Il rischio del cibo ultra-processato (UPF): arrivano nuove conferme

11 Marzo 2019
Il rischio del cibo ultra-processato (UPF): arrivano nuove conferme

Un nuovo studio, pubblicato nel Febbraio 2019 sulla prestigiosa rivista JAMA Internal Medicine, conferma quanto già emerso in una precedente ricerca (2018) di cui abbiamo estesamente parlato in un precedente articolo di Eurosalus dal titolo “Calcolato per la prima volta il rischio di mangiare cibi super raffinati” e riguarda gli UPF (Ultra Processed Food) che in italiano definiamo come alimenti ultra processati, ultra raffinati, iper raffinati e via di seguito.

Questa volta la ricerca è stata effettuata su  circa 45.000 persone (nel 75% donne) di età media di 56 anni, seguite dal 2009 al 2017 (Schnabel L et al, JAMA Intern Med. 2019 Feb 11. doi: 10.1001/jamainternmed.2018.7289. [Epub ahead of print]). Quasi il 30% delle calorie utilizzate proveniva da alimenti ultraprocessati e ultraraffinati. 

Un aumento del 10% nel consumo di cibi ultra-processati si è rivelato strettamente correlato ad un aumento del 14% del rischio di mortalità per qualsiasi causa.

Purtroppo la possibilità di incrementare la quantità di cibi ultraprocessati è elevata e quindi è bene che ogni persona sappia fare una valutazione sensata di ciò che mette in tavola. Come abbiamo sempre detto, non sarà certo un würstel iperelaborato mangiato occasionalmente a creare un danno, ma la sistematicità d’uso di alcune merendine, assunte ogni giorno, diventa invece un problema serio. 

È anche importante dire che i cibi ultraprocessati non sono i cibi industriali, ma solo alcuni alimenti che hanno subito particolari tipi di trattamento. Tra i cibi industriali si possono trovare ottimi prodotti alimentari che non fanno parte dei cibi potenzialmente dannosi. 

Importante è la definizione di cibi ultra processati, che deriva da una classificazione validata (NOVA) e rivista da un comitato di tre dietisti e cinque ricercatori specializzati in epidemiologia alimentare. 

Tra questi troviamo: bevande dolci e gasate, snack dolci o salati impacchettati, gelati industriali, cioccolato, caramelle, pani e dolci industriali, margarine, biscotti industriali, torte e mix per torte industriali, “cereali” da colazione (ricostruiti), bevande energetiche, bevande di frutta con zuccheri aggiunti o dolcificanti artificiali, carni o pesci ricostruiti (würstel o certi tipi di salsiccia), zuppe istantanee e molti altri.

Per capire le differenze di interpretazione che hanno lasciato tra i cibi “sani” anche prodotti comunque processati (ma non troppo), gli autori spiegano a titolo di esempio che una marmellata di frutta con zucchero aggiunto è considerata un cibo solo processato, mentre dei dessert a base di frutta con aggiunta di zucchero, addensanti e coloranti è considerato un cibo “ultra-processato o ultra-raffinato”. Nello stesso modo, una preparazione di carne semplicemente salata o affumicata è considerata “processata” mentre una carne preparata con aggiunta di nitriti e conservanti (come molte salsicce o würstel) sono considerati alimenti “ultra-raffinati”.

Non sono stati considerati cibi “ultra raffinati”, ma semplicemente “processati”, gli alimenti che subiscono solo poche trasformazioni, tipiche della cucina tradizionale (asciugatura, cottura, macinazione, refrigeramento, pastorizzazione) affiancati all’uso di alimenti tipici della normale preparazione alimentare (sale, olio, burro, zucchero per le preparazioni tipiche casalinghe).

In genere le preparazioni casalinghe o artigianali di prodotti (formaggio, pane fresco) ricadono tra i cibi semplicemente “processati”, ma non tra gli “ultra-raffinati”.

L’analisi del campione statistico, studiato per quasi 10 anni, ha consentito di evidenziare che i gruppi più consistenti di cibi “ultra-raffinati” erano rappresentati dai prodotti dolciari (26%) e dalle bibite (20%), seguite dai “cereali” (per chi ancora continua a chiamarli così) per la prima colazione (16%).

Lo studio del JAMA ha anche evidenziato che il maggior consumo di questi alimenti era associato all’età (le persone maggiori di 64 anni mangiavano meglio dei quarantacinquenni), al basso reddito, alla minore educazione scolastica, al fatto di vivere da soli, alla scarsa attività fisica e ad un maggiore livello di BMI (indice di massa corporea). 

Questo lavoro non può ancora stabilire un rapporto diretto di causa-effetto, ma al tempo stesso segnala l’importanza enorme dal punto di vista sociale e politico del consumo in crescita di questi alimenti.

Si propone una tematica che lasciata a sé, senza alcun intervento sociale, può diventare devastante, sia per quanto riguarda la crescita futura delle forme tumorali sia per quanto riguarda quelle diabetiche

Ci piace ricordare che non esiste un cibo “nemico” in assoluto. Alla fine, quello che salva è la varietà alimentare con la possibilità occasionale di concedersi qualche cibo “super raffinato” di cui è possibile controllare gli effetti negativi nel momento in cui la base alimentare sia sana.

Scegliere, in modo informato, rimane l’unica strada per mantnere il proprio benessere.