Il fascino pungente del ficodindia e le sue proprietà antidiabetiche
Il ficodindia ci è noto soprattutto per la sua austera e asciutta bellezza, che infiamma la macchia mediterranea nelle regioni più calde del nostro Sud, isole per prime.
Poi per i suoi frutti dolci e alleganti ad un tempo, la cui raccolta è resa ardua e macchinosa dalla minaccia di una moltitudine di spine. Tuttavia c’è chi ne va talmente ghiotto da sfidare, armeggiando con bastoni biforcuti, l’arcigna barriera difensiva della pianta e da affrontare spavaldamente l’effetto quasi proverbiale che tien dietro a una scorpacciata di questi bei frutti rossastri: una stitichezza tenace e prolungata.
Il ficodindia (o fico d’India: nome scientifico Opuntia ficus-indica) si chiama così perché non è una pianta europea. Viene dall’America, cioè dalle Indie Occidentali, ed è dunque, con il pomodoro, il mais, la patata e tante altre, una delle scoperte involontarie di Cristoforo Colombo.
In Messico, patria di questa pianta dagli innumerevoli nomi (anche cactus o opunzia), si chiama nopal ed è uno degli alimenti più diffusi sui mercati, uno degli ingredienti più comuni della cucina nazionale. Oltre e più spesso del frutto se ne mangia però la polpa contenuta nelle pale (o gambi, o foglie) più giovani e più tenere.
Del nopal sono note le eccellenti proprietà nutritive, dovute al contenuto particolarmente esiguo di zuccheri e a quello particolarmente elevato di fibre vegetali.
Ora una ricerca condotta appunto in Messico, da un gruppo di studiosi dell’Università della Bassa California a Tijuana, ci informa di una proprietà ancor più interessante del nopal (M Bacardi-Gascon et al, Diabetes Care 2007, 30:1264-1265).
Dopo un digiuno di 12 ore, a 36 pazienti con diagnosi di diabete di tipo 2 è stata servita una tipica prima colazione messicana (chilaquiles, o quesadillas, o uova strapazzate con burritos), accompagnata o meno da una discreta quantità (circa 85 grammi) di nopales.
Alle successive analisi è risultato evidente che i pazienti nutriti col contorno di nopales mostravano una significativa riduzione degli zuccheri nel sangue, con valori decisamente inferiori a quelli di chi aveva mangiato le stesse pietanze senza nopales.
La riduzione della glicemia era particolarmente marcata (48% in meno) nell’associazione nopales-quesadillas, un piatto esclusivamente vegetale composto di “fagioli con l’occhio” e di avocado, e, grazie alle sostanze grasse dell’avocado, con un indice glicemico notevolmente più basso.
Dalle nostre parti sarebbe infruttuoso cercare i nopales sul mercato e pernicioso sperare di poter estrarre la polpa carnosa dalle pale del ficodindia senza tempestarsi di spine la pelle delle dita. Bisogna accontentarsi del nopal sotto forma di estratto secco, in vendita in tavolette o compresse nelle erboristerie.
Chi ha la fortuna di andare in vacanza in Messico potrà invece gustarlo in forme più appetitose: ad esempio le uova strapazzate con nopales, una ricetta popolare, diffusissima e – a quanto si dice – di bontà squisita.
Anche chi non è diabetico può giovarsi con profitto di questo moderatore della glicemia che, regolando il metabolismo degli zuccheri, lo potrebbe aiutare a tener lontano il pericolo dell’obesità. O anche soltanto ad essere, diciamo così, significativamente più fico.