Zucchero: la dolce infiammazione che fa ingrassare

13 Gennaio 2014
Zucchero: la dolce infiammazione che fa ingrassare

Tempi duri per lo zucchero… Per anni le industrie non hanno fatto che aumentarne la presenza nei loro prodotti, ma gli effetti negativi del saccarosio, diretti e indiretti, stanno oggi emergendo con sempre maggiore chiarezza.

Lo studio dell’infiammazione, e in particolare dell’infiammazione da cibo, ci ha insegnato che certi alimenti (verso cui esiste una reazione) e certe modalità alimentari (ad esempio saltare la prima colazione) creano una catena di eventi che porta all’ingrassamento secondo uno schema preciso:

È ovvio e ben risaputo che un eccesso di zucchero stimoli la resistenza insulinica e poi faciliti l’ingrassamento; lo sanno benissimo tutti i diabetici che hanno vissuto sulla propria pelle l’eccesso di introduzione zuccherina e le sue conseguenze.

Il fatto nuovo è la scoperta che lo zucchero provoca e induce uno stimolo infiammatorio con la sua stessa presenza.

Non ha bisogno di essere mangiato in eccesso per attivare la catena che porta poi all’ingrassamento: può bastare l’assunzione di una piccola quantità di zucchero o di altri dolcificanti, anche a basse calorie, per trovarsi in una condizione metabolica precaria, in cui viene stimolata l’infiammazione e poi, come in un circolo vizioso viene indotta ulteriore resistenza insulinica.

In pratica è come se un po’ di zucchero fosse sufficiente ad indurre infiammazione, a facilitare l’ingrassamento e a indurre una dipendenza dall’assunzione di altro zucchero che genera ulteriore richiesta di sostanze dolci e poi un ingrassamento definitivo.

Durante le recenti festività Brain, Behavior and Immunity ha pubblicato un importante articolo che ha consentito di precisare alcuni aspetti relativi all’interferenza dello zucchero o dello zucchero mischiato a sostanze grasse (come ad esempio in un gelato o in una brioche) sul comportamento alimentare e sulla attivazione infiammatoria dei ratti (Beilharz JE et al, Brain Behav Immun. 2013 Dec 3. pii: S0889-1591(13)00575-8. doi: 10.1016/j.bbi.2013.11.016. [Epub ahead of print]).

In genere i ratti hanno sempre dimostrato (purtroppo) profonde analogie di comportamento con l’essere umano, quindi è molto probabile che lo stesso tipo di interferenza possa verificarsi anche nell’uomo.

Parliamo di tre tipi di interferenza, che lo studio ha documentato attivarsi nel momento in cui ai ratti veniva fornito un menù addizionato di zucchero.

Si trattava di un menù tipico da “prima colazione americana” (cafeteria style) con lardo, pancetta, zucchero, brioche (quindi anche grasso) cui veniva aggiunto un liquido con il 10% di saccarosio (equivalente di una bibita dolce) confrontato con nelle diverse possibilità con il mangime standard predisposto per i ratti.

Nel menù ricco di grassi i ratti rispondevano mangiando comunque in modo molto aumentato (fino a 5 volte quanto fanno di solito), indipendentemente dalla presenza o meno dello zucchero.

Il menù cui era invece aggiunto zucchero (sia che fosse il menù ricco di grassi o quello solito) determinava interferenze molto precise che portano a serie riflessioni, se riferite al mondo umano, perché fanno pensare alle possibili azioni dell’uso dello zucchero all’interno della dieta:

  • Dal punto di vista comportamentale i ratti mantenevano la capacità di riconoscere gli oggetti, ma non quella di riconoscere gli spazi, come cioè se fossero confusi (come si guida dopo un dolcetto?).
  • Sul piano infiammatorio era riconoscibile una aumentata presenza di citochine infiammatorie, in particolare IL1 e TNFalfa (stretto parente del BAFF, che sappiamo correlato al cibo, e induttore indiretto di ingrassamento).
  • Riconoscibile nello stesso modo un aumento dello stress ossidativo, cioè dei fenomeni che inducono invecchiamento cellulare e facilitano la degenerazione dei tessuti.

Sappiamo che non è certo la presenza occasionale dello zucchero a deterninare questi effetti, ma la sua presenza ripetuta nel tempo.

Questo porta a ribadire quanto Eurosalus ha sempre segnalato, che cioè l’uso occasionale di un dolce ben fatto, congruo con la tradizione culinaria, inserito in un contesto alimentare equilibrato, non farà male.

Il nostro blog ne presenta spesso alcuni (soprattutto durante il week end) che lasciano una relativa libertà all’uso delle sostanze dolci, proprio perché questa è una componente naturale nell’organismo umano (abbiamo appositi neuro-ormoni la cui unica funzione è quella di indurre la ricerca di sostanze dolci) che non deve però diventare quotidiana, sistematica e inavvertita (come per lo zucchero presente in tanti fiocchi di cereali o nelle salse).

I risultati di questo lavoro evidenziano che anche una breve esposizione allo zucchero (i dati, tutti significativi, sono stati raccolti a 5 e 20 giorni) peggiora la memoria di riconoscimento degli spazi ben prima che emergano fenomeni di incremento del peso, e indica un ruolo attivo dello zucchero nella creazione di stress ossidativo e infiammazione che causano probabilmente questi fenomeni comportamentali.

Sempre più sappiamo che le calorie di un cucchiaino di zucchero NON sono simili a quelle di una mela perché l’effetto dei due nutrienti può essere profondamente differente in ogni singolo organismo.

Da anni in SMA seguiamo persone con specifiche manifestazioni infiammatorie attraverso percorsi terapeutici specifici che aiutano il riequilibrio delle abitudini alimentari e che valutano anche gli effetti infiammanti ed ingrassanti delle sostanze dolci e dei dolcificanti.

Oggi sappiamo con verosimile certezza che l’effetto infiammatorio dello zucchero, da sempre sospettato nella nostra pratica clinica, va tenuto in serissima considerazione quando si affronta qualsiasi condizione infiammatoria cronica (dall’artrite alle malattie infiammatorie intestinali); il controllo dell’impiego dello zucchero o delle sostanze dolci può diventare uno strumento fondamentale nel percorso verso l’autonomia, pur nel rispetto della socialità e del piacere.