Il corpo nei processi di psicoterapia e counseling: consapevolezza corporea e crescita personale

3 Novembre 2004
Il corpo nei processi di psicoterapia e counseling: consapevolezza corporea e crescita personale

Perché il corpo ha fatto con prepotenza il suo ingresso nel mondo delle psicoterapie moderne? Perché il corpo non mente.

  • In psicoterapia, l’osservazione del corpo è determinante, in primo luogo perché offre moltissime informazioni sul processo in atto. Tenerne conto, favorisce e accelera il processo terapeutico.
  • In ogni momento, il corpo si prende la responsabilità dei processi negati a livello di pensiero, così come delle emozioni delle quali non siamo consapevoli. Per questo la guarigione vera, anche delle patologie fisiche, non può essere che una guarigione globale. Perché guarisca il corpo deve guarire anche il sistema psico-emotivo, e viceversa.
  • Lavorando col corpo in terapia è possibile arrivare direttamente al nucleo più o meno traumatico che è responsabile del malessere di una persona. Questa è un’arma a doppio taglio, perché se usata bene accelera il processo di guarigione. Usata male può creare un nuovo sbilanciamento, lasciarci temporaneamente privi di ciò che fino ad allora ci ha protetto. Per questo è fondamentale che il lavoro sul corpo vada sempre verso l’integrazione consapevole di ciò che avviene anche sul piano razionale ed emotivo.
  • Il corpo è la parte di noi che entra immediatamente in relazione con gli altri. E tutti i problemi affrontati in terapia hanno a che fare con la relazione: non siamo individui isolati.

Fare un’esperienza diretta, anche solo un piccolo esperimento pratico centrato sulla consapevolezza sarebbe certamente più appropriato che parlarne astrattamente (e infatti un’esperienza diretta è stata proposta al convegno Poetica del corpo, tenutosi a Verona lo scorso 26 ottobre, dove ho presentato questo intervento).

Tuttavia vale la pena di comprendere che ogni volta che ascoltiamo il nostro corpo – come si muove, come reagisce, come cambia la percezione che ne abbiamo – quando interagiamo con un’altra persona, possiamo ricavare molte informazioni sulle nostre dinamiche più intime.

Quello che fa il nostro corpo può dirci molte cose, infatti, sul modo in cui ci avviciniamo agli altri o ce ne allontaniamo, e probabilmente sul nostro modo di muoverci nella vita. Inoltre questa consapevolezza, ottenuta attraverso il corpo, può aiutarci a modificare il nostro atteggiamento molto più facilmente di un intero discorso.

In un processo di terapia o di counseling*, il corpo è uno strumento prezioso tutte le volte che rivela un contrasto tra ciò che ci segnala (come per esempio un digrignamento della mandibola) e l’immagine nella quale la persona si identifica (per esempio quella di un individuo gentile, sempre sorridente).

Rilevare queste differenze, questi contrasti, chiedere al cliente se ne è consapevole, crea sempre una piccola crisi, la cui risoluzione ha l’effetto di scoprire nuove possibilità nella propria esistenza. (Per esempio quella di essere – onestamente – più aggressivi!)

Siamo così abituati a coprire le manifestazioni corporee che ci rivelano… Odiamo diventare rossi, sudare per il nervosismo e sentirci “scoperti”, produrre un herpes labiale proprio il giorno di un appuntamento verso il quale ci sentiamo in conflitto. Eppure, in un processo di crescita personale, tutte queste informazioni sono preziosissime.

Ci sono molti modi di lavorare col corpo. Quello al quale si rifà la tecnica che uso nel mio lavoro di counseling, la Gestalt-Bodywork, utilizza in primo luogo questo rispecchiamentocontinuo, questo rimando dei contrasti al cliente, che aumenta la sua consapevolezza.

In alcuni casi risulta molto utile far sperimentare con gesti e movimenti quello che il cliente descrive a parole: uno sforzo, una sensazione di peso, un soffocamento, una costrizione, un desiderio di picchiare, mordere, strangolare…

Portare il gesto all’esterno quando un cliente lo sta facendo su di sé (per esempio un abbraccio o un grattamento) scatena sempre forti emozioni. Perché non vadano disperse è importante chiedergli di unire voce, parole, pensieri al gesto. Altre volte chiedo: dimmelo con un gesto, che quasi sempre risulta più chiaro e diretto di un lungo discorso.

In un gruppo, d’altra parte, i movimenti e le posizioni fisse dei presenti riflettono sempre le dinamiche psicologiche dei partecipanti, e soprattutto le dinamiche di relazione presenti in quel gruppo in quel momento. Basta cambiare posto (talvolta anche solo alzarsi in piedi) perché si modifichi qualcosa nell’atmosfera del gruppo, talvolta addirittura per scatenare novità inaspettate.

