L’ottimismo allunga la vita in modo eccezionale e forse si può imparare

15 Settembre 2020
L'ottimismo allunga la vita in modo eccezionale e forse si può imparare

Un gruppo di ricercatori e di epidemiologi di Boston (USA) ha applicato una rigorosa lettura statistica ai dati provenienti da due studi supercontrollati e durati a lungo. Il Nurses’ Health Study (NHS), che ha coinvolto quasi 70.000 infermiere, seguite per 10 anni, e il Normative Aging Study (NAS), che ha coinvolto 1.500 veterani di guerra seguiti per 30 anni della loro vita. Tutti i partecipanti hanno compilato ogni due anni dei questionari scientificamente validati per definire il livello di ottimismo posseduto e questi dati sono stati messi in relazione alla longevità. 

I risultati, pubblicati su Proceedings of the National Academy of Sciences  (Lee LO et al, Proc Natl Acad Sci U S A. 2019 Sep 10; 116(37): 18357–18362. Published online 2019 Aug), hanno evidenziato dei dati di forte interesse. In pratica, livelli di ottimismo più elevati sono correlati con un aumento della longevità in entrambi i sessi. 

Il rapporto è diretto e disegna una relazione “dose-risposta”, cioè significa che quanto più elevato è l’ottimismo tanto più si vede crescere la lunghezza della vita. I risultati sono stati depurati da tutte le possibili interferenze legate allo stile di vita salutare o alla condizione socioeconomica, come se alla fine le persone analizzate fossero dello stesso livello socioculturale ed economico e avessero tutti analoghi stili di vita e comportamenti alimentari.

Ebbene, le donne con i più elevati livelli di ottimismo hanno 50% di probabilità in più di superare gli 85 anni rispetto alle donne pessimiste. Per gli uomini questa percentuale sale al 70% e l’ottimismo è stato valutato come se fosse un farmaco da somministrare definendo gli effetti a lungo termine della sua somministrazione.

L'ottimismo influisce positivamente sullo stato generale di una persona e forse può essere insegnato.

La domanda che nasce però spontanea, leggendo il titolo dell’articolo, è “se nasce prima l’uovo o la gallina”. Le persone sono ottimiste perché sono in buona salute oppure sono in buona salute perché sono ottimiste? Avendo messo in atto una procedura statistica attenta che ha ripulito i dati di tutte le variabili possibili, gli autori propendono  per il fatto che l’ottimismo induca dei cambi specifici sulla salute che consentono in modo molto significativo di raggiungere (in salute) età più avanzate. 

Gli autori segnalano che le tecniche per migliorare la percezione della propria vita e per affrontare percorsi di crescita positivi della propria personalità ci sono e sono gestibili anche se sul piano scientifico oggi possiamo dire che l’ottimismo “naturale” fa bene al prolungamento vitale, ma non sappiamo se “insegnando l’ottimismo” si raggiungano gli stessi risultati. Servono altri studi controllati per poterlo affermare. Di certo però molte forme di psicoterapia consentono di migliorare il tono dell’umore aiutando le persone nel proprio personale cammino. 

Dai risultati emergono comunque dei dati curiosi. Gli ottimisti, ad esempio, fanno più attività fisica dei pessimisti e sono meno paffuti dei pessimisti. Il livello di istruzione, inoltre, è risultato più elevato negli ottimisti che nei pessimisti. C’è invece sicuramente una correlazione tra pessimismo e depressione anche se ricordiamo che i risultati sono stati “ripuliti” da fattori confondenti come questo. 

Sicuramente, leggendo la correlazione con il sovrappeso, con l’umore e con l’attività fisica viene da pensare alla possibile interferenza sulla longevità dei fenomeni dovuti agli eccessi individuali di zuccheri, oggi misurabili con il test PerMè e con il GlycoTest, spesso affiancando queste misurazioni al BioAge Test, che misura la lunghezza dei telomeri (le parti terminali dei cromosomi) segnalando una stima dell’età biologica, cioè quanti anni una persona abbia davvero rispetto alla propria età anagrafica.

Affrontare in modo personalizzato lo studio di alcune patologie tra cui sicuramente troviamo sovrappeso, diabete e prediabete, consente di comprendere finalmente le interazioni tra ogni persona e l’infiammazione correlata agli alimenti o agli zuccheri. È per questo motivo che nel centro SMA di Milano in cui lavoro, insieme allo staff medico e nutrizionale, usiamo da anni percorsi terapeutici personalizzati che partano dallo studio del profilo alimentare personale. In questo senso la  disponibilità del test PerMè consente valutazioni oggettive che gettano le basi di una alimentazione finalmente rispettosa dei personali equilibri e che consente di affrontare in modo “ottimistico” la propria vita.