Salute: diritto alla privacy e bisogno di comunicare

12 Aprile 2012
Salute: diritto alla privacy e bisogno di comunicare

Uno dei temi più delicati della contemporaneità è il rapporto tra tutela della privacy e sviluppo delle tecnologie digitali. La questione è centrale nel campo della salute, tra i più fertili in termini di innovazione, come ci racconta il “tadzebao” che ogni anno viene realizzato dalla Technology Review dell’Mit: un pannello – non una graduatoria – delle 50 aziende tecnologicamente più innovative.

Guardando il quadro delle top 50 del 2012, vediamo che 10 operano nel campo del cosiddetto e-Health, cioè dell’applicazione di web e digitale al settore sanitario. Il trend rilevato dalla TechReview è di una sempre maggior attenzione alla digitalizzazione dei servizi di settore e alla diagnostica online. Ci sono casi in cui si studia come ingegnerizzare il sistema delle assicurazioni sanitarie (su cui si basa la sanità negli Usa), altri in cui si sviluppano soluzioni di telemedicina per non far mancare assistenza in alcune aree rurali dell’India. O, ancora, casi in cui si sviluppa un social network intelligente per la condivisione di informazioni e l’accesso di servizi utili per la cura e la gestione della propria patologia.

Proprio l’ambito social pone le domande più complicate – e interessanti – nel rapporto tra il web e la salute. Un rapporto proficuo: secondo i dati dell’Annuario Scienza e Società 2011 di Observa un italiano su 5 fra i 16 e i 74 anni usa la rete per cercare indicazioni in tema. E per condividere non solo le stesse indicazioni, ma soprattutto la propria esperienza. Un punto che recentemente ha allarmato il presidente dell’Autorità per la protezione dei dati personali, Francesco Pizzetti, che in una dichiarazione raccolta dal Corriere della Sera ha evidenziato la poca consapevolezza degli utenti di dialogare in una piazza virtuale, e la conseguente leggerezza con cui si divulgano informazioni sullo stato di salute proprio o di altri. Informazioni che, per esempio, potrebbero essere usate in modo discriminatorio sul posto di lavoro.

Ecco perché la stessa Autorità ha previsto per siti, social e blog che trattino di salute l’obbligo di far apparire in home page un’”avvertenza di rischio”, per informare sui potenziali pericoli di esporsi nella piazza virtuale con la propria malattia.

La preoccupazione è sensata. Tuttavia – come spesso accade quando si tratta di internet – c’è il rischio di cadere in una facile e superficiale demonizzazione. Sembra ovvio, ma è invece importante ribadirlo: non è internet che viola la nostra privacy, perché in ultima analisi siamo noi che decidiamo cosa raccontare e cosa no. Se comunicare un proprio malessere, condividerlo con gli amici su Facebook, con un Tweet, con altri in ciò che resta dei forum è un’attività piuttosto diffusa, forse la ragione sta nell’umanissimo bisogno di condividere un elemento negativo per alleggerirne il peso. E per sentirsi meglio.

Ben venga, dunque, la premura dell’Autority. Ma senza dimenticare quel bisogno di comunicazione che appartiene alla cura non meno della prescrizione del medico.