Celiachia e ipersensibilità alimentare

2 Aprile 2007
Celiachia e ipersensibilità alimentare

La definizione della celiachia come malattia congenita, acquisita, allergica, forse tossica, sta perdendo negli ultimi tempi le caratteristiche di certezza che aveva da anni. Questa patologia, caratterizzata dall’incapacità dell’intestino di tollerare il glutine (o gliadina), è detta anche intolleranza al glutine, definizione che crea purtroppo non poche confusioni.

Solo da pochi anni sono comparsi studi che segnalano la presenza di ipersensibilità nella sua patogenesi, mentre prima la componente allergica veniva esclusa.

Al congresso mondiale di Allergologia di Vancouver (settembre 2003), tuttavia, lo studioso statunitense Hugh Sampson, una delle massime autorità mondiali nel campo delle allergie alimentari, ha inserito la celiachia tra le malattie di tipo allergico ritardato non da IgE, cioè tra le patologie dovute fondamentalmente alla ripetizione dello stimolo antigenico, con attivazione dei linfociti Th.

È importante notare che le condizioni intestinali della celiachia sono proprio quelle che possono facilitare l’insorgenza di una ipersensibilità alimentare non IgE mediata, che infatti ne è una delle complicanze più frequenti.

In sintesi, questa patologia si differenzia da un’ipersensibilità alimentare per i meccanismi di comparsa (è infatti documentabile una lesione anatomica della mucosa, completamente assente in caso di allergia alimentare) e per gli effetti, cioè soprattutto il difetto nell’assorbimento di minerali e nutrienti, mentre è noto che la sintomatologia più tipicamente connessa alle ipersensibilità è quella della “infiammazione a distanza”.

Negli anni passati la celiachia è stata molto bene studiata nei suoi aspetti fisiopatologici, ed è stata considerata una forma a sé stante di particolare rilievo.

Nel corso del tempo però si sono evidenziate sempre di più delle caratteristiche che fanno pensare a questa patologia come a una forma da ipersensibilità alimentare.

Un dato interessante indica la possibile identificazione di una ipersensibilità transitoria al glutine, la sua possibile guarigione in alcuni casi (in modo congruo con i fenomeni di ipersensibilità non IgE mediata), e la connessione esistente in molti casi tra celiachia, ipersensibilità ai salicilati e atopia (asma).

I dati a favore dell’esistenza di molteplici ipersensibilità alimentari che accompagnano la celiachia sono per altro abbastanza numerosi, a conferma del fatto che uno stato infiammatorio intestinale cronico condiziona la sensibilizzazione anche ad altri antigeni.

Nella mia esperienza clinica, la possibilità di controllare le ipersensibilità accessorie ha di norma un rilievo terapeutico o di prevenzione nei confronti del malassorbimento spesso presente nella patologia celiaca.

Un ultimo interessante dato, che accomuna la celiachia con le forme di ipersensibilità non-IgE mediate, è l’esistenza di una forma subclinica di infiammazione intestinale, che non manifesta i suoi effetti in modo eclatante, ma è prontamente trasformata in patologia da un eccessivo carico alimentare di sostanze ricche di glutine (Arranz E. et al Intestinal antibody pattern of celiac disease: occurrence in patients with normal jejunal biopsy histology.Gastroenterology 1993; 104; 5:1263-1272); una condizione simile si verifica anche nella dermatite herpetiforme, dove si può constatare che soggetti del tutto asintomatici, e senza alcun segno ematochimico presente, dopo un challenge aggressivo di sostanze ricche di glutine, rispondono con la produzione di specifici anticorpi antiendomisio.

In pratica, questo dato induce a pensare che i meccanismi di una patologia come questa, e di tutte le patologie infiammatorie su base immunitaria (ma non-IgE mediate), non siano mai di tipo “on-off” ovvero “presenza-assenza” ma rispecchino una modalità di reazione continua, in cui i sintomi si manifestano solo se il livello di infiammazione supera il livello della soglia di adattamento proprio di ciascun individuo.

Questo aspetto ci richiama alla possibilità di valutare forse in modo più attento le persone che ai test non convenzionali di ipersensibilità evidenziano comunque delle reattività che meriterebbero di essere interpretate come “segnale” dell’organismo di uno stato di alterazione patologica non ancora completamente espresso, ma a quel punto, grazie al fatto di essere conosciuto, probabilmente prevedibile.

La terapia convenzionale della celiachia è esclusivamente dietetica ed è basata sulla completa eliminazione del glutine, a vita; questo è sufficiente a determinare la completa guarigione sia dei sintomi sia, soprattutto, delle lesioni intestinali. La mucosa e i villi riacquistano il loro aspetto normale e di conseguenza tornano a funzionare normalmente.

