Cefalea: classificazione e inquadramento

25 Marzo 2001
Cefalea: classificazione e inquadramento

La cefalea è il disturbo neurologico più frequente nella popolazione generale. Osservazioni epidemiologiche, tratte da studi che hanno valutato la comparsa di almeno un attacco di cefalea nell’arco di un anno, segnalano infatti che soltanto una percentuale, variabile tra il 10 e il 30% dei soggetti intervistati, ha riportato l’assenza di tale sintomo. Le più recenti stime azzardano che quasi 600 milioni di persone in tutto il mondo sono affette da cefalea, sebbene soltanto una ristretta percentuale di questi si rivolga al medico per una corretta diagnosi e il trattamento delle crisi, nonostante quasi il 10% delle donne e il 5% degli uomini lamentino crisi così dolorose da rendere impossibile qualsiasi attività. Anche per questo motivo, l’organizzazione Mondiale della Sanità ha definito il dolore cefalgico come una “restrizione o perdita delle capacità di svolgere un’attività secondo le modalità c/o nell’ambito considerato normale per uno stato di benessere”. La disabilità causata della cefalea si può esprimere in rapporto a una serie di parametri specifici quali, per esempio, le capacità lavorative, sociali, relazionali e intellettuali. In rapporto a questi elementi è stato osservato che il paziente durante un attacco sperimenta un quadro di forte disabilità; il ‘70% ha necessità di sdraiarsi, l’85% di isolarsi e quasi l’l 90% lamenta una ridotta efficienza lavorativa. Il 45% deve addirittura annullare qualsiasi attività lavorativa. Proiezioni epidemiologiche e analisi dei costi relativi alla cefalea hanno permesso di stimare una perdita di quasi 12 milioni di giorni lavorativi, con un costo economico indiretto (80% del totale) e diretto (visite, ricoveri, diagnostica, farmaci 20% del totale) pari a circa 7mila miliardi annui, per un campione di popolazione di circa 50 milioni di abitanti, come appunto è l’Italia. Per tale campione è stato valutato un numero di visite annuali per cefalea pari a quasi 4 milioni, la stragrande maggioranza delle quali effettuata dal medico di base. In medicina generale è stato valutato che almeno il 40% dei pazienti afferenti a un ambulatorio sia affetto da una qualche forma specifica di cefalea e che quest’ultima sia la settima causa di ricorso al medico di base. Per questo, dunque, è indispensabile che quest’ultimo sappia procedere a un corretto inquadramento diagnostico, per poter adeguatamente trattare il paziente sia a livello sintomatico che, eventualmente in accordo con uno specialista del settore, con una terapia preventiva.

Nel 1988 l’ International Headache Society (IHS) ha codificato le cefalee allo scopo di creare criteri adeguati per favorire diagnosi il più possibile standardizzate, obiettive e coerenti. Secondo I’IHS le cefalee si distinguono in primarie e secondarie (si veda il Box). L’anamnesi è il cardine di una corretta diagnosi. Una volta raccolti in maniera ordinata i dati salienti relativi alla sede, alla durata, alle caratteristiche del dolore, e visitato il paziente per escludere componenti neurologiche o internistiche di natura urgente, è assai più semplice procedere a un inquadramento specifico e mettere in atto i provvedimenti terapeutici più adeguati. Una cefalea secondaria, ovvero dipendente da un evento neurologico intracerebrale (tumore, ipertensione endocranica), deve però essere sempre presa in considerazione quando un paziente giunge dal medico lamentando un dolore insolito (se già cefalalgico) o segnalando un primo episodio di natura indeterminata. In questi casi è indispensabile capire se ci si trova, di fronte a una di quelle crisi che gli anglosassoni chiamano the last straw (traducibile come la goccia che fa traboccare il vaso) o come the first of the worst, ossia, la prima delle peggiori. Nel primo caso si tratta per le più di pazienti cefalalgici noti, probabilmente non in terapia profilattica, più spesso con una concomitante sindrome depressiva o con un disturbo somatoforrne d’ansia e alle spalle un abuso di analgesici, che richiedono un intervento per una crisi, l’ennesima, che non sono più in grado di tollerare in maniera autonoma. Nel secondo caso (“un attacco diverso dal solito” nei cefalalgici noti o “qualcosa di assolutamente nuovo” in un soggetto che non soffre di mal di testa) è fondamentale una disamina attenta e completa del paziente, soprattutto dal punto di vista neurologico. Nella tabella 1 vengono messe a confronto le tipologie dolorose delle più importanti forme, cefalalgiche. Di tutte queste é utile conoscere qualche, dato epidemiologico. La prevalenza dell’emicrania (cefalea di tipo primario) nella popolazione generale adulta è stimata pari al 12% (in Italia 11,9%, che corrisponde a quasi 5 milioni), mentre quella della, cefalea tensiva è valutata attorno al 30% per i pazienti con crisi sporadiche e al 10% per la forma con crisi ricorrenti (più di 4 al mese). La prevalenza dell’emicrania cresce rapidamente nei soggetti di sesso femminile a partire dalla pubertà, con un picco massimo che si aggira attorno ai 35-40 anni. Le donne, sono inoltre, colpite dall’emicrania con una frequenza tre volte maggiore rispetto agli uomini durante l’età fertile. Il rapporto è invece pressoché simile in età prepubere e postmenopausale. Soltanto lo 0,6% delle forme emicraniche è definibile come cefalea a grappolo, la più dolorosa di tutte. I maschi sono più colpiti delle donne in rapporto di circa 6:1, con un’insorgenza media attorno ai 30 anni.

