Il counselor, questo sconosciuto

di Francesca Speciani - Counselor
5 Aprile 2012
Il counselor, questo sconosciuto

DOMANDA

Buongiorno,mia figlia, insegnante di sostegno precaria, sta pensando di iscriversi a un corso di counseling. Forse perché non mi è chiaro di cosa si tratti, ma non farebbe meglio a laurearsi in Psicologia?

RISPOSTA

Cara lettrice, certamente una laurea in Psicologia, oggi, offre alcuni vantaggi sul piano legale ed economico (per esempio, le prestazioni di counseling esercitate da uno psicologo non sono soggette a IVA, quelle di un counselor sì). Ma la competenza specifica del counselor si acquisisce nel corso di una formazione che offre strumenti più pratici rispetto a quelli dello psicologo, nel quale la formazione teorica è certamente più ricca. Di conseguenza, anche gli ambiti di intervento sono distinti.

La differenza fondamentale risiede nell’intento, che per uno psicologo è terapeutico e per un counselor no. Infatti il counseling non è una terapia psicologica, quindi non è detto che sia vantaggioso che venga praticato da un professionista che, per formazione, considera sempre la persona che ha davanti come un soggetto da curare. Guardiamo la realtà da un altro punto di vista: anche se in Italia vengono seguite dal ginecologo anche moltissime gravidanze fisiologiche, la professionista più competente ad accompagnare una donna nella gravidanza e nel parto è l’ostetrica, che non è un medico. Sono malattie la gravidanza e il parto? No. Le donne partorirebbero anche senza l’aiuto dell’ostetrica? Sì. Ma essere accompagnate da una persona competente in un momento critico della vita può risparmiare moltissime sofferenze e una quantità di conseguenze negative. Di certo, se insorge un problema, la donna viene affidata alle cure di un ginecologo.

Per certi versi, lo stesso meccanismo si applica al counseling. Si può considerare ‘malata’ e bisognosa di psicoterapia una persona che fa fatica nella relazione con i figli, o che non riesce a prendere una decisione quando vuole cambiare lavoro? Una coppia che incontra difficoltà quando adotta un bambino o deve decidere per una fecondazione assistita? Una persona anziana che non riesce a trovare la sua collocazione nel mondo perché i suoi figli vivono lontani? Un giovane che, dopo un incidente in moto e una lunga degenza in ospedale, deve tornare ad affrontare la vita da solo? Sono solo alcuni esempi dell’ambito di intervento di un counselor, un professionista formato innanzi tutto per saper ascoltare, prestare un orecchio attento senza formulare giudizi, offrire punti di vista diversi che consentano una visione più ampia del problema e, in molti casi, anche per accompagnare con delicatezza un cliente recalcitrante a rivolgersi a un professionista più appropriato (come uno psicoterapeuta, uno psichiatra, uno psicologo), verso il quale potrebbe nutrire diffidenza. In sintesi, il compito principale di un counselor è aiutare il cliente a precisare l’obiettivo che vuole realizzare e a identificare i passi per arrivarci. Da lì in poi, lo assiste nel mobilitare le sue risorse e la sua creatività, nel dare un orientamento più efficace alle sue energie, e lo accompagna nel percorso per raggiungere lo scopo prefissato.

Anche se il livello di intervento di un counselor è più limitato di quello di uno psicoterapeuta, non comprende mai una diagnosi clinica e non mira a guarire la persona da sintomi e disturbi di carattere psicopatologico, non vuol dire che il suo iter formativo sia insignificante: un minimo di tre anni di scuola (successivi almeno a un diploma di scuola superiore) con conseguimento di regolare diploma, almeno 50 ore di terapia personale e 70 ore di supervisione didattica sono i requisiti minimi. Solo che questi requisiti non sono dettati dallo Stato, ma da organismi di certificazione e accreditamento che li valutano per garantire la qualità della prestazione professionale.

Perché allora in tanti decidiamo di fare un lavoro quasi sconosciuto (ma in costante espansione), che per la legge italiana è ‘professione non regolamentata’ (ma non per questo illegittima), e per alcuni è – a priori – ‘esercizio abusivo della professione psicologica’? Probabilmente per lo stesso motivo per cui molti di noi preferiscono prendere un infuso di finocchio quando hanno mal di stomaco, un rimedio omeopatico quando hanno il raffreddore, o della tintura di echinacea quando hanno l’influenza. Ma vanno anche dall’ortopedico quando hanno uno strappo ai legamenti, dall’allergologo quando hanno l’asma, dallo psicoterapeuta quando soffrono di un disturbo fobico e dallo psichiatra quando è indispensabile una terapia a base di psicofarmaci.