In considerazione della frequenza della malattia che colpisce in Italia, secondo recenti stime, almeno una persona su 1500 (ma in Irlanda ad esempio se ne conta una su 300, quindi il dato italiano potrebbe essere sottostimato), esistono in commercio numerosissimi prodotti “per celiaci” che sono completamente privi di glutine e sono garantiti da uno speciale marchio. Anche alberghi, centri vacanze e mense scolastiche sono talora attrezzati per offrire una cucina senza glutine.

È utile ricordare che il glutine è presente nel frumento, nell’orzo, nella segale e nell’avena, nel kamut e nel farro, e che la dieta di eliminazione deve essere effettuata su tutti gli alimenti che contengono queste sostanze anche in parte minima.

Diversamente che in un’ipersensibilità alimentare, in caso di celiachia va eliminata solo una proteina. Un’intolleranza alla farina di frumento, infatti, non è la stessa cosa di una celiachia: nella farina di frumento, oltre al glutine, esistono numerosi altri antigeni (diversi da quello del glutine) che possono essere responsabili della reattività.

Per questo motivo, salvo indicazione specifica del medico, nella dieta per l’intolleranza al frumento i ‘prodotti senza glutine’ appositamente studiati per i soggetti celiaci vanno valutati individualmente.

In genere può essere rilevante, soprattutto quando l’incontro con il paziente può dare adito a fenomeni di incertezza o di incomprensione totale di quanto viene discusso, procedere alla segnalazione di un consenso informato scritto.

Bisogna che sia precisato che la disassuefazione è possibile ma non certa, e che in caso di persistente reattività immunologica la dieta di eliminazione rimane l’unica strada.

Quando si segue un andamento di questo tipo di terapia, è importante che si azzerino completamente gli anticorpi anti-gliadina sia di tipo G (AGG) sia di tipo A (AGA), gli anticorpi anti-endomisio (EMA) ed eventualmente gli anti-transglutaminidasi (anti-TGA), che sono tra i recenti esami che in parte sostituiscono gli anti EMA.

È utile segnalare che gli anticorpi anti-TGA, oggi usati nei laboratori italiani con facilità, non sostituiscono le indicazioni fornite dagli anti-gliadina (sia di tipo G sia di tipo A), ma solamente gli anticorpi anti-EMA.

Le variazioni vanno valutate sempre: in un bambino o in un adolescente che, per esempio, stia seguendo una dieta di particolare reintroduzione, occorre verificare se ci sia un aumento staturo-ponderale.

Inoltre, ovviamente vanno valutate la sideremia e la ferritina, gli indici dell’accumulo di ferro che sono tra gli indici più precoci della dispersione intestinale, e sicuramente la crasi ematica, quindi emocromo con formula leucocitaria, accompagnata da una valutazione qualitativa delle feci, per seguire l’andamento della situazione.

A conferma di quanto detto sopra, si segnala che un gruppo di ricerca austriaco ha pubblicato nel marzo 2001 (Eur J Immunol 2001 Mar;31(3):918-28) un lavoro relativo alla identificazione di un antigene nucleare cross reagente con proteine nucleari umane espresse nell’endotelio intestinale e anche nei fibroblasti.

Il riconoscimento di tale antigene da parte di IgA del paziente a dieta libera era inibito dal preassorbimento con frumento, ma non dal preassorbimento con la transglutaminidasi tissutale (TGA), da taluni recentemente proposto come esame elettivo nella diagnosi della celiachia. La risposta di riconoscimento scompariva in sieri di pazienti a dieta priva di glutine.

L’importanza di questo dato è molto elevata perché richiama la patogenesi della lesione strutturale indotta dalla dieta ricca di glutine ad un fenomeno di espressione antigenica tissutale, e non più a fenomeni di tipo “esplosivo” a patogenesi ignota.

Poiché in ambito biologico l’espressione antigenica non è mai un meccanismo on-off, ma è legata ad una crescita o riduzione graduale della espressione antigenica, si può ipotizzare un livello di soglia di adattabilità al rapporto con l’antigene glutinico, come già altri studi sulla transitorietà di alcune forme di celiachia avevano suggerito (vedi il lavoro da Gastroenterology del 1993, citato sopra).

Questi dati confermano ulteriormente la possibilità di considerare la celiachia come l’espressione di una ipersensibilità, e quindi come tale modulabile.

  • La forma classica di celiachia ad esordio acuto nell’infanzia si cura con l’eliminazione del glutine.
  • Le forme transitorie, negli adulti (con diatesi atopica), si trattano riducendo l’eccesso di frumento nella dieta; in questo caso lo studio delle intolleranze porta a un valido controllo.
  • Se l’eliminazione del glutine non dà sollievo, vanno ricercate le intolleranze associate.
  • Nota la fisiopatologia, si può ipotizzare un livello di soglia di adattabilità al rapporto con l’antigene glutinico.