Gli anziani, la solitudine e i farmaci

24 Giugno 2008
Gli anziani, la solitudine e i farmaci

Soli e malati molti anziani ricorrono ai farmaci. Perché manca loro il rapporto con il medico: l’ascolto, infatti, è la vera terapia. Il farmaco rappresenta spesso per le persone sole una soluzione al proprio bisogno di sentirsi parte di un gruppo e un riempitivo della propria sensazione di vuoto.

In una recente inchiesta (del Censis) è emerso come il 61,2% degli italiani veda il ricorso al farmaco come lo sfogo alla mancanza del senso di “gruppo” all’interno della propria famiglia e, prima ancora, alla mancanza di dialogo con il proprio medico curante. Secondo gli intervistati l’abuso di pillole e del ricorso alla farmacia è solo un “pretesto“- un “placebo“- per curare sintomi più psicologici che fisici. La fascia di  popolazione maggiormente esposta a queste dinamiche è quella degli “over65“, che vedono nelle solitudine una condizione spesso inevitabile e che, nella maggior parte dei casi, crea sofferenza.

È una realtà: gli anziani, lasciati  soli dalla famiglia, dalle istituzioni e persino dal loro medico curante, preoccupati per la precarietà delle condizioni della loro salute, si rivolgono alle farmacie per avere un conforto. Spesso assumono farmaci anche e soprattutto per calmare la propria ansia a riguardo della propria persona e risentono di quello che può essere definito “effetto da gratificazione da farmaco”; il discorso di “ciò che si assume” resta quindi distaccato da quello dell’efficacia specifica del rimedio e generalmente in secondo piano. L’anziano può arrivare a prendere medicine con la convinzione che, a prescindere da ogni giustificazione medica e di “economia dell’organismo”, il rimedio vada comunque bene. L’ansia generata dalla solitudine viene in qualche misura somatizzata in una serie di presunti o meno problemi fisici, che vengono percepiti come indicazione del bisogno di cure. Il farmaco agisce allora anche a questo livello offrendo la immediata possibilità di condividere il ruolo del malato, confortandolo, accompagnandolo nel suo percorso di vita dove famiglia, medici curanti, geriatri falliscono per assenza. Secondo il Prof. Trabucchi, noto geriatra italiano, il ruolo fondamentale che la società deve recuperare nella cura dell’anziano, per contrastare questo fenomeno, è quello del medico di famiglia, che, essendo in prima linea, ha un ruolo di rilievo.

In secondo luogo dovrebbero rafforzare la loro presenza i geriatri stessi, troppo pochi in Italia rispetto alla popolazione; per la precisione sulla geriatria dovrebbe essere il sistema sanitario a investire, essendo questo tipo di medico il migliore nell’improntare cure dell’anziano basate sul dialogo e che dal dialogo non possono prescindere. E’ infatti vero che i geriatri sono gli specialisti del conforto psicologico e considerano la relazione (paziente-medico) intrinseca alla cura. L’assunzione incontrollata di farmaci è grave, ma è ancora più grave il disagio che vi si nasconde. Che spaventa è quella commistura di solitudini cercate e di solitudini sopraggiunte che spesso non trova risposta nei medici, nella famiglia e nei parenti. Tutte mancanze di sicurezza che si sfogano in una disperata ricerca di affiliazioni immediate e di appoggi non fittizi, ma toccabili con mano, qualcosa che plachi la preoccupazione su se stessi.

La risposta data dal farmaco è preoccupante, ingenera rischi per la salute dovuti a probabili abusi di alcuni farmaci; sarebbe allora utile riflettere sulle reti di protezione sociale come tampone al problema della solitudine nelle fasce d’età elevate, ma anche ridiscutere il ruolo di chi ha potere d’indirizzo della vita del paziente, ossia il medico generico, cercando di improntare la cura delle patologie al dialogo e, magari, all’uso di sostanze di origine “non strettamente farmacologica”. Anche la semplice educazione al movimento fisico, magari di gruppo, o meglio di squadra, potrebbe svolgere una potente azione terapeutica agendo contemporanemanete sul piano opsichico e su quello fisico clinico.

Un percorso di revisione di questo tipo porterebbe al sicuro miglioramento delle condizioni di salute dei nostri anziani (per lo meno della qualità della vita), migliorando, di conseguenza, la loro e la nostra realtà.