Pane al carbone: meglio che la Befana resti al suo posto

5 Gennaio 2017
Pane al carbone: meglio che la Befana resti al suo posto

Quando un’amica mi ha parlato per la prima volta di “taralli al carbone” non ho capito subito a cosa facesse riferimento.

Poi, eccolo lì, sul banco del panettiere di fiducia, tra la brioche integrale al miele e quella classica al cioccolato, un cornetto tutto nero, al “carbone attivo”. Così è partita la ricerca, e sono arrivate le risposte.

Il carbone attivo, o carbone vegetale, è un presidio utilizzato in medicina e non solo per la sua capacità di assorbire diverse sostanze ingerite.

Nella pratica medica il carbone attivo è usato quando siano state inserite sostanze potenzialmente dannose e delle quali è utile limitare l’assorbimento. Il carbone in questo caso, assorbe le sostanze evitando che passino nel sangue creando problemi di tossicità.

Utilizzo noto ai più è quello di depuratore d’acqua. Altro storico è quello che lo vedeva utilizzato nelle maschere “antigas”.

La porosità del carbone assorbe infatti ciò che nell’acqua (o nell’aria) non dovrebbe essere gradito, lasciando da bere un’acqua (e da respirare, un’aria) più pura.

C'è una grande differenza tra l'assunzione sotto controllo medico o specialistico di sostanze con effetti collaterali e interazioni farmacologiche precise e l'utilizzo smisurato e senza indicazioni specifiche: il pane al carbone rischia di interferire con l'assorbimento di farmaci o principi attivi che è invece utile assorbire.

Un altro utilizzo del carbone vegetale è quello “erboristico”. In questo ambito il carbone è solitamente utilizzato nella posologia di 1-2 grammi al giorno con l’intento di ridurre gonfiore addominale, fastidi intestinali e flatulenza.

Poiché oggi, soprattutto nella dieta tipicamente occidentale, capita spesso che i fastidi di questo tipo siano associati all’assunzione del pane, ecco che unire farina e carbone attivo è sembrata a qualcuno un’ottima idea. E i clienti, in un primo momento, hanno gradito.

Qui, cominciano i problemi, perché c’è una bella differenza tra l’assunzione sotto controllo medico o specialistico di sostanze con effetti collaterali e interazioni farmacologiche precise e l’utilizzo smisurato e senza indicazioni specifiche.

Immaginiamo ad esempio che il tarallo al carbone attivo sia stato preso vicino a un estroprogestinico (pillola anticoncezionale), o a un farmaco salva vita. Quella di limitare l’assorbimento, anche di farmaci, è tra le caratteristiche che rendono il carbone utile; è però evidente che ci sono occasioni in cui è importante che assorbiti, i farmaci, lo siano. 

E non è nemmeno da pensare che il quantitativo nel pane sia troppo ridotto: in un chilogrammo di farina sono suggeriti da 10 a 15 grammi di carbone. Ciò significa che con semplici 150 grammi di pagnotta si raggiunge tranquillamente la dose consigliata giornalmente nell’uso erboristico.

Altri elementi pongono inoltre perplessità: il carbone, attivato o meno, resta un prodotto di combustione che contiene benzopirene, cancerogeno.

Ora, è chiaro che il rischio legato alla potenziale presenza di questo elemento e i benefici legati all’uso del carbone siano diversi a seconda di come lo strumento sia usato.

Inoltre i prodotti di uso farmaceutico devono rispettare precisi limiti nel contenuto di benzopirene. Siamo sicuri che lo stesso valga per il carbone usato nel pane? Perché le quantità e la provenienza del carbone utilizzato spesso non sono così chiare.

Ecco che piuttosto che andare a cercare metodi particolari per ridurre il senso di fastidio legato all’assunzione del prodotto da forno ha più senso capire a cosa sia dovuto tale disagio.

Una possibilità abbastanza frequente nella popolazione occidentale è quella di una gluten sensitivity (ben diversa dalla celiachia) o da una reattività alle sostanze fermentate, tranquillamente modulabile con due giorni settimanali di astinenza da prodotti contenenti glutine e/o fermentati. Tale reattività è misurabile con un semplicissimo test effettuabile in farmacia.

Altri motivi possono essere una reattività intestinale di altro tipo, potenzialmente legata comunque ad una infiammazione da cibo diversa o all’assenza di una buona masticazione, che rende più difficile la digestione e più facile la produzione di gas a livello intestinale.

Il Centro Medico SMA di Milano si occupa da anni proprio del fastidio intestinale legato all’assunzione di alimenti o gruppi alimentari particolari nell’ottica di un recupero di amicizia col cibo.

Pare insomma che il carbone sia davvero da lasciare ai medici, o alla befana.