Anticorpi antinucleo positivi: prima che al Lupus pensare all’intestino

30 Aprile 2021
Anticorpi antinucleo positivi: prima che al Lupus pensare all'intestino

Molte persone arrivano in studio preoccupatissime per la comparsa di anticorpi antinucleo, i cosiddetti ANA, che sono ritenuti indicatori di una patologia autoimmune. In realtà, ANA positivi compaiono anche in persone solo infiammate, con alterazioni della flora intestinale, in cui è importante evidenziare i livelli di infiammazione da alimenti e da zuccheri o una recente causa infettiva.

Una infezione virale come il COVID, anche se superato in modo asintomatico, può portare all’innalzamento degli ANA come risposta all’infezione stessa e non perché si attivi l’autoimmunità. La stessa cosa avviene, ad esempio, per la Mononucleosi, per l’Epatite C e per molte altre forme infettive. 

La presenza di questi autoanticorpi è però sicuramente stimolata dalla produzione di BAFF, che a sua volta, oltre ad avere una componente genetica di attivazione, dipende da condizioni ambientali come il tipo di alimentazione e la dieta seguita. 

La presenza di un autoanticorpo con un titolo fino a 1/320, obbliga una riflessione ma non certo una immediata preoccupazione perché le interferenze dell’alimentazione sull’autoimmunità sono correttamente valutabili (test GEK Lab) e ben curabili attraverso una alimentazione personalizzata. Le malattie autoimmuni sono correlate ad una infiammazione mentre la maggior parte delle persone si preoccupa perché ha una visione alterata dell’autoimmunità.

Quando si evidenziano degli anticorpi antinucleo (ANA) si possono modificare infiammazione alimentare e glicazione per aiutare l'organismo a riportarli nella norma.

Viene spesso trasmesso, anche da alcuni colleghi, un messaggio che fa assomigliare l’azione degli autoanticorpi a un meccanismo autodistruttivo di annientamento che è invece lontanissimo dalla realtà.

In una malattia autoimmune non esiste nessun tipo di autodistruzione. Quando nella malattia di Hashimoto, ad esempio, si evidenzia la presenza di autoanticorpi, vuol dire semplicemente che esiste una sregolazione del sistema immunitario connessa ad uno stato infiammatorio prolungato. Non significa, come purtroppo molti pazienti credono, e molti medici lasciano credere, che l’organismo sta “autodistruggendo la tiroide”. Tanto è vero che sono frequentissimi i casi di persone con anticorpi antitiroide molto elevati per molti anni e con tiroidi perfettamente funzionanti.

Nel corso di una malattia autoimmune viene prodotta una elevata quantità di particolari autoanticorpi, per motivi completamente diversi da quelli usualmente pensati e questo deve essere ben chiaro in chi ha un disturbo di questo genere perché l’organismo non ha alcun tipo di intenzione “suicidaria”.

Questo fa capire che anche una malattia autoimmune può essere affrontata attraverso uno studio personalizzato e lo squilibrio del sistema immunitario eventualmente presente può essere controllato e riportato verso la norma attraverso il controllo alimentare dell’infiammazione, come da anni facciamo nel centro SMA in cui lavoro, attraverso i percorsi clinici e terapeutici per le malattie autoimmuni che proponiamo ai nostri pazienti. 

Per evitare spaventi e preoccupazioni inutili, bastino due esempi:

  • In una persona allergica ai pollini, cui sia stata diagnosticata una tiroidite di Hashimoto, il livello di autoanticorpi (anti TPO e anti TG) può innalzarsi moltissimo in primavera, durante la stagione del raffreddore da fieno, non certo perché l’organismo sta “autodistruggendosi” ma perché l’intero sistema sta subendo una maggiore sollecitazione immunologica. Nessuna volontà o effetto autodistruttivo quindi: gli autoanticorpi rispondono a stimoli diversi e sono espressione di uno squilibrio, guaribile e non certo di una ineluttabile autofagia. Infatti in molti casi anche una tiroidite di questo tipo può essere controllata riequilibrando lo stato infiammatorio e intestinale di una persona.
  • Nell’artite reumatoide, una delle più importanti e diffuse malattie autoimmuni esistenti, si generano anticorpi contro altri anticorpi, non certo verso organi o apparati. Nessuno si sta autodistruggendo. Semplicemente, gli anticorpi si legano agli altri, arrivando a costituire un reticolo e creando dei “grumi” che vanno poi a depositarsi nelle articolazioni, nel rene, nella pelle o altrove, dove poi generano eventuali reazioni infiammatorie.

È allora necessario capire che di fronte alla presenza di Anticorpi Antinucleo (ANA) positivi si può leggere un segnale importante di attivazione immunologica e infiammatoria, ma non necessariamente si deve pensare ad un rischio per la propria sopravvivenza.

