E se l’Alzheimer dipendesse da quello che mangiamo?

19 Agosto 2008
E se l'Alzheimer dipendesse da quello che mangiamo?

Un lavoro scientifico ribalta le teorie oggi esistenti sulle cause genetiche o familiari dell’Alzheimer.

Il confronto è stato fatto tra due gruppi con radici genetiche molto simili, che si nutrono però in modo radicalmente diverso; il risultato strabiliante è che l’incidenza dell’Alzheimer e della demenza senile in un gruppo (con la classica alimentazione occidentale) è circa tre volte maggiore che nel gruppo con alimentazione più povera.

Il problema riguarda milioni di persone in tutto il mondo e coinvolge risorse economiche enormi per la terapia e il sostegno delle persone disabili. Una parte di questa malattia dipende dalle condizioni genetiche; occuparsi solo di questi aspetti tralasciando le cose più semplici e meno costose come la alimentazione e l’ambiente può essere un grave errore.

Sul numero del JAMA (Journal of American Medical Association) pubblicato il giorno di S. Valentino (Hendrie HC, JAMA ,2001 Feb 14;285(6):739-47) il Dr. Hugh C. Hendrie (docente di neurologia e psichiatria alla Indiana University) ha presentato questo confronto fatto nel corso di 5 anni tra due grandi gruppi di soggetti (circa 4500 persone) con numerose basi genetiche in comune, perché la provenienza storica della maggior parte dei neri di Indianapolis è di fatto la “costa degli schiavi” nigeriana.

  • Un gruppo di neri, abitanti ad Indianapolis (USA), alimentato con la classica dieta mista e ricca americana.
  • Un gruppo di neri, abitanti a Ibadan (Nigeria), alimentato con la loro povera dieta a base di verdure, frutta, cassava, olio di palma e pesce.

Lo studio è iniziato tra soggetti sani e con funzioni neurologiche normali a 65 anni (età in cui negli USA già il 10% della popolazione presenta segni di Alzheimer). Nel corso di 5 anni il deterioramento mentale progressivo si è presentato nel 3,25% degli abitanti di Indianapolis, e solo nell’1,35% dei nigeriani.

Gli autori dell’articolo segnalano una possibile connessione con la pressione alta, che affligge sicuramente più gli statunitensi dei nigeriani; anche la pressione arteriosa è però strettamente dipendente dalla dieta, quindi il discorso non cambia.

E il problema non dipende da una maggiore o minore propensione alla depressione, come evidenziato dallo stesso autore in un lavoro del 2007 sugli stessi gruppi di popolazione (Baiyewu O. et al,  Int Psychogeriatr 2007 Aug;19(4):679-89. Epub 2007 May 16). Si tratta di una scoperta di enorme importanza; di certo per ora non si è autorizzati a dire che è solo la dieta l’elemento che crea la differenza.

Esistono anche alcune condizioni ambientali che non sono state ancora oggetto di studio, ma di certo l’alimentazione ha una sua importanza, e deve essere tenuta in serissima considerazione.

Probabilmente elementi come la dieta e l’esercizio fisico possono ottenere effetti di prevenzione sull’Alzheimer molto più intensi di quelli derivanti da qualsiasi farmaco. La lezione, oggi che tutte le industrie sembrano pensare solo ai costosi interventi sul genoma dell’uomo, è grande.

Si viene richiamati a valutare aspetti basilari, naturali e fisiologici per la prevenzione e la terapia delle malattie croniche. L’azione naturale potrebbe alla fine dimostrarsi più attiva ed efficace di qualsiasi altra.