Invecchiamento: la lunga strada verso l’ottimismo

28 Marzo 2007
Invecchiamento: la lunga strada verso l'ottimismo

Forse succede della vita la stessa cosa che succede della luce: più cruda e aspra nelle ore centrali della giornata, la luce, per un fenomeno di rifrazione, si fa più dolce e rosata al tramonto. Se fosse così davvero, risulterebbe del tutto privo di fondamento il luogo comune secondo il quale l’avvenire dei giovani è roseo, quello dei vecchi grigio.

Che i colori delle età siano completamente da capovolgere è la tesi che emerge da un’interessante ricerca di prossima pubblicazione sulla rivista Psychological Science, della quale è stata diffusa – e pubblicata su alcuni siti Internet – un’anteprima.

Lo studio, condotto da due noti psicologi americani, Michael Kisley dell’Università del Colorado e Stacey Wood del californiano Scripps College, ha interessato una popolazione di oltre 150 soggetti di varie età. A ciascuno dei partecipanti è stata proposta la visione, sullo schermo di un computer, di una serie di immagini, alcune delle quali catalogate come “positive”, altre come “neutre” e altre ancora come “negative”. Le reazioni psicologiche venivano intanto osservate attraverso un monitoraggio del cervello.

E’ risultato che, in percentuali significative, i giovani di età compresa tra i 18 e i 25 anni soffermavano di preferenza la loro attenzione sulle immagini, e sulle conseguenti emozioni, di carattere negativo: ad esempio la fotografia di un incidente automobilistico o quella di un gatto morto sull’asfalto. E’ questa una tendenza già sufficientemente conosciuta e studiata, cui viene dato il nome di negative bias, cioè di “inclinazione negativa” o “pregiudizio negativo”.

Più inattesa e sorprendente è stata giudicata dai ricercatori l’osservazione opposta: i soggetti di età superiore ai 55 anni hanno infatti privilegiato, in percentuali altrettanto se non ancor più significative, le immagini e le emozioni di segno positivo, come un bel paesaggio o un cono di gelato al cioccolato. Se ne può dedurre (anche se trarre conclusioni definitive da una singola ricerca sarebbe avventato) che con l’età s’impara gradatamente a rendersi più permeabili alle emozioni “buone” che alle “cattive”.

Ricercare una causa di questa legge piuttosto stravagante potrebbe portare a un cortocircuito interpretativo. Gli anziani, più ottimisti, saranno portati a credere che la vita diventa tanto più bella quanto più la si vive. I giovani, più pessimisti, parlando degli anziani diranno invece che gli dèi si prendono gioco degli uomini, facendo loro apparire il futuro tanto più roseo quanto più il tempo che resta si restringe. 

Sarà magari, proprio come per la luce del giorno, un semplice e illusorio fenomeno ottico, di rifrazione? O non, al contrario, un effetto reale e misurabile dell’esperienza, che induce a una più esatta stima dei valori?

Forse da non trascurare è una terza ipotesi: che i giovani siano più soggiogati degli anziani dalle immagini di violenza e di morte di cui giornali, televisione, cinema e videogiochi intessono le loro giornate.