Suggerimenti utili per allergici e intolleranti: quando un congresso cambia la pratica clinica

13 Ottobre 2014
Suggerimenti utili per allergici e intolleranti: quando un congresso cambia la pratica clinica

Dublino è città ricca di contrasti. Alcune parti mantengono le caratteristiche della tradizione irlandese e si intrecciano con avveniristiche costruzioni in cui architettura e rispetto dell’ambiente si coniugano con soluzioni d’avanguardia.

Il tempo per noi è stato clemente: mentre in Italia e in gran parte d’Europa piove a dirotto, qui il cielo sereno e il sole ci hanno accompagnato durante tutto il congresso.

Parliamo del FAAM 2014 (Food Allergy and Anaphylaxis Meeting) che è il momento internazionale d’incontro più importante per chi si occupa di allergie alimentari e di ipersensibilità al cibo.

Siamo alla terza edizione di un congresso fortemente voluto, fin dalla prima edizione del 2011, dalla professoressa Antonella Muraro, prossimo presidente della European Academy of Allergy and Clinical Immunology (EAACI) e una delle più attive ricercatrici in questo ambito.

Il doppio aspetto della città che ci ospita bene si sposa, come le due facce di una stessa medaglia, con le considerazioni scientifiche espresse, talvolta in modo opposto anche se complementare, dai diversi relatori che hanno presentato le loro ricerche, focalizzando l’attenzione da un lato sull’allergene o sul cibo “incriminato” e dall’altro dando invece importanza alla capacità di recupero della tolleranza in una visione più olistica del paziente e del fenomeno allergico.

Mentre a Nizza, nel febbraio del 2013, il tema principale del congresso è stato quello della tolleranza immunologica (allora da poco scoperta come possibilità pratica), qui a Dublino si è parlato soprattutto di prevenzione (meglio comprendendo le cause dello sviluppo delle allergie) e quindi di possibilità terapeutiche.

Ne citeremo gli spunti più rilevanti anche ai fini della applicazione pratica.

Per affrontare la prevenzione in tutti i suoi aspetti, sono stati discussi i temi che riguardano la relazione tra allergia alimentare e gravidanza, allattamento e integrazione di micronutrienti (vitamine e minerali).

Questo è un tema tipico della “prevenzione primaria” in cui l’obiettivo è appunto prevenire l’insorgenza di allergie o ipersensibilità attraverso cambi di comportamenti o abitudini alimentari. Fare in modo cioè che ci siano meno “malati” da trattare.

Si è confermato che è del tutto inutile durante la gravidanza eliminare o ridurre certi tipi di alimenti (come il latte, le uova e le arachidi), atteggiamento che non porta alcun beneficio preventivo.

L’attenzione dietetica a una corretta, molto varia e bilanciata alimentazione durante l’allattamento ha invece una sua funzione protettiva molto elevata.

La stessa che si richiederebbe anche negli anni che seguono lo svezzamento in cui purtroppo le scorrette abitudini alimentari di molte famiglie riportano anche i bambini “protetti” durante l’allattamento allo sviluppo di possibili allergie.

È poi confermato che l’allattamento al seno è comunque protettivo anche se fatto per poco tempo (ovviamente lo è di più se fatto più a lungo, con allattamento esclusivamente al seno almeno fino a 6 mesi, ma anche “un poco” non guasta).

Dai 6 mesi si propone comunque l’introduzione di cibi solidi in modo progressivamente vario e completo. Ci ha fatto piacere sentire riproposte in modo positivo da diversi relatori le modalità che su queste pagine segnaliamo adatte all’autosvezzamento.

Si è molto parlato anche della Vitamina D3 e della sua profonda relazione con l’allergia, l’obesità e l’asma.

Come più volte riportato da Eurosalus, l’assunzione di Vitamina D3 attualmente proposta solo per i disturbi del metabolismo del calcio e delle ossa è spesso insufficiente alla regolazione del sistema immunitario. Servono in genere dosaggi più elevati che non vadano comunque in eccesso.

La valutazione ematica della vitamina D3 dovrebbe diventare un esame di routine per tutti i soggetti allergici che vivono sopra il 40° parallelo e sono meno esposti alla luce solare (quindi almeno per mezza Italia).

