Malattie autoimmuni causate dal cibo: quando misurare il BAFF aiuta a guarire

21 Novembre 2016
Malattie autoimmuni causate dal cibo: quando misurare il BAFF aiuta a guarire

Quando si parla di malattie autoimmuni arrivano alla mente le diagnosi ormai sempre più frequenti di tiroidite, sclerodermia, lupus, artrite reumatoide, malattia di Crohn, psoriasi e tante altre che sembrano spesso arrivare senza una causa.

Un numero crescente di lavori scientifici sta invece identificando il BAFF (B Cell Activating Factor, una delle sostanze che oggi è facilmente misurabile con Recaller o BioMarkers) come uno dei più importanti fattori di induzione e mantenimento delle malattie autoimmuni.

Hashimoto, molte forme di lichen, colite ulcerativa e altre malattie ancora sembrano ritrovare una causa comune al loro sviluppo. Una causa su cui ognuno può, almeno in parte, intervenire in modo preciso. 

Lo schema logico attraverso cui si realizza questo effetto comune alle diverse malattie appare, una volta spiegato, di semplice comprensione.

BAFF significa “Fattore che stimola la cellula B” e, come appunto dice il suo nome, stimola la sopravvivenza delle cellule B e la loro produzione di anticorpi. Se sul recettore della cellula B arriva un frammento di polline, un frammento di cibo o un batterio, la cellula inizia a produrre gli anticorpi contro queste sostanze esterne grazie allo stimolo fisiologico del BAFF.

Quando invece un microframmento di sostanza organica proveniente da strutture interne (detto scientificamente un autoantigene) si ferma su un recettore cellulare della cellula B, si attiva all’opposto un meccanismo protettivo che vorrebbe impedire all’organismo di produrre anticorpi contro parti di se stesso. 

Il recettore che sulla cellula B lega un auto-antigene stimola in quella stessa cellula un processo che porta all’autodistruzione, la cosiddetta apoptosi; questo meccanismo impedisce che si sviluppino dei cloni cellulari orientati alla produzione di autoanticorpi e ha quindi una funzione protettiva sull’intero organismo.

Se però il BAFF è presente in quantità molto elevate, questo meccanismo di “autodelezione”, una specie di suicidio cellulare fatto a fin di bene, viene impedito e la cellula B è stimolata a produrre autoanticorpi in misura rilevante.

Una produzione eccessiva di BAFF, come quella stimolata dalla infiammazione da cibo, porta allora ad una espansione delle cellule B attivate e alla produzione di molti autoanticorpi e alla successiva formazione e deposizione di immunocomplessi che possono arrecare i danni agli organi interni tipici delle malattie autoimmuni.

La relazione tra BAFF e alimentazione può valere per tutte le patologie autoimmuni.

La scoperta che un alimento può indurre la produzione di BAFF o di PAF (Platelet Activating Factor) e provocare tutti i sintomi infiammatori che usualmente sono ascritti al cibo risale agli studi di Lied del 2010 e da qualche anno è applicata anche in ambito clinico (Lied GA et al, Aliment Pharmacol Ther. 2010 Jul;32(1):66-73. Epub 2010 Mar 26).

Misurare BAFF e PAF consente di capire il livello di infiammazione correlata al cibo presente in una persona e di agire sugli aspetti nutrizionali per ridurre la stessa infiammazione e per controllarne gli effetti sulla salute.

Si tratta di una rivoluzione concettuale che consente di andare oltre la conoscenza di VES e PCR, i due “esami del sangue” che da oltre 50 anni restano incredibilmente gli unici due “indicatori di infiammazione” usati dalla medicina in ambito clinico.

La produzione di BAFF dipende da una reazione dovuta all’immunità innata e all’attivazione di Toll Like Receptors (soprattutto TLR2 e TLR4), recettori antichi, presenti già nei nostri predecessori più di 350 milioni di anni fa, che svolgono nell’organismo la funzione di segnalare un pericolo; nel caso del cibo, si può andare a leggere nella produzione delle IgG il Profilo Alimentare di ogni persona, e nel caso di BAFF e PAF elevati, il livello di IgG per gli alimenti segnala il superamento di un livello di soglia nella loro assunzione e consente di guidare ogni paziente nelle scelte nutrizionali più adatte, che portano ad una riduzione del BAFF e a un maggior controllo dei processi infiammatori e di produzione di autoanticorpi.

Nelle scorse settimane abbiamo proposto i lavori del novembre 2015 di Campi e del gruppo di Beck-Pecoz che hanno identificato la presenza di BAFF e il suo livello elevato come induttore della tiroidite di Hashimoto (Campi I et al, Thyroid. 2015 Sep;25(9):1043-9. Epub 2015 Aug 13).

Questi stessi risultati sono stati confermati nel novembre 2016 dal gruppo di endocrinologi di Taiwan guidati da Lin che ha evidenziato la stretta relazione tra tutti i tipi di tiroidite autoimmune e i livelli aumentati di BAFF Lin JD et al, Clin Chim Acta. 2016 Nov 1; Epub 2016 Sep 8).

Ecco allora che si apre una strada importante per la gestione nutrizionale di alcune delle patologie più diffuse oggi nel mondo, e in paurosa crescita nel mondo occidentale.

La possibilità di modificare in modo facile le abitudini nutrizionali di una persona colpita da una malattia autoimmune ottenendone dei benefici importanti è sotto i nostri occhi tutti i giorni.

Gli schemi e i protocolli clinici che utilizziamo nei nostri centri riescono a essere di aiuto a sempre più persone.