Come abbiamo già detto, l’anamnesi è decisamente importante per arrivare a una diagnosi corretta. I criteri diagnostici dell’IHS per l’emicrania e per la cefalea tensiva episodica sono schematizzati nelle Tabelle 2 e 3.

Occorre inoltre segnalare, che una cefalea diagnosticata come tensiva episodica diviene classificabile come “cronica” quando la frequenza media della cefalea è almeno di 15 giorni al mese (180 giorni l’anno) per più di sei mesi.

Per quanto riguarda le emicranie come è noto, ne esistono due forme, con e senza aura. La prima (con aura) si differenzia dalla seconda per la presenza di un sintomo neurologico della durata di meno di un ora (l’aura per l’appunto) caratterizzato da una disfunzione emisferica completamente reversibile (scotomi scintillanti, disturbi campimetrici, disturbi parestesici, talora disturbi del Iinguaggio tipo afasia o del movimento tipo modesta paresi sempre, unilaterali) che precede di meno di un’ora l’insorgenza dell’emicrania e che solo raramente si sovrappone alla stessa. 

È evidente che una corretta diagnosi deve comunque tendere alla sicura esclusione di una forma di cefalea secondaria. Nella valutazione del paziente è quindi prioritario cercare quei campanelli di allarme che possono far sospettare una qualsiasi forma di cefalea di questo tipo.

Se un paziente presenta quindi una forma di cefalea che non rientra nei classici canoni classificativi dell’IHS, se la risposta a una appropriata terapia non risulta adeguata e se soprattutto sono presenti una o più spie diagnostiche, diviene necessario approfondire gli accertamenti con l’esecuzione di una TAC o di una Risonanza Magnetica dell’encefalo. Questi esami andrebbero quindi richiesti solo in casi dove:

  • il dubbio diagnostico è elevato;
  • l’esame neurologico presenti qualche segno patologico o deficit permanenti;
  • la cefalea stessa abbia caratteristiche di persistenza atipiche per il paziente in studio.

Per la parte riguardante la Terapia, clicca qui.

  • emicrania
  • cefalea di tipo tensivo
  • cefalea a grappolo
  • emicrania cronica parossistica
  • cefalee non associate a lesioni strutturali
  • cefalea associata a patologie vascolari
  • cefalea associata a patologia endocranica non vascolare
  • cefalea da assunzione o da sospensione di sostanze esogene
  • cefalea associata a infezioni
  • cefalee o dolori facciali associati a patologie del cranio, collo, occhio, orecchio, naso e seni paranasali, denti, bocca e di altre strutture facciali o craniche
  • cefalea associata a trauma cranico
  • nevralgie craniche, nevriti e dolori da deafferentazione
  • cefalee non classificabili

(Fonte: International Headache Society, 1998)
Il controllo dei fattori scatenanti Esistono alcuni fattori che possono favorire, l’insorgenza dell’emicrania. Alcuni, senza sufficienti basi scientifiche, hanno addirittura chiamato in causa il vino e il cioccolato . Ecco, invece, i fattori per i quali vi sono sufficienti evidenze scientifiche.

  • Fattori psicologici: Emozioni, stress, rilassamento dopo un periodo stressante, calo dell’umore.
  • Fattori ormonali: Mestruazioni, ovulazione, contraccettivi orali.
  • Fattori alimentari: Cibi e bevande contenenti nitrati, glutammato, tiramina.
  • Fattori ambientali: Cambiamenti climatici, altitudine, esposizione al sole o a luce intensa, rumore, odori pungenti, monossido dì carbonio.
  • Fattori farmacologici: Trinitrina, reserpina, fenfluramina, estrogeni.
  • Altri fattori: Insonnia, eccesso di sonno, ipoglicemia, fatica fisica, febbre, ipertensione, fumo, lunghi viaggi, traumi, angiografia, dialisi.
  • Giorno dell’attacco
  • Ora dell’attacco
  • Quanto è durato il mal di testa?
  • Area del mal di testa (p.e.: frontale, alle tempie, dietro agli occhi, tutto il capo)
  • Tipo di dolore (p.e.: a fitte, pungente, pulsante, acuto)
  • Gravità del dolore (lieve, moderato, grave, insopportabile)
  • Quali sensazioni hanno preceduto il mal di testa?
  • Ha provato altri sintomi di rilievo?
  • Altre parti del corpo colpite?
  • Disturbi visivi?
  • Nausea?
  • Vomito?
  • Sensibilità alla luce?
  • Sensibilità al rumore?
  • Ha avuto necessità di sdraiarsi e dormire?
  • Bisogno di muoversi?
  • Raffreddore o naso chiuso?
  • Disturbi agli occhi?
  • Quali farmaci ha preso?
  • Sono stati efficaci?
  • A suo parere, cosa le ha provocato il mal di testa?

 

 

(Riadattata da: Headache Classification Committee of the International Headache Society – IHS, Classification and diagnostic criteria for headache disorders, cranial neuralgia and facial pain. Cephalgia, 1988; 8 – Suppl. 7- p1-96)
NOTA: le tabelle indicate saranno aggiunte nei prossimi giorni. {/rokaccess}