Censis: 9 milioni di italiani rinunciano a curarsi

13 Giugno 2012
Censis: 9 milioni di italiani rinunciano a curarsi

Una delle critiche più frequenti al sistema sociale statunitense riguarda l’assenza di un servizio sanitario pubblico. Le relative spese integralmente a carico del singolo fanno sì che solo chi possa permettersi un’assicurazione riceva poi le opportune cure di cui ha bisogno.

Possiamo pensare che quello scenario – profondamente criticato prima da Hillary Clinton e poi da Barack Obama, fautori di proposte di radicale riforma del sistema sanitario – si prospetti anche per l’Italia? A guardare i dati del Censis sulla sanità sembrerebbe di sì. Il rapporto Rbm Salute dell’Istituto di ricerca socioeconomica, presentato la settimana scorsa, ha evidenziato come 9 milioni di italiani siano costretti per ragioni economiche a rinunciare alle prestazioni sanitarie di cui hanno necessità. Il dettaglio dei dati dice si tratta di 2,4 milioni di anziani, 5 milioni costituiti da coppie con figli, 4 milioni residenti al Sud. Al contempo, aumenta il ricorso alla sanità privata (+ 25,5% dal 2002 a oggi), e sono 11 milioni gli assistiti dalle centinaia di Fondi integrativi che garantiscono assistenza alla salute.

Altro dato importante è quello relativo alla percezione della qualità delle prestazioni erogate dal servizio pubblico. Il 31,7% afferma che nella propria regione la sanità è peggiorata; solo 3 anni fa a pensarlo era un 10% in meno (21,7%).

Il rapporto del Censis offre molti altri spunti di riflessione, tra i quali c’è anche l’aumento di chi cerchi su internet assistenza sanitaria a basso costo, accettando il rischio di incorrere in prestazioni tutt’altro che professionali. Spunti sui quali Eurosalus ha già avuto occasione di soffermarsi in passato, e sui quali intende tornare nelle prossime settimane con altri articoli.

Tra i punti affrontati in passato – che attengono sicuramente al tema dei rapporti tra disponibilità economica del singolo e costi da affrontare per curarsi e che vogliamo rilanciare oggi – c’è quello dei farmaci salvavita.

Strumenti, va da sé, importantissimi dal punto di vista terapeutico (ne è esempio la Doxorubicina, necessaria per il trattamento del cancro ovarico) per i quali si verifica spesso una rottura di stock. Vengono quindi dichiarati esauriti e il paziente è costretto a sospendere il trattamento avviato, a non iniziarne uno nuovo, o comunque ad affrontare trattamenti più costosi.