Verso un nuovo paradigma: il teatro

23 Novembre 2011
Verso un nuovo paradigma: il teatro

Dopo l’analisi dell’affermazione di un nuovo paradigma nel mondo della comunicazione, condotta con l’aiuto di Layla Pavone, restiamo nel tema del comunicare concentrandoci sulle radici di questa azione. Radici antichissime, tanto quanto lo strumento che per primo si pose come intercettore dei segnali di cambiamento all’interno della società. Parliamo del teatro, inventato dai Greci nel V secolo a.C., e lo facciamo con Lucilla Giagnoni, che interverrà al convegno “L’informazione, l’universo, la vita” (Milano, 2 dicembre 2011, Università Iulm) per ricordare i segnali di cui sono portatrici le parole, e l’importanza del loro significato

“Il teatro è per sua natura lo strumento d’eccellenza per cogliere la visione del mondo; non a caso deriva dal greco théaomai, che significa vedo. E resta tale malgrado nel ‘900 abbia ceduto il passo a un’altra forma d’arte e di comunicazione, il cinema. Ma affinché ciò accada, è necessario che si faccia un teatro davvero vivo. Le forme teatrali morte, sinceramente, non mi interessano”.

Cosa intende per teatro vivo?
“E’ facile capirlo partendo da quello morto, cioè il teatro fatto per intrattenere o divertire, fatto sempre nel solito modo. E’ vivo, invece, il teatro che porti in scena una persona vera, testimone di una propria esperienza o di un proprio pensiero. Testimone di qualcosa che, passatemi l’espressione, sia lavata con il proprio sangue”.

Ha in mente un nome, a riguardo?
“Penso a Giorgio Gaber, che in scena raccontava quel che aveva dentro aprendomi nuove prospettive e nuove visioni. Un attore in grado di raccontarmi lo stesso mondo che vive sotto gli occhi di tutti, ma di dare al racconto un’impronta propria, da cui io possa trarre stimoli. Anche il teatro di narrazione, e faccio tra tutti il nome di Marco Paolini, è stato tanto vituperato ma ha fatto quel tipo di operazione; anche se, adesso, credo sia necessario un passo in avanti, passando dal racconto all’esegesi, all’indagine, all’inizio di un percorso verso una verità”.

Quindi verso qualcosa di assoluto…
“Dobbiamo precisare: non parlo della verità, ma di una verità. Però ogni verità contiene in sé qualcosa di sacrale e di misterioso. Ecco, il teatro deve trasmettere quella sacralità. Tra i miei spettacoli c’è l’Apocalisse, tratta dal testo biblico di Giovanni. Un testo fondamentale, completo, dove convivono mistero e rivelazione, dove c’è la consapevolezza dell’essere ciechi accanto alla necessità dell’avere visioni. Ecco cosa intendo per sacrale”.

Il compito che lei assegna al teatro è tutto tranne che facile. Come lo si può tradurre in realtà?
“Rendendo le cose più semplici possibili. Che non vuol dire banalizzarle, anzi. La semplicità è la virtù che ci rende capaci di arrivare alla persona più umile della terra così come ai massimi intellettuali. E’ questo, secondo me, il nuovo paradigma necessario sia per la comunicazione teatrale, sia per quella con cui ci misuriamo ogni giorno. Penso agli scienziati, ai medici: professionisti dotati necessariamente di codici interni, con i quali parlano tra di loro, ma poi doverosamente capaci di tradurre quei codici in parole che abbiano la forza della semplicità, per far capire ai loro interlocutori quella che, alla fine, è una verità, come dicevo poc’anzi”.