Giappone: massiccio ritiro di latte in polvere

16 Dicembre 2011
Giappone: massiccio ritiro di latte in polvere

In questa storia è difficile scindere l’opportunità della prudenza dagli effetti collaterali dell’assenza di informazione. L’azienda giapponese Meiji ha ritirato 400mila lattine del suo latte in polvere Step a causa della presenza, in alcune di esse, di Cesio radioattivo 134 e 137. Si tratta di semplici tracce, non dannose per la salute; pure, Meiji ha preferito il ritiro di un tot di lattine ad un possibile danno economico ancor maggiore.

Quel tipo di latte in polvere è usato da moltissime mamme giapponesi, cosa che fa di Meiji il leader di mercato del settore. Le tracce dei due isotopi, secondo i test, sono compresi tra i 15 e i 30 becquerel per chilogrammo di peso corporeo del bimbo; un valore decisamente tollerabile, dal momento che il tetto legale è di 200 bq/kg. Gli esperti coinvolti dall’azienda nei test hanno precisato che anche un organismo in fase di crescita potrebbe assorbirli senza effetti dannosi. Il latte in polvere Step, inoltre, è prodotto in gran parte con latte australiano; quel poco munto negli allevamenti giapponesi e presente nelle 400mila lattine proviene da una fattoria dell’area di Saitama, 200 km da Fukushima, lavorato nei due giorni successivi al disastro (11 marzo 2011). L’ipotesi maggiormente accreditata è di una contaminazione da caduta di materiale radioattivo sui foraggi e sull’acqua utilizzati in quei giorni: infatti, altro latte della stessa fattoria, lavorato nei giorni precedenti e utilizzato per produrre Step, non presenta isotopi radioattivi.

Ciononostante l’azienda ha deciso per il ritiro, temendo che i clienti non avrebbero comunque colto l’innocuità della situazione. La trasparenza e la ragionevolezza, in questo caso, hanno subito gli effetti collaterali dei segreti e delle reticenze che dai giorni dell’incidente contraddistinguono la comunicazione sulle conseguenze dell’incidente alla centrale di Fukushima. La Tepco (Tokyo Electric Power Company, gestore dell’impianto), infatti, perpetua un’informazione fumosa e contraddittoria, per esempio sulla natura delle esplosioni avvenute all’interno dei reattori nucleari: la società parla di pressione causata da idrogeno gassoso liberato durante il surriscaldamento del nocciolo; le evidenze dicono di elementi pesanti (plutonio -238) rinvenuti a quasi 50 km da Fukushima, che per concentrazione e massa non sono compatibili con un trasporto dovuto al solo fallout. In altre parole, se si trovano lì è possibile solo in seguito a esplosione nucleare.

Quella di Fukushima continua quindi a essere una situazione insostenibile, sia sul piano psicologico sia su quello informativo (oltre che su quello della pura salute, come Eurosalus ha nuovamente scritto solo due mesi fa). Sintomatica a riguardo è l’assenza di rilevazioni, sempre nel latte, dei giorni successivi al 13 marzo (cioè il secondo dopo l’incidente), ed è difficile pensare positivamente poiché proprio in quel periodo la concentrazione di Cesio radioattivo non faceva che crescere anche in territori lontani, come l’Europa, e crescere oltre i livelli di pericolo in molte zone giapponesi.

Non a caso, l’ultimo numero di Nature dedica alla vicenda la copertina con una proposta di fortissimo impatto: nazionalizzare la centrale. Il controllo dello Stato assicurerebbe una gestione e una comunicazione dei dati sicuramente più efficace. Vedere una pubblicazione anglosassone – area in cui la cultura liberale è sovrana – spingersi a tanto, dà la misura della gravità del problema.