Tra tutte le relazioni che hanno affrontato il tema della diagnosi precoce e della comprensione dei meccanismi che portano all’allergia (cioè la prevenzione secondaria) sono stati particolarmente interessanti quelli relativi alla trasformazione degli alimenti, alla presenza di antigeni alimentari inaspettati dovuti all’interazione tra proteine, carboidrati e grassi, e alla presenza della Lipid Transfer Protein (LTP), panallergene presente in quasi tutta la frutta e la verdura, che sta diventando molto di moda nei centri allergologici.

Su Eurosalus ne discutiamo almeno dal 2007, proponendo già da allora una ipotesi evoluzionistica che ne spiega il significato e sulla cui base si può guidare ogni allergico alla LTP verso la tolleranza, come descritto nel capitolo 9 del nostro testo “Come una pentola a pressione”.

Interessante la relazione della dr.ssa Simona Mezzacappa che ha discusso la possibilità di indurre una desensibilizzazione alla LTP o ad altri panallergeni vegetali attraverso l’uso sublinguale di basse diluizioni della sostanza stessa. Tecnica che da anni utilizziamo in SMA nei percorsi terapeutici specifici per accompagnare i pazienti allergici verso il recupero della tolleranza. L’uso delle iposensibilizzazioni a bassa dose, ne siamo certi, diventerà progressivamente una pratica clinica sempre più diffusa e comune.

Più relatori hanno evidenziato poi il fatto che alcuni alimenti possano acquisire una valenza allergenica diversa dalla semplice lista degli ingredienti contenuti, per la trasformazione dovuta ad esempio alla cottura.

Descriviamo questi aspetti per i grassi cotti (inadatti a chi abbia reazione al Nichel) e per le fermentazioni che si generano anche senza lieviti aggiunti nei prodotti da forno (inadatti a chi abbia reazioni ai lieviti e alle sostanze fermentate).

La reazione di Mallard (quella che giustifica la presenza di acrilamide nelle patate fritte) può nello stesso modo creare delle nuove sostanze (e nuovi potenziali antigeni) che in soggetti sensibili portano alla reazione avversa.

Nel rispetto della “doppia faccia” di questo congresso c’è stato fortunatamente anche chi abbia suggerito come soluzione, non certo l’eliminazione completa degli alimenti, ma la loro introduzione varia e piacevole per ricreare tolleranza. Forse siamo sulla buona strada.

Sul versante terapeutico, di estremo rilievo la relazione dell’irlandese Liam O’Mahony sulla utilizzazione di particolari ceppi di probiotici per indurre non solo tolleranza antigenica, ma specifiche azioni terapeutiche su patologie correlate all’infiammazione e alla attivazione di NF-kB.

Uno dei suoi lavori di riferimento è quello pubblicato ancora nel 2008 su PLoS Pathogens, ma i dati oggi di interesse sono quelli relativi alla specificità del microbioma per ottenere gli effetti cercati (O’Mahony C et al., PLoS Pathog. 2008 Aug 1;4(8):e1000112. doi: 10.1371/journal.ppat.1000112).

Insomma non è più sufficiente prendere “dei fermenti lattici” come usavano dire le nostre nonne, ma attraverso la selezione di singoli ceppi batterici e la loro somministrazione, ottenere effetti metabolici, ormonali ed immunologici oltre che una intensa azione antinfiammatoria.

L’intestino e le sue reazioni sono quindi sempre più al centro dell’equilibrio infiammatorio dell’organismo.

La scelta di impostazioni nutrizionali basate non sul singolo alimento da eliminare, ma sulla valutazione dei Grandi Gruppi Alimentari è stato l’oggetto del nostro intervento al congresso, dove abbiamo discusso dei valori di Immunoglobuline G (IgG) per gli alimenti, relativi a un popolazione di 11.500 persone (lavoro effettuato con la partecipazione del prof. Enrico Ferrazzi).

L’analisi statistica, effettuata dal dr. Soriano (della Duke University – North Carolina) ha confermato l’esistenza dei “cluster” alimentari che da anni utilizziamo nella nostra pratica clinica (i grandi gruppi alimentari) per aiutare i nostri pazienti nel percorso verso la tolleranza alimentare e la guarigione.

Gli spunti per proseguire nella ricerca non mancano certo. Di sicuro le informazioni acquisite in questi giorni consentono a noi come agli altri colleghi di raffinare la pratica clinica integrandola in una miglior conoscenza dell’essere umano.