Un’altra parte del nostro lavoro si basa sul contatto fisico, che è sempre anche un contatto emotivo. Il terapeuta, o il counselor, va a toccare il punto dove il cliente percepisce fisicamente i suoi conflitti (quasi sempre manifestati con una contrazione, un dolore, un gesto ripetuto…). Lo fa con delicatezza e sensibilità, sempre chiedendo il permesso al cliente, e chiedendo a lui di portare lì anche la sua attenzione e il suo respiro. Questo lo porta quasi immediatamente a incontrare quello che c’è dentro: una storia dimenticata, un trauma emotivo molto presente, un ricordo che continua a far male.

Il terapeuta assiste il cliente mentre tutto questo emerge, offrendosi come il contenitore esterno che permette alla persona di lasciar scorrere tutto il suo dolore, la sua rabbia, la sua frustrazione, la sua paura, la sua eccitazione, qualunque cosa stia avvenendo spontaneamente nel suo corpo in quel momento.

Il nostro corpo infatti è la cassaforte dei ricordi. Dargli attenzione, collegarvi l’attenzione cosciente, permette ai vecchi traumi di venire fuori, di tornare alla superficie e di essere elaborati (e questo può non essere per niente gradevole).

Ricreare questo contatto, tuttavia, ci dà la possibilità di sentire che il nostro corpo può contenere tutto questo, che non ci dissolviamo nell’emozione (una paura molto comune).

Sapere che siamo capaci di sostenere quello che c’è, anche fisicamente, ci dà fiducia, sicurezza, autorevolezza, costruisce il nostro io. Nel contenitore sicuro rappresentato dal terapeuta, dal counselor o dal gruppo, la persona impara che può contenere quell’esperienza, e ne esce più forte, con una necessità minore di frenare le sue emozioni, di controllarle per evitare di andare a toccare quel nucleo che è alla radice del suo disagio. E può così riprendere a vivere in modo più soddisfacente, più pieno, più vitale.

Incontrare questo nucleo di sofferenza ed esprimerlo può essere già molto, ma serve a poco se non lo si integra poi anche a livello razionale. Esistono discipline nelle quali questa espressione viene effettivamente messa in primo piano (alcuni approcci di bioenergetica, biodanza, rebirthing…), talvolta finalizzata a una sorta di catarsi, ma nella Gestalt-Bodywork, il fine è sempre ricollegare l’esperienza vissuta sul piano fisico ed emotivo anche a livello razionale, in modo che vada a costruire un pezzo nuovo della nostra identità. Solo così, l’esperienza può essere poi portata nell’ambiente, nella vita di tutti i giorni.

Il lavoro col corpo, sia esso di contatto o di movimento, è così potente che ci sono discipline, teoricamente solo fisiche, che vanno tanto in profondità da operare talvolta forti cambiamenti nell’intero sistema psicofisico. Tra questi possiamo citare il Metodo Feldenkrais, la tecnica di Alexander, il Metodo Trager, l’Antiginnastica, solo per citare le più note. Ma sappiamo che anche praticare arti marziali oppure andare a cavallo (per esempio a fini di riabilitazione psicofisica) può operare a un livello che ha a che fare molto più con la crescita personale che con la tonicità dei muscoli. Allo stesso modo, qualunque approccio artistico che coinvolga il corpo, come il teatro o certe forme di danza, ha sempre riflessi sull’intero sistema corpo-mente-emozioni.

Come mai allora è così efficace, almeno nella mia esperienza, il lavoro col corpo? Il corpo è la parte di noi che entra immediatamente in relazione con gli altri, senza i filtri rappresentati dalle nostre storie, dalla nostra biografia, dalla nostra capacità, più o meno adeguata, di proteggerci col linguaggio. Dato che non siamo individui isolati, tutto, ma proprio tutto quello che facciamo con gli altri è riflesso in modo elementare, in modo ovvio per chi guarda con attenzione, dal nostro corpo. Sta a noi dargli fiducia e ascoltare quello che ci dice attimo per attimo. Perché ha molto da dire a noi stessi e al mondo.

 

(*) Il counseling è un approccio psicologico e psicosomatico che, nella ricerca di soluzioni creative ai problemi quotidiani ha spesso un “effetto cascata”, che porta benessere in molte aree diverse della vita. Non si tratta di un lavoro volto alla ristrutturazione profonda della personalità, ma può essere usato con chiunque, come forma di assistenza alla realizzazione di obiettivi definiti e limitati, in incontri individuali o di gruppo.