Diagnosi di allergia e diagnosi di intolleranza

22 Marzo 2012
Diagnosi di allergia e diagnosi di intolleranza

La comprensione degli effetti sulla salute dell’infiammazione da cibo ha rivoluzionato i vecchi modi di interpretare molte patologie e disturbi talvolta riferiti a reazioni alimentari, in cui una condizione infiammatoria a bassa intensità (low-grade inflammation) era causa dei sintomi e delle manifestazioni proprie del disturbo.

Questo ha fatto superare la definizione di intolleranza alimentare che per molti anni ha falsato e deviato l’attenzione dei ricercatori.

La definzione di un profilo alimentare personale (come quello evidenziato da RecallerProgram) è utile per capire come ridurre l’infiammazione, misurabile attraverso i valori di BAFF e di PAF, e non certo per scatenare “guerre” nei confronti di singoli alimenti o gruppi alimentari. Queste due citochine (insieme alle altre che possono oggi essere studiate) possono essere degli indici precisi di questo livello di infiammazione complessiva dell’organismo e fanno parte integrante dei sistemi di diagnosi e di interpretazione della reazione agli alimenti.

Purtroppo invece, grazie a uno schema mentale orientato solo alla “ricerca del nemico”, per molti anni si sono cercati anticorpi inesistenti o cellule improbabili, perdendo di vsta le esigenze vere di chi soffre possibili effetti infiammatori generali dovuti al tipo di alimentazione.

Al di là della evidenza di reazioni legate alle IgE (le classiche allergie alimentari immediate come finora conosciute) esistono fenomeni in cui intervengono altri tipi di anticorpi (IgG) e cellule diverse che provocano l’accumulo di citochine infiammatorie che diventano la causa di una cascata di fenomeni patologici ormai ben conosciuti e che possono riguardare tutti gli organi ed apparati dell’organismo.

Questo spiega la profonda azione infiammatoria che il cibo può avere sugli organismi viventi quando manchi la tolleranza immunologica.

I test per le allergie alimentari finora in uso sono indispensabili per chiarire e confermare le eventuali allergie gravi IgE mediate (le uniche in cui può essere assolutamente necessaria una dieta di eliminazione), ma non sono in grado di evidenziare le reazioni cellulari non dipendenti da IgE, correlati alla infiammazione da cibo.

Sono però talvolta utili per integrare la conoscenza dei problemi di reattività alimentare. Tante volte, nella nostra esperienza, è capitato di vedere dei RAST positivi al frumento o alle graminacee (stessa famiglia del frumento alimentare) fin dalla tenera età in soggetti sofferenti poi di “Gluten sensitivity” negli anni successivi.

Tra i test allergologici classici segnaliamo:

  • Prick Test: non tiene conto delle reazioni tardive; è utile per la diagnosi di allergie alimentari e respiratorie.
  • Prick by Prick: utilizza alimenti freschi invece che soluzioni.
  • RAST: aiuta a confermare un sospetto diagnostico, soprattutto in caso di allergia respiratoria e in minor misura di tipo alimentare. Raramente l’infiammazione da cibo è correlata anche ad un RAST positivo per specifici alimenti.
  • Prist: il dosaggio delle IgE totali caratterizza, soprattutto nei bambini, una tendenza allergica generale, senza segnalare verso quali sostanze.
  • Patch test: soprattutto per la diagnosi delle patologie dermatologiche da contatto.
  • Test di provocazione, ovvero:
    – diete di eliminazione e scatenamento (utili nella diagnosi sia delle allergie sia delle reazioni non-IgE soprattutto se l’introduzione alimentare è proseguita per più giorni consecutivi);
    – DBPCFC (Double Blind Placebo Controlled Food Challenge), ovvero test di carico in doppio cieco (utilizzato nella diagnosi delle allergie, ma applicabile con alcune modifiche anche alle intolleranze).

Nonostante le recenti evoluzioni scientifiche, che hanno radicalmente cambiato il significato e l’utilità dei vecchi test non convenzionali per la definizione di quelle che un tempo erano chiamate “intolleranze alimentari”, molte persone continuano ancora a effettuare questi test, che avrebbero ormai solo valore storico. Li abbiamo descritti in un apposito articolo sui test non convenzionali. Riteniamo quindi utile dare alcune indicazioni per cercare di utilizzare con profitto i dati disponibili, comunque raccolti.

Qualunque sia il test che viene utilizzato per una diagnosi di reattività alimentare, a maggior ragione quando si tratta di test non convenzionali, deve sempre essere interpretato da un terapeuta esperto, che si assuma la responsabilità della diagnosi all’interno di un quadro di valutazione completo dell’individuo e soprattutto del progetto terapeutico destinato a portare il paziente alla guarigione e comunque al recupero della tolleranza alimentare.

Purtroppo, a seguito di molti test non convenzionali effettuati, vengono richieste diete che risultano punitive nel migliore dei casi e decisamente pericolose nel peggiore. Ma soprattutto diete che non favoriscono il recupero della tolleranza immunologica nei confronti degli alimenti verso cui è presente la reattività. È indispensabile invece guidare il paziente in una sorta di “svezzamento” attraverso un percorso molto preciso e orientato alla guarigione.. 

Mi preme a questo punto precisare che, indipendentemente dal test utilizzato, gli obiettivi di una terapia dietetica corretta sono:

Nella situazione sociale e ambientale attuale appare infatti indispensabile favorire la varietà dell’alimentazione, anche perché la ripetizione sistematica dell’assunzione di alcuni alimenti (anche nel caso che vadano a sostituire quelli non tollerati) dà facilmente luogo all’insorgere di nuove ipersensibilità.

Nel corso di tutto il processo di svezzamento nei confronti degli alimenti mal tollerati la riduzione della reattività va valutata in più occasioni (per stabilire se e di quanto il contatto con quei cibi può essere esteso), e sistematicamente confrontata con i dati clinici.

Per una nota operativa sull’uso integrato dei diversi test diagnostici, clicca qui.

Con la vecchia terminologia di “intolleranza alimentare” si è in alcuni casi accentuata anche la confusione relativa alla reazione infiammatoria dovuta alle proteine del latte e l’intolleranza al lattosio.

È bene ricordare che l’intolleranza al lattosio (dose dipendente) è una intolleranza biochimica, che non attiva il sistema immunitario, mentre la reazione alle proteine del latte, è indipendente dalla dose ed è l’unica che genera infiammazione.

Si tratta di due fenomeni diversi che capita talvolta di trovare associati nella stessa persona.