Perché il tuo dolore dà inizio alla malattia

21 Settembre 2015
Perché il tuo dolore dà inizio alla malattia

Quante volte durante una visita diventa chiaro che l’origine della malattia o l’inizio del disagio si localizzano dal punto di vista temporale poco tempo dopo un evento rilevante sotto il profilo emotivo, fisico o psicologico.

Il fatto che questo tipo di connessione sia stato ampiamente descritto da Rita Levi Montalcini (e ancor prima anche da mio padre Luigi Oreste) attraverso l’azione indotta da NGF, sostanza la cui scoperta le valse il Nobel per la Medicina nel 1986, non spiega in modo efficace quali siano i meccanismi con cui questa sequenza dolore/malattia si realizza.

In particolare, occupandoci nei nostri centri di risposte reattive sul piano alimentare, riusciamo spesso a spiegare ai nostri pazienti perché un intervento chirurgico, nello stesso modo di una rottura di una relazione affettiva o di un lutto importante, siano in grado di attivare delle risposte reattive nei confronti di sostanze alimentari o di pollini e di generare comunque delle successive reazioni a cascata che portano a malattie di forte impatto clinico come le mallattie autoimmuni, l’artrite, il cancro.

La spiegazione di questo fenomeno è legata alle teorie evoluzionistica.

Chi conosce ad esempio i cavalli sa perfettamente che alcuni animali si comportano in modo assolutamente incomprensibile in vicinanza di un particolare ostacolo o di uno specifico riferimento sul terreno.

Il fatto che un cavallo, alla fine di un pratone percorso al galoppo, scarti improvvisamente avvicinandosi ad una ben determinata siepe, può essere legato ad una memoria difensiva che il cavallo ha interiorizzato quando magari qualche anno prima un coniglio è improvvisamente uscito da quella siepe facendolo cadere e creandogli un dolore.

Così anche negli anni successivi ogni volta che il cavallo al galoppo passa vicino a quella siepe scarta improvvisamente e favorisce il volo inaspettato del suo cavaliere per un motivo semplicemente evolutivo. Il cavallo infatti ha imparato che quella siepe è legata ad un evento traumatico e quindi tende d’istinto a scartare nel momento in cui gli si avvicina. Se il cavaliere non è preparato può essere un problema.

Un esempio più drammatico può essere fatto pensando ad una giovane donna che venga aggredita e percossa lungo la strada che percorre abitualmente per tornare alla propria abitazione.

Superato il momento di angoscia e di dolore e dopo la guarigione delle ferite fisiche, la donna riproverà le emozioni più forti e più angoscianti nel momento in cui dovrà ripassare per quello stesso angolo di strada o per quella stessa via in cui ha subito una violenza o una aggressione.

E siamo ben certi che quella strada non le ha fatto nulla di male ed è sempre stata ferma e immobile al suo posto da quando è stata costruita.

Il motivo evoluzionistico per cui noi caratterizziamo l’ambiente circostante come possibile “colpevole” è facile da capire: se subiamo un dolore, una sofferenza, una violenza, il nostro organismo identifica e analizza con attenzione quali sono gli spazi e i luoghi in cui il dolore si è manifestato.

Per l’organismo umano è ambiente circostante non solo la strada percorsa, ma anche l’aria respirata o il cibo presente nell’intestino e mangiato qualche ora prima.

L’organismo umano, una volta identificato e interiorizzato un possibile pericolo, cercherà in tutti i modi di evitare l’ambiente identificato come causa possibile della sofferenza e lancerà dei segnali (gonfiore addominale, starnuti, dolori articolari, asma, orticaria, prurito) per indicare all’organismo di essere in contatto con quell’ambiente già in precedenza identificato come pericoloso.

Tornando all’esempio della aggressione, lo stesso meccanismo si può innescare per una operazione chirurgica, per un trauma emotivo o per una forte situazione di cambiamento (mobbing, traslochi, gravidanze, licenziamento, matrimoni, divorzi, assunzione di nuovi incarichi e così via).

Il dolore o la sofferenza emotiva sono oggi valutabili in termini di citochine infiammatorie o di segnali organici interni di pericolo.

Quando l’organismo analizza in modo molto preciso l’ambiente intestinale ne nasce una correlazione tra (ad esempio) dolore subito e presenza intestinale di pane e formaggio.

Quando poi nei giorni successivi la sofferenza generata magari dall’abbandono appena subito continua, e pane e formaggio sono ancora presenti nell’intestino, l’organismo riconosce la presenza di queste sostanze come potenziale causa attiva della sofferenza.

In questo modo i componenti di pane e formaggio (lieviti, latte, frumento, sale) vengono identificati come pericolosi e in ogni successiva introduzione di questi alimenti l’organismo lancerà segnali di tipo infiammatorio e irritativo che in realtà sono connessi al un tentativo di prevenire il dolore patito precedentemente.

Negli ultimi anni abbiamo capito che questo tipo di reattività, che può valere anche per i pollini, le muffe e gli acari, genera la produzione di citochine molto specifiche che determinano a cascata una serie di reazioni potenzialmente dannose per l’organismo stesso.

La guarigione da questo tipo di fenomeno, che partendo dall’infiammazione (BAFF e PAF ne possono essere una misura) può portare a patologie autoimmuni o a squilibri immunologici nella difesa antitumorale, deve passare attraverso il recupero della tolleranza immunologica nei confronti dei cibi, dei pollini, degli alimenti e di tutto l’ambiente circostante.

Con test come BioMarkers e Recaller viene infatti analizzato sia il livello di infiammazione presente nell’organismo sia il profilo alimentare individuale che può essere correlato a questi aspetti e attraverso la comprensione dei risultati può essere guidato un nuovo percorso verso la tolleranza.

Nello stesso modo in cui la giovane donna che abbiamo descritto come esempio è in grado di imparare a passare di nuovo per la strada in cui ha subito una violenza, capendo che la strada è ininfluente ai fini del dolore patito, anche il rapporto con la infiammazione indotta dal cibo può essere gradualmente rieducato attraverso meccanismi di graduale riavvicinamento ad un’alimentazione varia, ricca, piacevole e sana.

Ancora una volta si ritrova la conferma che la relazione tra alimentazione, sistema immunitario e ambiente sia una di quelle fondamentali per la vita di ogni organismo.

Si tratta delle relazioni che consentono l’utilizzazione dell’energia e determinano prima ancora della qualità della vita, la stessa sopravvivenza.

Capire come l’organismo funziona apre nuove strade per recuperare il benessere e aiutare la guarigione di gran parte delle malattie più diffuse.