Quando si scoprono degli ANA positivi e ci si domanda quale possa essere il significato prognostico per la persona che li esprime, è più utile pensare all’infiammazione e all’equilibrio intestinale piuttosto che ad una malattia autoimmune.

In un certo senso gli ANA danno un segnale di allarme, che può anzi aiutare la persona a meglio indirizzare le proprie risorse verso una vera azione preventiva.

Certamente, gli ANA potrebbero essere un segnale di una patologia autoimmune o comunque a sfondo immunologico, e nelle sequenze del COVID il loro livello va seguito con attenzione, ma in realtà, sempre più frequentemente, anticorpi ANA positivi compaiono in persone che non necessariamente sviluppano poi queste patologie.

Già negli anni passati, Eurosalus ha segnalato una ricerca canadese (Myckatyn SO and Russell AS, J Rheumatol 2003 Apr; 30:736-9) effettuata su 116 pazienti con ANA ad alto titolo (maggiore o uguale a 1:640) senza evidenza clinica di patologia del connettivo, i cui risultati hanno dimostrato che solo un piccolissimo numero di soggetti ha manifestato in seguito una patologia autoimmune (Lupus, Sclerodermia, CREST o Sjogren). Inoltre in questa ricerca oltre la metà dei soggetti ha registrato la scomparsa degli anticorpi entro 5 anni.

Gli stessi soggetti sono stati seguiti poi per un ulteriore periodo di tempo e i risultati, pubblicati nel 2008 su Clinical Rheumatology, hanno confermato che anche nei soggetti rimasti positivi per gli ANA, solo una piccola parte ha poi sviluppato malattie autoimmuni (Wijeyesinghe U et al, Clin Rheumatol. 2008 Nov;27(11):1399-402. doi: 10.1007/s10067-008-0932-y. Epub 2008 May 24).

Un lavoro pubblicato su Virus Research nel gennaio 2015 da un gruppo di ricercatori italiani, ha confermato che lo stesso meccanismo prima segnalato in caso di allergie alle graminacee, si attiva nel corso di alcune infezioni, come nel caso di una patologia come la mononucleosi.

La semplice presenza del virus di Epstein Barr (il virus della mononucleosi appunto), porta ad un aumento notevole di molti autoanticorpi, tra cui gli ANA, senza che questo significhi che la persona analizzata si stia distruggendo. Quello che avviene è che in quella persona si sta invece producendo un fenomeno di sollecitazione infiammatoria e immunologica di cui la produzione di autoanticorpi è un segnale (Cuomo L et al, Virus Res. 2015 Jan 2;195:95-9. doi: 10.1016/j.virusres.2014.09.014. Epub 2014 Oct 7).

Non è certo finita qui: nel 2011 alcuni ricercatori statunitensi hanno descritto con precisione la complessa relazione esistente tra il microbioma intestinale e la comparsa di autoanticorpi pubblicando i loro lavori su Frontiers in Microbiology, e questi dati, che confermano la sistematica e continua interferenza dell’alimentazione e della infiammazione da cibo nella composizione della flora microbica intestinale, sono stati riconfermati da interventi statunitensi su FEBS Letter e da un interessante articolo, pubblicato nel gennaio 2015 su The EMBO Journal, in cui un gruppo internazionale di ricercatori ha evidenziato che a livello sperimentale la semplice presenza di batteri filamentosi (simili alle ife fungine) nell’intestino, può portare alla produzione di ANA indipendentemente dall’effettivo coinvolgimento patologico del sistema immunitario (Van Praet JT et al, EMBO J. 2015 Jan 19. pii: e201489966. [Epub ahead of print]).

Quest’ultimo aspetto richiama alla frequente partecipazione di un eccesso alimentare di lieviti e sostanze fermentate nella genesi delle malattie autoimmuni in quanto i batteri filamentosi sono davvero molto simili a lieviti, funghi e muffe.

Il livello di infiammazione si alza sia per l’assunzione eccessiva o ripetuta di alcuni alimenti, sia per l’uso individualmente eccessivo di zuccheri e sostanze similari (glucosio, fruttosio, alcol e polioli) che provocano effetti dovuti alla glicazione

È una buona notizia. Significa trasformare la comparsa di un segnale di allarme (gli ANA) in una possibilità di prevenzione e cura di patologie a torto considerate ineluttabili. L’artrite reumatoide, come la tiroidite di Hashimoto, la psoriasi, la sclerosi multipla o il Lupus, fanno parte di un gruppo di disturbi in cui si può intervenire efficacemente, integrando le terapie classiche con il controllo dell’infiammazione ottenibile attraverso l’alimentazione e l’uso di integratori adeguati.

Gli ANA quindi possono rimanere come un segnale spia da non trascurare, in cui interventi non invasivi, come quelli sui comportamenti alimentari e sullo stile di vita possono portare a un riequilibrio rapido e a una consapevolezza maggiore del proprio corpo.

VIDEO | Anticorpi Anti Nucleo (ANA), Infiammazione e Intestino