnandolo in un processo di guarigione attraverso specifici percorsi terapeutici.

Lo sviluppo moderno nella comprensione dei fenomeni di risposta al cibo ci consente oggi di interpretare finalmente il vecchio e angusto tema delle “intolleranze alimentari” alla luce delle teorie evoluzionistiche, per potere aiutare ogni organismo a guarire e a ritrovare il giusto rapporto.

Oggi sempre di più parleremo di infiammazione da cibo e di “Profilo Alimentare” individuale.