L’anoressia maschile esiste, ma l’uomo ha paura a parlarne

18 Aprile 2001
L'anoressia maschile esiste, ma l'uomo ha paura a parlarne

Seduti al ristorante, capita di vedere uomini asciutti che si alzano da tavola per andare a “lavarsi le mani”.

Spesso è un gesto che nasconde semplicemente l’autoinduzione del vomito, frequente anche tra gli uomini, essi pure malati di bulimia o di anoressia. Solo che gli uomini difficilmente ne parlano.

Fino ad oggi anoressia e bulimia sono sempre stati considerati disturbi tipicamente femminili. Negli ultimi anni più d’un ricercatore impegnato sul fronte della alimentazione e abituato alla comunicazione profonda in ogni caso di disturbo collegato al cibo segnalava l’esistenza della anoressia maschile.

Oggi sappiamo con certezza che questa esiste, che ha componenti del tutto simili a quella femminile, e alcune diversità che la caratterizzano.

Un lavoro canadese pubblicato in questi giorni descrive queste diversità e gli aspetti comuni nei due sessi. Lo stesso gruppo di ricerca però ipotizza anche alcune possibilità di trattamento del disturbo, e stanno nascendo interessantissime correlazioni tra il vissuto femminile o maschile e l’espressione di questa malattia. I ricercatori canadesi (Am J Psychiatry 2001 Apr;158(4):570-4) hanno confrontato 62 uomini che rispondevano ai criteri diagnostici per i disturbi alimentari (anoressia e bulimia) con 212 donne con le stesse caratteristiche.

Le modalità sono quasi identiche nell’uomo e nella donna, ma nei soggetti di sesso maschile si può rilevare una presenza statisticamente più elevata di altre patologie psichiche (il termine tecnico è “comorbidità”). Inoltre si rileva che l’uomo tende a nascondere questa condizione di disagio, e ha paura a parlarne in pubblico.

Un altro lavoro, svolto invece da ricercatori inglesi e pubblicato in questi giorni (Int J Eat Disord 2001 Apr;29(3):314-8) segnala un rapporto tutto da approfonfdire tra la percezione della propria sessualità e anoressia/bulimia. Secondo questi ricercatori infatti tra i soggetti maschili che si identificano nel sesso femminile, la presenza di disturbi del comportamento alimentare è sicuramente più elevata.

Gli stessi ricercatori ipotizzano che questa diversità possa essere stimolata dalla rappresentazione sociale di un “modello femminile” che viene utilizzato da chi si identifica nel disagio femminile.

I ricercatori canadesi (guidati dal dr. Woodside) hanno anche studiato la risposta statistica al trattamento della anoressia e i loro risultati saranno pubblicati il prossimo mese (Int J Eat Disord 2001 May; 29(4):393-400). Usando delle tecniche terapeutiche di innalzamento motivazionale (le stesse tecniche che si usano in caso di tossicodipendenza) prima di iniziare il trattamento farmacologico e psichiatrico, è aumentato il numero di risultati positivi, cioè di guarigioni, e si è ridotta la depressione mentre è aumentata l’autostima delle persone malate.

Si tratta quindi di aspetti che richiamano ad una valutazione più allargata del fenomeno che coinvolge anche aspetti sociali oltre che individuali, di profondità inaspettata.